Li nascosero, li nutrirono, li aiutarono a fuggire: erano gli angeli segreti degli ebrei.
I “giusti” italiani che nello Yad Yashem hanno trovato il loro posto d’onore
di Generoso D’Agnese
«Nel giugno del 1942, a Leopoli, in circostanze insolite, una giovane SS che stava per morire mi confessò i suoi delitti. Voleva morire in pace, mi disse, dopo avere ottenuto il perdono da un ebreo. Ritenni di dover rifiutarglielo. Questa vicenda continua a tormentarmi. Così decisi di fissarla per iscritto, e alla fine del mio racconto rivolgo la domanda che ancor oggi merita una riposta, per il suo significato politico, filosofico e religioso: ho avuto ragione o torto negando il perdono?».
A rifiutare questa grazia al giovane nazista è Simon Wiesenthal, che dopo la guerra diventerà l’implacabile «cacciatore dei nazisti», oltre che autore di diversi libri. Per tutta la vita quel rifiuto continuerà a turbare Wiesenthal e il dubbio di aver commesso verrà fissato in un libro – Il Girasole – che ancora oggi rappresenta un tema di riflessione collettiva sul tema del perdono da parte di filosofi, storici e teologi.
Nato il 31 dicembre del 1908 a Buczacz in Ucraina, Simon Wiesenthal fu uno dei pochi fortunati che sopravvisse alla terribile esperienza dei campi di concentramento nazisti. Dopo la sconfitta di Hitler non tornò alla sua professione di architetto, ma si dedicò anima e corpo alla caccia dei criminali nazisti sfuggiti alla giustizia. Grazie al suo lavoro ne sono stati assicurati alla giustizia più di mille (tra questi Adolf Eichmann, ideatore dello sterminio di massa) ed é stata confutata l’odiosa teoria di un olocausto inventato ad uso dei mass media (Wiesenthal riuscì a scoprire l’ex nazista che aveva arrestato la famiglia di Anna Frank). Morto all’età di 96 anni (a Vienna il 20 settembre 2005) aveva lottato contro l’indifferenza e lo scetticismo di quanti non hanno mai creduto fino in fondo agli orrori dei campi di sterminio. “E’ molto difficile fare in modo che il pubblico comprenda realmente i crimini di costoro – spiegava – Ancora mi devo preoccupare di gente e gruppi che sostengono che l’Olocausto non è mai accaduto”. Il centro Simon Wiesenthal, fondato nel 1977 conta oggi 400mila soci, a dimostrazione di una memoria collettiva che non vuole dimenticare e che nel giardino dei Giusti di Gerusalemme e nel mausoleo dello Yad Yashem trova il suo giusto alter-ego in Moshe Bejski, cacciatore dei “giusti”.










Sopravvissuto alla deportazione grazie al coraggio di Schindler, Bejski fece della caccia ai coraggiosi salvatori degli ebrei la propria ragione di vita immortalando i loro nomi negli alberi del giardino. Una vera e propria foresta che oggi testimonia l’anima buona dell’umanità.
«Forse solo chi è stato braccato come un animale e ha provato a scappare dal destino amaro che lo attendeva, trovando però le porte chiuse di fronte alla ricerca di un rifugio per la notte, è in grado di apprezzare pienamente quelle persone eccezionali che in virtù della loro umanità e ragionevolezza si sono comportate diversamente dalla maggior parte degli individui, che assistevano con indifferenza a ciò che stava accadendo e senza far nulla per aiutare… »
Tra i 17433 “giusti” presenti sulla collina di Gerusalemme, sono molti i nomi italiani, nomi in gran parte sconosciuti alla maggioranza dei connazionali. Se Schindler, Perlasca e Wallenberg hanno giustamente meritato gli onori della cronaca, tanti altri hanno fatto ingresso nello Yad Yashem in punta di piedi, mantenendo fede a quella discrezione che rende ancora più straordinario l’atto di coraggio. Sul “Muro dell’onore” 295 vite sconosciute raccontano la triste favola di chi poté strappare qualche vita alla bestialità umana.
Giovanni Palatucci, nato a Montella (Avellino nel 1909) crebbe con gli insegnamenti morali degli zii Antonio e Alfonso, superiori provinciali dei Francescani conventuali in Puglia e a Napoli, e Giuseppe Maria, vescovo di Campagna. Laureatosi in giurisprudenza, nel 1932 divenne Vice Commissario di Pubblica Sicurezza e nel 1937 venne trasferito alla Questura di Fiume, ove negli anni successivi ebbe incarichi di Commissario e di Questore reggente e la responsabilità dell’ufficio stranieri. Sede di un’importante comunità ebraica, Fiume vide arrivare nel 1938 (l’anno delle leggi razziali) il prefetto Temistocle Testa, un funzionario che dell’antisemitismo ha fatto una bandiera.
Iscritto al Pnf, Palatucci era anche un cattolico di profonda fede e man mano che crebbe il pericolo per gli ebrei, egli si rifiutò di farsi complice delle persecuzioni.. Egli non volle allontanarsi da Fiume neanche quando il Ministero dispose nell’aprile del 1939 il trasferimento a Caserta. Quando nel giugno del 1940 scoppiò la guerra e gli israeliti di Fiume e dintorni furono arrestati ed accompagnati maggior parte al campo di concentramento di Campagna, Palatucci li raccomandò alla benevolenza di suo zio,
Vescovo di Campagna che da quella data si saldò inscindibilmente, con quella del nipote Giovanni; il giovane responsabile dell’Ufficio stranieri infatti, quando la via dell’emigrazione non era possibile, inviava gli ebrei presso il campo di concentramento di Campagna affidandoli alla protezione dello zio Vescovo. D’intesa con lo zio Vescovo, mise in opera ogni stratagemma per avviare là i profughi minacciati da immediati pericoli. Per non avere ostacoli dal Prefetto e dal Questore, presentava loro la soluzione dell’internamento nell’Italia meridionale come rimedio per liberarsi della presenza dei profughi che costituiva una minaccia per la sicurezza pubblica. Con la creazione della Repubblica Sociale ed il disfacimento dell’esercito italiano, Palatucci rimase solo in quella città a rappresentare la
faccia di un’altra Italia che non voleva essere complice dell’olocausto.
Nel novembre del 1943 il territorio di Fiume divenne una vera e propria regione militare e i nazisti potevano decidere vita e morte di chiunque. In una situazione disperata, Giovanni Palatucci decise di rimanere a Fiume e divenne capo di una Questura fantasma, rifiutando di consegnare ai nazisti anche un solo ebreo, anzi continuando a salvarne molti rischiando la vita. Nominato, da uno Stato che non esiste più, Questore reggente di Fiume, fece sparire gli schedari, diede soldi a quelli che avevano bisogno di nascondersi, procurò passaggi per Bari su navi di paesi neutrali. Dopo aver beffato i nazisti un’ultima volta e consigliato dai partigiani a lasciare Fiume, nel 1944 Palatucci venne arrestato dalla Gestapo e trasferito nel campo di sterminio di Dachau, dove morì a pochi a pochi giorni dalla Liberazione e a soli 36 anni, ucciso dalle sevizie e dalle privazioni e infine dalle raffiche di mitra.
Meno sfortunata fu la vita di Carlo Angela che in un angolo di Canavese, alle porte di Torino, seppe opporsi alla barbarie con i mezzi non violenti della «resistenza civile». Carlo Angela (padre del noto giornalista RAI, Piero) era il direttore sanitario della clinica psichiatrica privata Villa Turina di San Maurizio Canavese e divenne «giusto tra le Nazioni» il 25 aprile 2002, dopo un oblio di 56 anni dovuto alla sua straordinaria discrezione, e al suo assoluto riserbo, come se non avesse compiuto altro che il proprio dovere. Con l’aiuto di fidati collaboratori (Giuseppe Brun, Suor Tecla, Fiore Destefanis e Carlo e Sante Simionato) sottrasse vite altrimenti destinate alla distruzione nei lager e la sua azione eroica fu meditata, coerente, continuativa. Del suo coraggio non parlò, né se ne fece vanto e non chiese mai nulla in cambio. Villa Turina divenne luogo di rifugio per ebrei e ricercati fatti passare per malati di mente e tanti anni dopo fu soprattutto per merito dei «salvati» che questa storia si fece faticosamente strada. Dalle pagine di Venti mesi , edito da Sellerio e scritto da un ebreo salvato, emerge «il ritratto di un uomo che brilla di luce propria ed è la figura del professor Angela, del medico che accoglie i Segre e tanti altri nella sua clinica e riesce per venti mesi a proteggerli».
Carlo Angela nacque a Olcenengo, (Vercelli) nel 1875 e si laureò in Medicina nel 1899 a Torino. Maturò la esperienza di medico nelle lontane foreste congolesi, alle dipendenze dell’esercito coloniale belga, poi a Parigi, aderì prima a Democrazia sociale (sorta nel 1921 sulle ceneri del gruppo radicale) al socialismo riformista. Dopo aver accusato pubblicamente il fascismo per il rapimento e l’uccisione di Matteotti, Carlo Angela finì quasi «confinato» per oltre vent’anni dalle vicende politiche successive, a San Maurizio Canavese, presso la Casa di cura per malattie nervose e mentali Villa Turina Amione in qualità di direttore sanitario. In quegli anni iniziò la sua battaglia solitaria con le prime finte certificazioni per evitare il confino ai dissidenti. Seppur anziano, con moglie e figli, è artefice di una tra le più alte, insolite, rischiose vicende di questa particolare forma di resistenza civile, condotta con dignità e coerenza di principi, senza mai giurare fedeltà alla Rsi. Nella clinica diede ospitalità ad antifascisti, a giovani renitenti alla leva nell’esercito di Salò, falsifica diagnosi e cartelle cliniche, trasforma ebrei in ariani, sani in malati di mente. Costretto dall’autorità compila elenchi di anziani ebrei degenti, aggravandone lo stato di salute.
Odoardo Focherini, nato a Carpi e fervente cattolico, si formò nell’Azione Cattolica italiana, e si dedicò giovanissimo, al lavoro, alla carità e all’apostolato. Ottenuto il diploma di ragioniere, fu assunto dalla Stà Cattolica di Assicurazioni. Nel 1926 fondò lo scautismo a Carpi e ne fu capo a livello diocesano. Padre di sette figli, nel periodo della seconda guerra mondiale fu amministratore del quotidiano “L’Avvenire d’Italia”, che per le sue idee fu soffocato dal regime, e procurò documenti falsi, soldi, collegamenti utili all’espatrio verso la Svizzera ad almeno un centinaio di uomini e donne ebree. Continuò questa opera anche sotto l’occupazione tedesca e fu arrestato nel marzo 1944 a Bologna. Internato prima nel campo di Fossoli , poi in quello di Bolzano-Griese infine nel lager di Flossenbürg, dove dove morì il 24 dicembre del ’44. La Chiesa cattolica ha avviato per lui il processo di beatificazione, rendendo merito a un’opera coraggiosa che molti uomini di chiesa misero in atto durante le deportazioni ebree. Tra le tante storia, vanno ricordate quelle di Don Ferdinando Pasin, parroco veneto di S.Martino al quale l’Italia non ha dedicato né un monumento né una via e cui devono la vita duecentotrentaquattro ebrei. O quella di Don Francesco Repetto. Segretario del Cardinale di Genova, nascose e difese, alloggiandoli presso conventi e privati, sia gli ebrei genovesi che quelli profughi giunti in città dagli altri paesi d’Europa; fino a fornire loro documenti falsi e ad organizzare la fuga verso la Svizzera. Ricercato dai tedeschi, dovette trascorrere l’ultimo periodo della guerra da clandestino, sotto falso nome.
Marie Benoî, noto col nome di padre Maria Benedetto, nascose nel suo convento di frati cappuccini a Roma, 2500 ebrei italiani e 1.500 profughi provenienti da Francia, Jugoslavia e da altri paesi. Il gruppo di padre Benedetto nascondeva i profughi essenzialmente in appartamenti e pensioni o in istituti religiosi, mentre un centinaio di conventi e 55 monasteri diedero rifugio ad altri 4 mila 447 ebrei.
Don Enzo Baldoni diede rifugio a numerosi ebrei giunti nel piccolo comune di Quara, e salvò più volte con le sue parole la popolazione dai rastrellamenti tedeschi. Aiutò indiscriminatamente i partigiani, gli ex prigionieri alleati, la sua gente, bussasse alla sua porta. Grazie alle sue doti logistiche riuscì a far sopravvivere tutto il paese per quindici giorni in mezzo ai boschi.
Don Dante Sala si distinse invece a San Martino Spino, in collaborazione con Odoardo Focherini, nell’opera di salvezza di 105 ebrei, facendoli espatriare in Svizzera dopo averli accompagnati personalmente al confine e aiutato dai contrabbandieri. Padre Giuseppe Girotti (in odore di beatificazione) venne ordinato sacerdote a Chieri, si specializzò presso la celebre “Ècole Biblique” di Gerusalemme e si dedicò all’insegnamento della Sacra Scrittura nel seminario teologico domenicano di Torino (S.Maria delle Rose). Stimato per la vasta cultura, amava esercitare il ministero sacerdotale anche tra la gente povera e umile, specialmente nell’Ospizio dei “Poveri Vecchi”, e non esitò a soccorrere particolarmente gli ebrei perseguitati. Arrestato passò attraverso le carceri di Le Nuove (TO), di San Vittore (MI), di Bolzano per arrivare infine a Dachau dove morì nel giorno di Pasqua , il 1° aprile del 1945.
Nato nel 1914 da una povera famiglia di contadini, padre Aldo Brunacci aveva studiato a Roma, nell’ambiente delle organizzazioni giovanili cattoliche e imparò a pensare con la propria testa, senza subire la propaganda del fascismo. Con l’Armistizio, nel settembre 1943, Assisi si riempì di ebrei in fuga e i frati e il vescovo di Assisi, monsignor Giuseppe Placido Nicolini, travestirono più di trecento ebrei vestiti da frati e da suore, nascondendoli nei sotterranei e nelle cantine. Padre Brunacci, come collaboratore principale del vescovo, si trovò a gestire questa massa di gente, a nutrirla, proteggerla, procurare documenti falsi, affrontare i nazisti e i fascisti, spostare quelli più a rischio, curare gli ammalati, occuparsi dei non pochi bambini. Padre Brunacci fu arrestato dalle autorità fasciste, ma grazie all’intervento del Vaticano poté essere rilasciato dopo un periodo di detenzione.
E tra i giusti vi furono anche tanti pastori di fede protestante. Uno su tutti, Daniele Cupertino, pastore avventista, che insieme alla moglie Teresa Morelli ospitò gli ebrei perseguitati dai fascisti nella sua casa di Roma, dal 1941 al 1945, e per questo venne insignito dalla massima onorificenza dello Stato d’Israele.
Tra il ’43 e il ’45, secondo le stime dei ricercatori, gli ebrei perseguitati che non vennero deportati o uccisi in Italia furono circa 35.000. Circa 500 di essi riuscirono a rifugiarsi nell’Italia meridionale; 5500-6000 riuscirono a rifugiarsi in Svizzera e gli altri 29.000 vissero in clandestinità nelle campagne e nelle città, grazie all’aiuto di tanti italiani che opposero una “resistenza non armata” alla barbarie tedesca e fascista.
GLI ANGELI SEGRETI
LISTA COMPLETA DEI “GIUSTI” ITALIANI
Adami Ulisse e Ade, Alessandrini don Armando, Ambrostolo Emilio e Virginia, Amendola prof. Maria, Amerio Padre Pasquale, Angela Carlo, Annoni Fosco e la sorella Tina, Antolini Umberto e genitori, Antonioli don Francesco, Arnaldi dr. Rinaldo, Avenia Giacomo, Avondet Michel e Leontina, Badetti Virginie , Barbieri Ostilio e Amelia, Bortolameotti don Guido Bortolameotti , Bassi Giacomo, Basso Frisini Lida, Bastianon Alessandro, Beccari don Arrigo, Bellio Gino e Elsa Poianella, Benedetti Emilia, Benedetto padre Maria, Bettin Regine e Giovanna, Bezzan Emmo e Brunilda e Lavinia, Billour Amato e Letizia, Bisogni Renato e Giovanna, Boldetti Luciana, Bonaiti Giuseppe e Luigia, Boni-Baldoni don Enzo, Bortolameotti monsignor Guido, Braccagni don Alfredo, Bracci Umberto, Lina Marchetti, Brandone Luigia, Armellino e Domenico, Brizi Luigi e il figlio Trento, Brugnoli Luigi e Cavalca, Brunacci don Aldo, Brusasca Giuseppe, Burian prof. Anita, Busnelli, suor Sandra e Ester, Bussa don Eugenio, Cabrusa Emilia e Giorgio, Caglio Virgilio e Amalia, Caligiuri Clelia, Campolmi Gennaro, Candini Pio e Gina , Canelli Luca, Canova Alfonso, Cappello Giovanni e Luigia, Cardini Gino, Cardini Lodovico e Lydia, Carlotto don Michele, Caronia Giuseppe, Carugno Osman, Casini don Leto, Casini dr. Enzo e Maria Pia, Cassinelli Garibaldi Maria e Ciro, Castelli Filippo e Gina Frangini, Castracane Roberto, Cataneo Lydia, Cei Maria Maddalena, Cerioli Angelo, e la figlia Dina, Cicutti Lajos, e i figli Luigi e Jozsef, Citterich Mario e Lina, Coduri Elvezio e Olive Cosgrove, Comba Alfredo e Maria, Conci Ines e Aurelio, Costantini Cesare e Letizia, Costanzi Giuseppe e Elena, Crippa-Leoni prof. Lina, Cunial Fausto, Cupertino, Daniele e Teresa, Custo Emanuele e Rosetta, Daelli Alessandro, Dalla Torre don Angelo, Dalla Valle Antonio , Darmon-Valeri Pina, De Angelis Enrico, e Giuseppina Di Carlo, De Beni Benedetto, De Fiore Angelo, De Franc Benvenuto, e Carlotta Guerino, De Micheli-Tommasi dr. Ada e Mario, De Zotti don Giuseppe, Di Gori Piero e Albina, Di Grassi Sem e Maria, Di Pietro Alessandro, Dressino padre Antonio, Drigo Giuditta, Anna, Bolledi (suor Emerenzia), Ehrhard Maria Leone, Facibeni Giulio, Fagiolo monsignorVincenzo, Maria Corsetti (suor Ferdinanda), Ferrari Anna e Giovanni, Ferrari suor Maria Angelica, Focherini Odoardo, Folcia, suor Marta, Fraccon Torquato, Frangini Amalia, Furlan Elvira, Galvani Guelfo, Garbini Antonio, Garofano Francesco e Elsa, Gatti Arturo, Gentili Mario, Ghelli Vittorio e moglie, Giorgetti Ezio, Giovannozzi Giorgio e Luisa, Giovannucci Teresa e Pietro, Girotti padre Giuseppe, Gradassi don Giulio, Grasso Luigi e Maria, Iezzi Emidio e Milietta, Isotton Ferdinando e Evangelina, Jemolo prof. Carlo Arturo, Lai Lelio e Lina Vannini, Lazzarini dr. Giacinto, Lefevre Nilde e Amedeo, Lenti Ida, Lestini Pietro e la figlia Giuliana, Lorenzini Antonio, Maccia Guglielmo e Amelia, Magna Battista, Malan Silvia, Mancini Gustavo, Mani Antonio e Bartolomea, Mazza Giuseppe e Maria , Mecacci don Vivaldo, Meinardi Giuseppe, Melani Alfredo, Milana Agapito e Assunta (con i figli Giulia, Lidia e Angelo), Moraldo Francesco, Moreali dr. Giuseppe, Musso Renato e Enrica, Natoni Ferdinando , Niccaci padre Rufino, Nicolini monsignor Giuseppe Placido, Oberto Luigi e Maria, Ollari Ernesto, Pace Angelo e Filomena, Palatucci dr. Giovanni, Palazzini cardinale Pietro, Pancani Leonida, Pannini Elvira, Paoli don Arturo, Pasin don Ferdinando, Perez Luigi e Sandra, Perlasca Giorgio, Perrone Lorenzo, Pesante dr. Giovanni e Angelica, Piana Ercole e Gina, Pigliapoco Attilio e Lidia, Pretti Giuseppina e Felice, Pugi Luigi, Raspino padre Francesco, Ravera Carlo e Maria, Repetto don Francesco, Riccardi Pellegrino, Richeldi don Benedetto, Richetto Carmelo e Angiola, Ricotti padre Cipriano, Rizzolio Beatrice, Roda-Boggio Clotilde, Rosadini monsignor Luigi, Rotta Angelo, Sacchi Vando e Ebe, Sacchi Ricardo e Ebe Sala Anna, Sala don Dante, Salvi don Carlo, Santerini Mario e Lina, Supino Giuseppe, Saracco Michelina, Schivo monsignor Beniamino, Sergiani Enrico e Luigina Manzaroli, Sgatti Alessandro, Irina e Luce, Sibona Enrico, Signori Gino, Simeoni don Giovanni, Soffici Dante e Giulia, Soffici Oreste e Mariana, Spada Lorenzo, Spingi Vito, Stablum Emanuele, Tagliabue Luigi e Angela, Talamonti Adelino e il figlio Fides, Talamonti Camillo e Fernando Fernanda, Tambini Aurelio, Aurelia,Vincenzo e Rosita, Tantalo don Gaetano Tiburzio dr. Giuseppe, Torreggiani Fernando, Tredici Vettorio , Turrini Adele, Vaiani Caterina, Vannini Caterina, Vespignani suor Benedetta, Viale don Raimondo, Vinay Tullio, Vincenti don Federico, Virgili Daria, Virgilio, Mercedes Gianna, Wiel Alessandro e Luisa , Zanardi Luciano, Zanchi Margherita, Zara Adele