19 marzo, 2024

Sudafrica rivuole il diamante dello scettro regale

“Quel diamante deve tornare in Sudafrica. È il simbolo del nostro orgoglio, della nostra storia e della nostra cultura”. L’appello dell’avvocato e attivista Mothusi Kamanga è rivolto direttamente alla famiglia reale britannica, nei giorni dell’incoronazione di Carlo III d’Inghilterra. Kamanga, che vive e lavora a Johannesburg, si batte per il ritorno in patria il Cullinan I, noto anche come Grande stella d’Africa, il più grande diamante grezzo conosciuto, del valore di 530 carati e 400milioni di dollari. L’Impero britannico se ne impadronì nel 1905 – quando era potenza coloniale in Sudafrica – per inserirlo nello scettro regale. Il Cullinan I era stato tagliato da una pietra ancora più grande, il Cullinan, di 3.100 carati, da cui fu ottenuto anche il Cullinan II, che venne invece inserito tra le gemme della corona. Approfittando del fatto che tra pochi giorni i riflettori del mondo saranno puntati sui gioielli della corona – l’ultima volta avvenne oltre 70 anni fa, quando toccò a Elisabetta II salire al trono – l’attivista ha lanciato una petizione online che ha raccolto in poche ore migliaia di firme. Alla stampa ha dichiarato: “Penso che i sudafricani stiano iniziando a rendersi conto che decolonizzare non significa solo lasciare che le persone abbiano certe libertà, ma anche riprendersi ciò che ci è stato sottratto”. La rivendicazione dell’avvocato sudafricano non è l’unica in questi giorni. Migliaia di esponenti delle comunità native in Oceania e nelle Americhe hanno chiesto “scuse ufficiali” da parte di Carlo per le violenze, gli espropri e le uccisioni commesse dalla Gran Bretagna in epoca coloniale. In una lettera siglata da esponenti di 12 Paesi, è stato chiesto che il re “riconosca” quei fatti e versi risarcimenti economici per i danni commessi alle popolazioni e ai territori, allo stesso tempo permettendo la restituzione di artefatti e altri beni sottratti. Tra questi, c’è Lidia Thorpe, senatrice australiana di origine aborigena che durante il suo giuramento in Parlamento aveva già definito la regina Elisabetta “una colonizzatrice”. Attraverso il Commonwealth la corona britannica è infatti riferimento per una quindicina di altri Paesi nel mondo, tra cui Australia e Canada, ed è ad essa che i politici giurano lealtà. In una recente intervista Thorpe ha detto: “Il cosiddetto re deve essere ritenuto legalmente responsabile. Abbiamo bisogno di lui, deve essere parte dell’eredità dei suoi antenati che hanno commesso così tanti danni, affinchè si scusi”. La Gran Bretagna, come tante altre nazioni dal passato coloniale, è accusata di aver commesso stragi o altri crimini come genocidio di nativi, tratta di schiavi, distruzione di villaggi, confisca di terre e possedimenti. Paesi come Germania e Francia negli ultimi anni hanno cercato di porre ricomporre queste fratture a partire dalla restituzione degli artefatti. Gli appelli al Regno Unito invece si moltiplicano, come quello giunto da un’archeologa egiziana, che ha chiesto al British Museum di restituire la celebre Stele di Rosetta, oppure quello giunto dall’India all’indomani della morte di Elisabetta per riottenere il Koh-i-Noor (“montagna di luce” in lingua farsi), il diamante da 105 carati estratto nel XVIII secolo e anch’esso incastonato sulla corona.

Alessandra Fabbretti