Gazzettino Italiano Patagónico

Sguardi  di Confine – l ’arte femminile tra archeologia e presente

in mostra al MAV di Ercolano

Giovanni Cardone 

Fino al 2 Aprile si potrà ammirare al MAV- Museo Archeologico Virtuale di Ercolano – Napoli la mostra Sguardi  di Confine – l ’arte femminile tra archeologia e presente Direzione Artistica di Giovanni Magiacapra Testo Critico di Rocco Zani. L’esposizione organizzata da Connessioni aps e da Linea_Roma in collaborazione con il Comune di Ercolano, The Spark Creative Hub, rosarydelsudArt News e Guterrnberg edizioni.  La mostra sarà accompagnata da presentazioni di libri e lettura di poesia.  Nel percorso che mi portava ad Ercolano, in una città che è un museo a cielo aperto ho potuto ammirare questa mostra fatta di dieci artiste di livello internazionale dove l’arte concettuale era alla base della loro ricerca, apro questo mio saggio storico dicendo : Se quindi prendiamo in considerazione l’impiego dell’arte concettuale fu diretta a ridurre al massimo il margine di ambiguità e polisemia del significato dell’arte, d’altra parte essa può però essere considerata come una vera e propria tecnica provocatoria e ironica sull’arte e sulla sua definizione. Attraverso tale procedimento infatti la questione dell’arte venne affrontata in termini retorici, attraverso un circolo di ragionamento piuttosto vizioso che mirava a non dare altre possibilità oltre a quelle che venivano mostrate dalla relazione dei segni fra loro. Allo stesso tempo, tuttavia, la tautologia rappresentava il primo stadio del processo logico attraverso il quale gli artisti concettuali affrontarono le questioni sull’arte, mentre il secondo momento era dato dall’identificazione dell’opera con un enunciato analitico, logico. Entrambi i due momenti dovevano poi rispondere allo stesso fine, ovvero, sottrarre l’arte e il suo significato dal tradizionale referenzialismo. Questo punto cruciale si può comprendere analizzando soprattutto la riflessione sul segno iconico: secondo il senso comune, infatti, ad esso è stato collegato un valore di perfetta somiglianza con il reale, tant’è che anche la recente indagine semiotica sostiene l’appartenenza del segno iconico soprattutto al dominio convenzionalistico. Sotto questa luce quindi le investigazioni di Kosuth sembrano allora indagare proprio attorno a questo preciso problema: le sue proposizioni artistiche, essendo nello specifico proposizioni linguistiche, vogliono infatti mostrare la natura convenzionale del linguaggio, tra cui quello iconico, criticando quindi ogni forma d’arte fondata sulla relazione tra immagine e oggetto. Un esempio fondamentale a sostegno di ciò è la famosa opera One and three chairs del 1965 , in cui l’artista presentò una sedia vicino alla fotografia di una sedia e alla definizione della parola sedia presa da un dizionario: in questo caso la relazione si definisce tra le definizioni verbali e iconiche dell’oggetto. L’opera sottolineò quindi l’esclusione di ogni forma di referenzialismo , facendo invece propria l’idea che “il significato di un segno è il segno in cui il primo può essere tradotto”, ovvero il significato viene pertanto stabilito su un piano rigorosamente linguistico attraverso un procedimento di tipo intersemiotico in cui la catena degli interpretanti è infatti costituita esclusivamente da segni verbali e visivi. Ciò che contava quindi nelle proposizioni concettuali non era tanto l’oggetto o il modo in cui questo poteva essere rappresentato, bensì il giudizio che definiva l’oggetto e il suo statuto artistico. Da tutto questo si poteva allora sviluppare la tendenza metalogica e metalinguistica che permetteva all’artista di passare dal piano espressivo a quello analitico, entrando così in un meccanismo efficace in cui sarebbe stato possibile fare l’arte e creare nello stesso momento un discorso sull’arte. Infine quindi l’Arte concettuale assunse come proprio il modello del linguaggio scientifico per allontanare tutte le componenti legate alle emozioni e all’espressività, riducendo così la teoria e la pratica dell’arte alla base del pensiero scientifico moderno, nonché del positivismo logico.

Se quindi l’utilizzo del linguaggio scientifico portò all’instaurazione di un rapporto opera-fruitore inteso come pura trasmissione di un’informazione, tale relazione tuttavia non possedeva veramente un carattere unidirezionale: alla fine dei conti il messaggio poteva infatti essere ricostruito soltanto attraverso un intervento diretto ai processi mentali del destinatario. Per tale ragione, infatti, era proprio la struttura dell’opera ad agire da stimolo mettendo in azione un processo di riflessione sui singoli atti di coscienza in cui soggetto e oggetto erano partecipanti attivi del percorso dell’informazione. Alla luce di ciò, i primi concettualisti individuarono quindi nel contesto linguistico una certa coerenza interna che utilizzarono come terreno fertile per la conferma delle loro tesi. Tuttavia, successivamente il linguaggio si mostrò loro in tutta la sua straordinaria veste sfaccettata, indicando così molto di più di quello che venne professato dalle loro prime austere posizioni. E quello che ho visto in queste dieci artiste che nelle loro opere dove, istallazioni e pittura sono tutt’uno . Il tutto viene ampiamente descritto nello scritto critico di Rocco Zani che dice : Non credo che esista un’arte dichiaratamente e condizionatamente al femminile. Come non credo che esista un’arte di genere capace di accogliere e raccogliere in un’unica agora il senso intimo della ricerca, della travalicazione, del dubbio, dell’ascolto. Eppure accade – e siamo qui per sostenerlo e ribadirlo – che sopravvive, alimentandosi, quella che la mia amica Loredana Rea (a lungo direttrice della Fondazione Umberto Mastroianni) ha definito su una tematica analoga,  “una identità culturale della donna” che la pone, al contempo, quale soggetto e oggetto del dire. Ed è questa identità che poniamo in campo oggi : una straordinaria raccolta di opere, di aliti, di rifiati. Una identità culturale e artistica che è privilegio e penna di ognuna, esercizio e indagine, sintesi e percorrenza. Non c’è la necessità di sottolineare (anche in questo ambito) la presenza delle cosiddette “quote rosa” per scardinare un sistema (anche in questo ambito) a trazione maschile. No. Non c’è questa necessità. C’è piuttosto il fermo intendimento di ribadirne la presenza come anime testimoniali, come sguardi visionari, quasi custodi di segreti poetici. E poi c’è, mi pare, la cognizione di essere artiste a tutto tondo. Ovvero detentrici di una coscienza che fa di voi scrigni preziosi e affollati di tacce, di indizi, di rotte, di significati più o meno dolenti. Ma a questa condizione desidero attribuire un ulteriore ruolo e peso. Quello di essere – proprio per identità culturale – un vero e proprio presidio di ascolto e di pronuncia. E assai spesso, fortunatamente, di denuncia. Un ruolo e un peso che si fa politico, relazionale, ideologico, direi perfino taumaturgico. Perché siete più di altri – e lo dico senza retorica alcuna – sentinelle oltre la collina. Pronte a cogliere e a ricevere – assai spesso in anticipo – il senso, ovvero la sostanza, del divenire. Lo dimostrano le vostre opere, i vostri sguardi, le vostre parole dimesse, quasi sottovento. Ecco, questo ciclo di opere pare farsi luogo di questi intendimenti, di queste aspirazioni. E pertanto luogo magico di suggestioni, di confronto, di accoglienza, di uso collettivo. L’8 marzo – che noi viviamo idealmente oggi – non è soltanto una data iconica, rievocativa o addirittura riabilitativa. E’, grazie a voi il nostro quotidiano. Quello fatto di ascolto, di tolleranza di libertà, di partecipazione. Per ogni ora del giorno, per ogni giorno dell’anno. E allora, a conclusione di questo mio breve intervento, non posso non ringraziarvi. Ho avuto il privilegio di conoscervi, di incrociare le vostre parole, di riflettere sulle vostre opere. Qui all’ombra del vulcano, ho avuto in dono la vostra arte, fatta di approdi, di ripensamenti, di storie fragili, di percorsi inconsueti, di generosità. Oggi Virginia Carbonelli, Mariangela Calabrese, Anna Di Fusco, Susanna Doccioli, Bahar Hampezour, Diana D’Ambrosio, Barbara Martini, Isabella Nurigiani, Rossella Restante, Raha Tavallali si fanno testimonianza incalzante di un mondo – quello femminile – che non ha avuto sconti o privilegi, o immunità di sorta. Sono loro, le artiste, l’esito temporale, e quindi transitorio, di una memoria comunque stipata. Narrano la Storia: quella individuale e comunitaria, una Storia di debolezze e di dispute, di silenzi, di distacco, di faticosa presenza. Per segnali di fuoco e di sangue, per dorature pallide, per morsure e lesioni, per corpi dissennati e voci di dentro.

Tutto ciò accade in un “paesaggio” che è spazio del cielo e dell’anima, del bronzo e delle nuvole, pancia dei mille racconti e dei mille rifiati. Un pezzo di mondo unico ma collettivo dove ogni occhio è stato – ed è – guardiano, alito, sortilegio. Espongono le seguenti artiste : Virginia Carbonelli, Mariangela Calabrese, Anna Di Fusco, Susanna Doccioli, Bahar Hampezour, Diana D’Ambrosio, Barbara Martini, Isabella Nurigiani, Rossella Restante, Raha Tavallali.

MAV- Museo Archeologico Virtuale di Ercolano – Napoli 

Sguardi  di Confine – l ’arte femminile tra archeologia e presente

dal 5 Marzo 2023 al 2 Aprile 2023

dal Martedì alla Domenica dalle ore 10.00 alle ore 17.00

Lunedì Chiuso  

Te esperamos en Buenos aires Sur 750, Plottier, Neuquén

📍Buenos Aires 326- Neuquén 📍Alem 853 – Cipolletti 🕢 Horario de atención en Cipo: Lunes a Viernes de 10 a 13 y de 16:30 hasta que no haya más pan! 🕢Horario de atención en Neuquén: Lunes a Viernes de 10 a 14 y de 16 hasta que no haya más pan! Sábados de 10 a 13 únicamente (en los dos locales)

Clases de Italiano con Nino Amato

Junto al Gazzettino GDS radio

Radio En vivo

Seguí al Gazzettino

A %d blogueros les gusta esto: