Investire nell’istruzione è fondamentale per formare i cittadini del futuro che si prenderanno cura del pianeta. L’istruzione è l’arma perfetta contro la crisi climatica. Perché il clima colpisce anche la scuola, sono tantissimi infatti gli studenti che per colpa dei danni provocati dagli eventi climatici estremi si ritrovano a non poter tornare nelle loro aule. I giovani affronteranno disastri naturali con una frequenza maggiore rispetto alle generazioni precedenti, ma già oggi patiscono le conseguenze di una crisi che mette a rischio il loro futuro economico e sociale. Oltre a ostacolare l’accesso alle strutture scolastiche, la crisi climatica rischia di danneggiare pesantemente l’apprendimento delle nuove generazioni, limitandone la capacità di collaborare a una crescita economica più sostenibile. Nel 2022 sono stati circa 400 milioni gli studenti in tutto il mondo che hanno dovuto affrontare la chiusura delle scuole a causa di eventi meteorologici estremi. Un dato allarmante, riportato dal recente rapporto sull’istruzione da parte della Banca mondiale «Choosing our future: education for climate action», che evidenzia come i cambiamenti climatici stiano colpendo l’istruzione, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito. Nei paesi più poveri ogni anno gli studenti perdono in media 18 giorni di scuola a causa di eventi climatici estremi, contro i soli 2,4 giorni nei paesi più ricchi. La media globale è intorno agli 11 giorni, ovvero il 6 per cento di un anno scolastico. Questo divario sottolinea la fretta di proteggere l’istruzione dagli effetti devastanti del clima: più tempo si perde e più la perdita di scolarizzazione provocherà una significativa lacuna di apprendimento nei bambini dei paesi in difficoltà economica. Il quadro è preoccupante ma le soluzioni esistono. Alla base di tutto ci sono gli investimenti, l’adattamento delle infrastrutture scolastiche incide sulla continuità dell’apprendimento. Modificare gli edifici per affrontare le nuove condizioni climatiche è importante per diminuire le interruzioni e perfezionare l’ambiente educativo. Ma la voglia di fare qualcosa non basta, servono anche le competenze necessarie per farlo. In otto Paesi a basso e medio reddito, quasi il 79 per cento dei giovani ritiene che il proprio Paese stia combattendo un’emergenza climatica e il 65 per cento ha paura per il proprio futuro se non acquisirà competenze «verdi». Allo stesso tempo, il 60 per cento degli studenti afferma di non aver ricevuto un’adeguata formazione su questi argomenti. D’altro canto, anche i docenti sono in difficoltà: quasi l’87 per cento degli insegnanti, in sei paesi a basso e medio reddito esaminati dal rapporto della Banca mondiale, dichiara di parlare di clima nelle proprie lezioni, ma il 71 per cento non è sufficientemente preparato sul tema. Un altro aspetto critico sta nell’inserimento delle competenze verdi nei curricula scolastici. Non servono solo le competenze cosiddette «Stem» (science, technology, engineering e mathematics) per i «green jobs». Le competenze verdi includono tanto abilità tecniche quanto socio-emotive e trasversali. Anche su questo punto c’è un divario di pensiero: in otto paesi a basso e medio reddito, circa il 45 per cento ritiene che il clima debba essere una materia separata, mentre gli altri pensano che dovrebbe essere trasversale e perciò integrata nelle discipline esistenti. Questo rapporto lancia un messaggio forte e chiaro: l’istruzione non serve soltanto per affrontare i danni causati dal clima, ma anche per innescare l’azione necessaria a limitare gli effetti. Investire oggi nell’istruzione è una delle soluzioni più adeguate a creare un futuro sostenibile. Grazie a interventi mirati e costi relativamente contenuti si protegge l’istruzione e si gettano le basi per una crescita economica più verde e resiliente.
N.A.