di Generoso D’Agnese
Attraversò il mondo e le sue guerre, guidato dalla sua insaziabile voglia di conoscere e immortalare il male. Camminò paziente accanto ai militari e mangiò i loro pasti, per poi fermare i suoi passi sui luoghi in cui le armi avevano spezzato migliaia di vite, e immortalarne l’orrore. Felice Beato fu un cittadino del Mondo, inteso in senso universale. Perché proprio il Mondo fu il palcoscenico sul quale recitò la sua parte di geniale professionista dell’immagine. Fu forse il primo fotoreporter della Storia contemporanea.
La vita di Felice ebbe strani riflessi fin dalla nascita. Egli nacque infatti nel 1833 a Corfù, quando sull’isola (Protettorato inglese) ombreggiava lo stendardo della Union Jack, e crebbe con il passaporto britannico. Ma Corfù da secoli era un’isola a grande impronta italiana, un’enclave popolosa e attiva erede dell’esperienza della Repubblica Veneziana. Figlio di madre italiana a tutti gli effetti, Felice seguì tutte le trafile scolastiche del sistema anglosassone per scoprire fin da adolescente la passione per la nuova arte fotografica. Insieme al fratello Antonio iniziò il percorso da due semplici lenti, acquistate a Parigi nel 1851. La passione probabilmente gli fu inculcata da James Robertson, che all’epoca era un apprezzato incisore presso la zecca ottomana a Costantinopoli. Felice Beato si unì a Robertson nella sua idea di aprire un gabinetto fotografico nella città sul Bosforo. Il laboratorio venne aperto nel quartiere Pera della metropoli ottomana e fu chiamato «Robertson & Beato», ricevendo presto anche l’aiuto del fratello Antonio Beato. Il trio di fotografi iniziò una vasta campagna di spedizioni tra Malta, Grecia e Gerusalemme e il sodalizio fu allietato anche dal matrimonio di James Robertson con la sorella dei fratelli Beato (Leonilde). Il 1855 vide Felice e Robertson sui campi di battaglia di Balaklava, in Crimea; i due fotografi realizzarono un reportage sulla Guerra di Crimea immortalando in 60 immagini la caduta di Sebastopoli nel settembre 1855. Tre anni dopo, Felice Beato giunse a Calcutta per intraprendere una documentazione della ribellione indiana. Deciso a presentare la crudeltà della guerra in tutta la sua essenza, l’italiano di Corfù scattò molte foto ai cadaveri, lavorando perfino sulla ricostruzione scenica. Quelle scattate infatti all’epoca erano foto che non potevano rappresentare soggetti in movimenti e le scenografie servivano a dare spessore agli elementi scelti come soggetto. Le sue foto ebbero un immenso impatto sul pubblico e altrettanto effetto fecero i suoi scatti nelle città di Delhi, Cawnpore, Meerut, Benares, Amritsar, Agra, Simla and Lahore
Nel 1859 Antonio lasciò l’India per ragioni di salute e l’anno seguente si separò professionalmente dal socio Robertson per poi intraprendere un nuovo viaggio in Cina. Questa volta al seguito della spedizione militare anglo-francese nella seconda guerra dell’oppio. Le fotografie di Beato, scattate a Canton e Hong Kong sono tra le prime scattate in Cina. In quest’ultima città l’italiano incontrò incontrò Charles Wirgman, un artista e corrispondente dell’Illustrated London News. Insieme a lui marciò verso nord costellando la marcia di numerosi scatti fotografici, che in parte arrivarono anche sul l’Illustrated London News. Gli scatti di Beato divennero leggendari tra i fotografi dell’epoca. Le sue immagini rievocavano per la prima volta e in modo crudele, l’inferno di una battaglia e il triste epilogo in vite umane. Vendute a clienti londinesi più di 400 fotografie, Felice si fermò temporaneamente nella città inglese per poi tornare in Giappone insieme allo stesso Wigman. Con lui aveva infatti fondato la società «“Beato & Wirgman, Artists and Photographers». Le fotografie giapponesi di Beato (ritratti, panorami, vedute cittadine e una serie di fotografie che documentano le scene e i siti lungo la Tokaido) rappresentarono una vera e propria sfida a una società conservatrice ostica a qualsiasi apertura esterna e controllata dagli Shogun. Divenuto nel 1864 fotografo ufficiale della spedizione militare a Shimonoseki, Beato produsse diverse viste di Nagasaki e dei suoi dintorni ma nel 1866 un incendio distrusse la maggior parte dei suoi negativi nel vasto incendio che distrusse Yokohama. Dal 1869 al 1877 Beato gestì un suo proprio studio a Yokohama, chiamato «F. Beato & Co., Photographers» con un assistente chiamato H. Woolett, quattro fotografi e quattro artisti giapponesi. Il valore del suo lavoro non passò inosservato negli Stati Uniti. L’ammiraglio Rodgers decise di affidare proprio all’italiano l’incarico di fotografo ufficiale della Marina statunitense. Imbarcato sulla USS Colorado (le altre navi che parteciparono al conflitto furono la USS Alaska, USS Palos, USS Monocacy, and USS Benicia), nel 1971 partì alla volta della Corea. Gli scatti realizzati in questa importante campagna militare, rappresentano le primissime foto su questo estremo lembo dell’Asia e sui suoi abitanti. Nominato due anni dopo Console Generale per la Grecia in Giappone, Felice Beato alternò la
propria attività di fotografo a quella di imprenditore immobiliare e terreriero, a quella di commerciante ma le sue speculazioni, nel 1884 lo gettarono sul lastrico, dopo la crisi finanziaria di Yokohama. Costretto a iniziare di nuovo da capo, l’italiano riprese il suo infaticabile cammino, alternando i paesaggi asiatici a quelli americani, quelli africani a quelli europei.
La campagna di guerra in Sudan e il reportage sulla Birmania rappresentarono l’ultimo atto di una vita vissuta all’insegna della cattura di un attimo di storia e terminata nel 1907, senza troppi onori.
Le sue foto, in gran parte scomode per il loro crudele realismo, nel corso degli anni divennero un vero e proprio “cult” nel panorama di quest’arte tecnologica. Nei suoi tanti viaggi, condotti da vero e proprio giramondo, Beato poté lasciare testimonianza di se anche in numerosi archivi nordamericani. Il Canadian Centre for Architecture di Montreal, la Boston University Art Gallery, l’International Center of Photography Encyclopedia of Photography di New York, la Brown University Library sono solo alcune delle istituzioni che avrebbero accolto i reportage del fotografo nato a Corfù. E che ancora oggi custodiscono l’indiscutibile qualità di un reporter che documentò il primo conflitto in terra asiatica della neonata potenza americana.