Giovanni Cardone
In una mia ricerca storiografica che analizza le opere di Giovanni Mangiacapra posso affermare che l’artista dagli anni ’70 fa arte, il suo linguaggio nel tempo si è fortemente distinto ed è divenuto materico, si evince che nella prima fase del suo processo artistico l’aspetto figurativo è prevalente per poi essere sostituito dalla ricerca e dalle sperimentazioni, inizia ha lavorare su una personale interpretazione della pittura informale. L’arte di Giovanni Mangiacapra composta da una raffinata visione materica dove gesto e sperimentazione sono alla base della sua ricerca, nelle sue opere emerge una gestualità emotiva . Io penso che senza memoria non vi è passato e senza passato non vi è identità. Ogni uomo ha bisogno di conoscere le proprie radici, la propria provenienza, per comprendere fino in fondo se stesso e la società in cui vive, così come ogni popolo per sopravvivere alla modernità, dovrebbe conoscere e valorizzare le proprie tradizioni gli usi e costumi di generazioni antiche che, seppur lontane, continuano a mantenere un’eco di vitale importanza per la sopravvivenza della propria cultura. Le opere di Giovanni Mangiacapra mi fanno riflettere sul “Trattato di semiotica generale” del 1975 di Umberto Eco che paragona l’opera d’arte a un testo che per essere tale deve soddisfare innanzitutto una richiesta di leggibilità. Affinché vi sia un risposta da parte dell’osservatore, è fondamentale il codice con cui il messaggio dell’artista viene trasmesso; non tutto deve per forza essere chiaro, ma vi devono essere alcune regole che lo aiutano a distinguere l’opera d’arte dalla cosa astratta. Eco parla del linguaggio estetico, definendolo un particolare processo comunicativo significativo in cui non si ha solo il mero passaggio di informazioni, ma anche la sollecitazione dell’elaborazione di una risposta interpretativa da parte del destinatario. Secondo l’autore vi sono due principali caratteristiche del testo estetico: l’ambiguità e l’autoriflessività. La prima è una violazione delle regole del codice, poiché «anziché produrre puro disordine, essa attira l’attenzione del destinatario», il quale «è stimolato a interrogare le flessibilità e le potenzialità del testo». L’ambiguità estetica gioca sia sull’espressione sia sul contenuto del testo: così facendo esso diventa autoriflessivo poiché attira l’attenzione sull’organizzazione interna, sulla “semiotica”. Il testo estetico spinge in continuazione a rivedere i codici, imponendo una continua riconsiderazione del linguaggio su cui si basa; quest’ultimo deriva da una «dialettica di accettazione e ripudio dei codici dell’emittente e di proposta e controllo dei codici del destinatario», il quale però non essendo a conoscenza delle regole dell’autore, le può estrapolare da ciò che prova nel corso dell’esperienza estetica. Egli si trova in bilico tra l’ambiguità oggettuale e l’organizzazione contestuale. Tramite una definizione semiotica dell’opera d’arte si riesce a comprendere perché nel corso della comunicazione estetica avvenga «un’esperienza che non può essere né prevista né completamente determinata, e perché questa esperienza “aperta” venga resa possibile da qualcosa che deve essere strutturato a ciascuno dei suoi livelli». Il destinatario deve essere in grado di intervenire a colmare i vuoti semantici, a ridurre la molteplicità dei sensi, perché è un collaboratore dell’autore il testo estetico deve essere strutturato per mezzo di codici noti, cercando di attirare attenzione su di sé, anche violando delle regole, al fine di garantire il giusto equilibrio dei meccanismi noto/ignoto che rendono tale l’esperienza estetica. Senza l’adozione di regole precise il contenuto del testo estetico non sarebbe veicolato e non riuscirebbe ad essere trasmesso; il codice non è rappresenta uno schema fisso e immutabile, ma anzi è in continua evoluzione. «L’interprete di un testo è obbligato a sfidare i codici esistenti e ad avanzare ipotesi interpretative che funzionano come forme tentative di nuova codifica». Grazie all’operato artistico- culturale di Giovanni Mangiacapra volevo citare Emanuele Severino quando parla della memoria che può divenire cattiva coscienza come si evince dalle opere pittoriche di Giovanni Magiacapra che hanno inteso dimostrare con la piena coscienza della precarietà relativistica di ogni ‘dimostrazione’ che la reductio suggerita dello spazio al tempo è, o potrebbe essere, un modo di riconoscere la friabilità delle conoscenze che abbiamo delle cose, sapendo renderci conto che la dimensione spaziale non è altro che la manifestazione parziale e transeunte di un ‘tempo’ che si solidifica nelle cose, scegliendo, grazie alla inevitabilità della sua successività, di rivelarsi altro che come memoria. La memoria, insomma, potremmo anche suggerire così, non è altro che il tempo. Tocca a noi saper sfuggire, per quanto possiamo, alla gabbia della prigione del tempo mi ha dato lo spunto leggendo tutto il trattato ho pensato ad Emanuele Severino al suo grande pensiero filosofico, egli ci ha lasciato su questo argomento tantissime riflessioni, la sua filosofia poggiava sulla grande prosopopea di Parmenide: gran parte della riflessione severiniana si configura come una massiccia e controversa rivalutazione dei dogmi ontologici dell’eleate, incompreso e sconfessato profeta dell’essere; prendendo le mosse dalla contraddizione che si pone alla base del divenire l’essere non diviene, poiché il divenire comporta il non essere, ovvero il venire e tornare nel nulla, la celebre dimostrazione severiniana dell’eternità di tutti gli enti vuole contrapporsi alla storica fede prestata dall’umanità, fin dai tempi dei greci, al divenire, fede che ha portato la storia dell’uomo e della filosofia ad essere necessariamente storia del nichilismo, e ad innalzare i cosiddetti Immutabili o Eterni ‘Dio in primis’ ai quali aggrapparsi per tentare di sfuggire all’angoscia dettata dal carattere effimero e transeunte che l’uomo attribuisce agli enti. Posso dire che nelle opere di Giovanni Mangiacapra tutto questo viene evidenziato dallo spazio e dalla luce che si dirama oltre i limiti conosciuti della forma trasformando ogni esperienza onirico geometrica in una catalogazione cosmica dell’animo. Strutturazioni coeve e sequenziali assemblano razionalmente ideogrammi, istanti luminosi, inediti linguaggi, intercalando piani, setti cromatici, frammenti tonali. Dalle opere di Giovanni Mangiacapra affiorano innumerevoli realtà parallele oltre le convenzioni del visibile e dell’agire, generando corrispondenze e analogie tra creazione e genesi. Sentimenti dell’animo si fanno luce e approdano verso arcani arcipelaghi prospettici attraverso flebili e illusorie sinuosità narrative. Si assiste, ad uno scontro epocale tra linearità del tratto e dinamicità fluttuante della composizione, ora rotante, ora integrata tra dogmatiche sovrapposizioni orizzontali e verticali. Il purismo geometrico che si sovrappone ed è sostituito da spezzati ingranaggi di macchine sensoriali di una realtà sintetica, fluiscono nell’aria creando vortici dinamici di entità oniriche e vertigini ideali. La dimensione plastica della materia si dirama nello spazio alternando realtà trascendenti a lampi di luce abbagliante e infinita. L’essenziale incontra l’effimero, eros e thanatos dell’immaginario, alla ricerca dell’inedita forma, esiziale paradigma di un’ancestrale solitudine, muta testimone di continue sperimentazioni, sinuosità tattili, simmetrie sussultorie. Perfezione ed essenzialità germinali sequenze, sottesi intrecci, fluttuano liberi nelle lontane rimembranze segniche per divenire essenze di transiti e rivelazioni di idee organico primigenie. Segmenti iridescenti si sovrappongono, ordinati nello spazio, rimodellando atmosfere, entità fenomeniche di sapienti sussurri, variabili astrali di cristalline scansioni luminose, meditate modulazioni. Colore e Luce vibrano sensibilissimi sul substrato generando un armonico e affascinante equilibrio, quieto limite di arcane aspirazioni sensoriali, mitici destini, tensioni sacrali. Dopo l’approdo, ecco l’abbandono, ovvero il desiderio di nuovi orizzonti articolati da linee spezzate e filiformi che si incuneano in mirabili frammentazioni ideative, sintomo di smarrimento esistenziale e deciso allontanamento da una realtà ormai aliena. Come lame percettive, simboliche linearità complesse s’insinuano sul substrato trasfigurando le essenziali casualità tonali delle composizioni in analitiche volontà rappresentative. Vibratili strutture appaiono come affascinanti tensioni di cristallina innocenza espressiva sospese tra una fenomenologia evocativa e una sintetica esperienza visiva. Oltre il rapporto spazio- tempo Giovanni Mangiacapra medita sull’irrevocabilità del frammento, sulle tracce armoniche delle forme geometriche che reggono l’universo alla ricerca delle primordiali temporalità oggettive. Il frammento, lontano dal suo contesto naturalistico, estende la sua presenza tra sovrapposizioni e integrazioni di materia pittorica generando un affascinante intreccio ritmico. Per il rivoluzionario Mangiacapra il tempo è come ibernato, purificato, trasfigurato da un’inedita linfa vitale. Il ritmo del continuo mutare del tempo genera cangianti armonie delle tonalità ma decreta un nuova visione creando, un modulo tra sperimentazione e innovazione del pensiero . La razionale schematizzazione geometrica non mira a ricomporre una visione plastica e geometrica dello spazio ma a definire nuove possibilità della superficie pittorica. La scomposizione e ricomposizione del substrato crea un reticolo continuo di nuove forme, proporzionali tra loro, tese a dilatarsi cercando sensoriali linee curve, inattese percezioni, distinte rivelazioni casualmente interrotte. Tracce di arcane funzioni della materia pittorica trovano un nuovo tempo, un’improvvisa neo oggettività. La realtà pittorica in Giovanni Mangiacapra è rappresentata per frammenti, integrazioni, assetti compositivi, alla assidua ricerca della ancestrale espressione visiva dell’esperienza collocata nell’eterna trasfigurazione percettiva dell’universo. Oltre la concezione convenzionale del dipinto l’artista supera l’aspetto sentimentale ed emotivo della composizione per donare a quest’ultima un aspetto eroico, sospeso in una dimensione sovra sensoriale e infinita. Le tonalità di Giovanni Mangiacapra, sempre omogenee e cangianti, vivono una realtà bidimensionale, irrevocabilmente illimitata, generando inedite corrispondenze tra interpretazione e rappresentazione, dinamicità e immobilità. Acquisite sublimazioni emozionali attraversano velocemente lo spazio pittorico generando realtà complesse scomposte e immediatamente ricomposte tramite variabili modularità. Miti e accadimenti si susseguono ordinati all’interno di un luogo perfettamente delimitato, sensibilissimo e mutabile. La giustapposta sovrapposizione delle tonalità abolisce le tenebre, l’oscurità, la finitezza strutturale. La luce è totale e totalizzante, supera le angosce del vivere e dell’esistere, assume nelle figurazioni l’abbagliante essenza di un ininterrotto fregio classico continuo. Il rapporto tra materia e forma si dilata, evoca profondità lineari e sottesi segmenti in un ambiente volutamente differenziato e avulso da secolari e contemporanee contaminazioni. Ogni frammento è immediatamente materia pittorica, risonanza, omogeneità d’intenti in un continuo sovrapporsi di forme, strati, ritmicità. Meta racconti, variazioni, accordi tonali, inondazioni di luce accelerano moti rotanti e inquieti. Rarefatte atmosfere si vaporizzano alla presenza di un flebile respiro che diviene unico testimone di profonde sofferenze. Quali mondi qui vivono, quali accadimenti si diramano in questo spazio apparentemente asettico. Tutto è come sospeso, bloccato, cristallizzato da figurazioni che appaiono come irrevocabilmente silenti. La verità è nascosta, mimetizzata, giustificata da evocazioni allusive alla ricerca di un luogo, un’oasi di pace, un destino. Un’impalpabile sensazione di solitudine aleggia drammatica, avanza minacciosa e inestricabile tra gli animi e i desideri di libertà e di vita. Oltre la tragica gravità dell’esistenza, la forma sublima in un inconsapevole mito di effimera speranza, sottesa in un’instabile atmosfera nell’immensa, irrevocabile caducità della materia. Un complesso irradiarsi nello spazio di strutturati piani costruttivi diviene significativo istante ideativo, autentico paradigma di fondamentale rigenerazione plastica. Segmenti iridescenti si sovrappongono ordinati generando affascinanti diaframmi sequenziali sospesi da un’elegiaca melodia, colta e vibrante, diffusa flebilmente nello spazio. Tracce di purissime linee si ricompongono libere sopra cangianti superfici, ampie e mutevoli, simili ad infinite città cinetiche e spazi urbani modulati dove il colore, libero dalle naturali funzioni, acquisisce maggiore autonomia interpretativa espandendosi in correlate emulsioni sensitive. Le forme strutturate evocano una trasognante omogeneità di sensi rispettando perfettamente i limiti del perimetro formale. Sintesi, azione, regola e sequenza s’inerpicano oltre le consuete simbologie generando corrispondenze con l’antico, la mitologia, i quattro elementi della creazione. Giovanni Mangiacapra è alla ricerca della forma archetipica, ignoto e ineccepibile tassello della struttura universale, mito e unicum dell’essere oltre l’agire, riflesso concreto di un mondo lineare astratto. La scomposizione dell’oggetto geometrico non perde o nasconde la forma primordiale ma la evidenzia seguendo la legge dei contrasti simultanei, delle dinamicità cromatiche, delle diffuse e animate sovrapposizioni. La scelta di Mangiacapra pone, in parallela antitesi, armonia e dilatazione, staticità e direzionalità d’intenti alla ricerca di altre integrazioni temporali, altre irrevocabili ubiquità. Essere di un luogo e non esserlo, viverlo, per osservarlo in lontananza, evidenzia tensione, sofferenza, inquietudine, accostamento e disgregazione della forma. La primordiale geometria assoluta, volutamente si sfalda e fluisce quasi liquida sul substrato per poi ritornare, repentinamente concreta, nella comune volontà di ridefinire una base integrata e congruente. La sua visione plastica suffragata da reciproci incontri di linee verticali e orizzontali pone in evidenza il drammatico confronto tra individuo e spazio, sperimentazione e sintesi, spiritualità e destino. Nella pura estasi contemplativa Giovanni Mangiacapra inserisce nei suoi dipinti forme semplici, cromaticamente omogenee, provenienti da una personale gamma di tonalità, straripante espressione di un io profondo e occulto. Colore e Luce vibrano sensibilissimi sul substrato generando una costante e continua meditazione sullo spazio, le forme primordiali, le corrette proporzioni. Silenti corpi geometrici interagiscono tra loro creando un armonico e affascinante equilibrio, quieto limite di arcane aspirazioni sensoriali. Delicatissime sovrapposizioni tonali assumono l’identità di accumuli di memoria, eclatanti rimandi di sottili essenze floreali, organicamente disposte per scansioni, assonanze, razionali emotività. La vitalità sensibile si dilata nello spazio percettivo divenendo terapia poetica parallelamente strutturata ad una corroborante ricerca sperimentativa. Mutevoli condizioni sensitive generano nuovi flussi temporali, inediti concetti geometrici, innovative idealità progettuali. Un rigore metodologico di grande intensità ideativa, genera un sottile lirismo poetico modulato tramite delineate scansioni compositive. La forza dei segni si amalgama idealmente alla magia suadente dei colori in una dimensione eterea e silente dove le geometrie trovano il loro manifestarsi nel cielo,nel moto degli astri, nel ritmo segreto dei tempi. Forme sintetiche trovano il loro spazio sotteso da rigorosi e costanti equilibri congiunti da linee accidentali e perpendicolari in simbiosi con la luce. La sua autonomia pittorica lo vede librarsi oltre i confini del visibile e ascendere in una dimensione atemporale dove le velocità dinamiche si acquietano proiettando la luce in un contesto astratto. La rigorosa corrispondenza tra forma e colore esalta il sogno aereo delle suggestioni tonali dove il frammento è piegato da un volere astrale, curvato nella dimensione spazio temporale, strutturato con le medesime assonanze del primigenio elaborato. Le profondità più nascoste dell’animo virano verso impercettibili vibrazioni divenendo unici testimoni di brevi istanti dell’esistenza. Contorsioni strutturali partecipano a una nuova visione dello spazio ricreato da cosmiche deflagrazioni mediatrici di un ritrovato equilibrio. Iperboli sensitive defluiscono in liquide memorie, essenze rivelatrici di suadenti emanazioni dell’anima tese a una assoluta trascendenza. Fluide cromie, di incomparabile finezza, plasmano il silenzio, disegnano nel vuoto un leggero movimento, diffondendo nell’aere uno stato di ebbrezza, un anelito di libertà che diviene incantata melodia animata da una forza invisibile, da una ritmicità concitata, sconvolta da un vento fortissimo, che soffia senza tregua sui destini del creato. Nascoste simbologie di verità sottese si espandono sul substrato intime dissolvenze, presagi compositivi, dissoluzioni percettive che impongono, con il loro divenire, un senso di sconcertante irrevocabilità. Tracce connotative di un distacco sensoriale diventano incontrastate icone di germinali visioni simultanee, flash di intrecci multimediali, sensitivi messaggi subliminali. Vertigini dirompenti trovano la loro forza espressiva nell’energia del gesto, ricostruendo un paradisiaco universo estetico tra interrelazioni di forma e onirici paradigmi tonali. Gesto e poesia si fanno forma vibratile e ricercata figurazione che si diramano attraverso ideali stratificazioni dell’interiorità, carichi di accese tonalità dalle raffinate tridimensionalità tattili. Lontani orizzonti dell’anima, sentieri della memoria, vie inesplorate ai confini di un universo indefinito, aleggiano sopra ipotetici, assolati deserti inseguendo il silenzio, appena velato da una tenue e opaca luce. Forme irregolari ricostruiscono lontani accadimenti, fili imperscrutabili di lontane esistenze, ponti virtuali tra memoria e realtà sintetica sottese tra enigmatiche emozioni e indefinite atmosfere. Un’inquieta idealità s’insinua tra le effimere e mutevoli sovrapposizioni sequenziali evocando arcane metamorfosi oltre un onirico limite, dove folgoranti e intense cromie accendono trasognate trascendenze. Sensibilità materica, sublimazione emozionale, tensione plastica rappresentano gli aspetti più significativi del fare artistico di Giovanni Mangiacapra, da sempre impegnato nella istintiva e sapiente ricerca di una trasfigurata rappresentazione percettiva. La luce di un tempo irreale, fluttua in una dimensione parallela, vaga come un viandante verso le origini del cosmo, divenendo icona rivelatrice di un cammino ormai tracciato. Le composizioni veleggiano tra un idealizzato confine terreno e un evocato orizzonte celeste, sotteso tra indefinite voci e irraggiungibili echi. Un’impalpabile gravità sensoriale accende le gradazioni tonali risaltando l’effetto luce di attraenti vibrazioni, sublimate in un seducente fluido multicolore. Come luoghi trasfigurati dall’immaginazione, oltre una realtà oggettiva, specialmente in questa opera di Giovanni Mangiacapra che ci invita ad una silente contemplazione che sono lontano dagli accadimenti della quotidianità, lo spazio diviene armonia e struttura sensibile. L’elegante sequenza tonale appare come un affascinante viaggio nei simboli arcaici testimoni di astratte meditazioni sulla materia e sulla forma dalle quali si eleva una indefinita atmosfera dalle futuribili, affascinanti valenze espressive. La raffinata intimità tonale diviene sensibile sollecitazione di idealità, fugace e fuggevole presenza, immediatamente dissolta da turbinii incontrollati oltre la sfera dell’immaterialità. La sintetica ricerca di Giovanni Mangiacapra dell’ assoluto ovvero, di unita che delinea impercettibili tracce che sublimano a un’aurorale, sincretica nuova vita. Frammenti disegnati interrogano passato e presente tramite meditate scomposizioni e cangianti ricomposizioni tonali. Un fluido, pulsante e impetuoso, scorre sotterraneo nei meandri percettivi dell’artista alimentando un luogo incantato, evocato come fenomeno di luce e colore, verità e vita oltre la vita. L’invisibile sentire di una realtà, al di là dalla mimesi, diviene esercizio spirituale, aspetto emozionale della pittura destinato ad esplorare il mondo, alla ricerca del progetto ideale. Declinazioni dell’immaginario animano la profonda sensibilità dell’artista nell’intento di conservare e proteggere dall’oblio, oggetti lontani, essenze del vissuto, lievissime sensazioni. Equilibrate trasparenze cromatiche si aggregano in liquide e sensuali modulazioni segniche, si espandono nello spazio attuando una sintetica rigenerazione tonale. Inedite incandescenze cromatiche accentuano la convulsa aggregazione delle tonalità dando origine ad una magmatica cascata di energia dalle sublimi valenze espressive. Intuizioni premonitrici mutano le forme occupando spazi paralleli non più definiti da una realtà precostituita ma luoghi senza memoria, dove la materia trova la sua nuova vocazione.




Imperscrutabili equivalenze appaiono come estroflessioni parallele di un logos universale, sintesi tra emozione e materia, anima e spazio. La fine spiritualità di Giovanni Mangiacapra veleggia sul substrato, divenendo entità rivelatrici d’inesplorati rimandi, irrefrenabili tensioni verso l’assoluto, vibrazioni cosmiche tra terra e cielo, tracce indissolubili tra espressione ed evento, tra destino e avventura, tra poesia interiore e silenzio.
Biografia di Giovanni Mangiacapra
Nato nel 1955 a Napoli dove vive e lavora. Nel 1984 si laurea in Sociologia con una ricerca sperimentale sulla salute ed i suoi paradigmi sociali e psicologici. I suoi studi si perfezionano in seguito sulla comunicazione pubblica ed in particolare sui servizi ospedalieri collaborando, in una ricerca con il Tribunale dei Diritti dei Malati presso il CNR di Napoli, sulle analisi di qualità. Lavorerà per i seguenti quarant’anni nelle strutture ospedaliere e nei servizi delle Unità di Pubbliche Relazioni.Inizia la sua attività artistica negli anni ’70, con una mostra collettiva organizzata dal centro Don Gnocchi di Parma, dove riscuote interesse per i paesaggi dipinti con tempera su carta, compensato e stoffa. La sua prima mostra personale, descritta dall’artista come la sua “prima grande emozione artistica”, si tiene nel suo quartiere di Ponticelli nel circolo di Gian Battista Vico. In questo periodo dipinge le fabbriche, le case ma già guarda alla natura come processo da difendere, da curare ed amare. L’aspetto figurativo della sua pittura verrà poi sostituito dalla sperimentazione di materiali e colori. Poco influenzato dalle varie tendenze artistiche con le quali viene a contatto, giunge ad un’interpretazione personale dell’Informale, anteponendo il suo senso di libertà ed autenticità espressiva alla disciplina tecnica. Il corpo partecipa al compimento creativo come parte organica del campo artistico, dando “Corpo” in un significato pratico che germoglia lentamente e tenacemente secondo una nuova intensità e un nuovo colore di vita. Una ricerca sempre sorretta da una rigorosa e severa “spiritualità” al cui attento vaglio sono sottoposti gli spessori cromatici della materia.Una figura costante nel panorama artistico italiano, le sue mostre collettive e personali ottengono sempre riconoscimenti dalla critica. Le sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche.Presidente dell’Associazione Connessioni, che si occupa della promozione sociale dell’arte e degli artisti, Giovanni Mangiacapra collabora inoltre con cooperative sociali ed associazioni di divulgazione culturale. In particolare, si specializza nelle attività di laboratori artistici come arte-terapista del disagio sociale.Oltre alla pittura, la grande passione dell’artista è il suo giardino mediterraneo con le sue numerose piante grasse. Viaggia da sempre visitando tanti paesi d’Europa e del mondo.