Sono iniziati nuovi colloqui per la pace nella regione settentrionale del Tigray tra i rappresentanti del governo dell’Etiopia e il gruppo armato collegato al Fronte di liberazione del popolo tigrino (Tplf), che governa la regione. Al centro degli incontri l’implementazione della tregua siglata a metà novembre in Sudafrica grazie alla mediazione dell’Unione africana (Ua). Il meeting si tiene mentre nel Tigray pace e stabilità ancora non sono tornate, e crescono gli appelli affinché siano inviati osservatori dell’Ua a monitorare la situazione sul terreno. Da un lato, si registrano progressi positivi della regione di frontiera che conta sei milioni di abitanti: a inizio settimana la Commercial Bank of Ethiopia – la più grande del Paese – ha annunciato la ripresa di tutte le attività delle proprie filiali finanziarie. Il capoluogo Macallè è stato invece riconnesso alla rete elettrica nazionale e gradualmente i beni essenziali come cibo e medicine stanno ricominciando ad arrivare in tutto il Tigray. Dallo scoppio del conflitto nel novembre 2020, in maniera quasi ininterrotta, la popolazione non ha più potuto accedere alle banche, le strade sono state bloccate mentre è iniziato un blackout elettrico e delle telecomunicazioni. Ma come invece riportano varie testate tra cui Africa News, diversi operatori umanitari hanno rilanciato le denunce dei residenti, secondo cui a commettere violenze sarebbero rimasti i militari della vicina Eritrea e le forze ribelli dell’Amhara, altri soggetti coinvolti nel conflitto al fianco di Addis Abeba. La gente denuncia stupri, uccisioni e saccheggi a danno dei civili. Gli intervistati hanno chiesto di parlare in condizione di anonimato poiché preoccupati per le possibili ritorsioni. Il blackout ancora in vigore sulle comunicazioni impedisce però ai giornalisti stranieri di verificare in modo indipendente queste dichiarazioni. Gli stessi operatori umanitari ascoltati hanno continuato riferendo che, nonostante la tregua tra ribelli tigrini ed esercito stia tenendo, le incursioni delle truppe eritree e delle forze della vicina regione Amhara spingono tante famiglie a chiudersi in casa, soprattutto le donne che “temono di subire violenze sessuali”. A denunciare che la situazione in questa ragione resta grave è stato anche Tedros Adhanom Ghebreyesus, il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) di origini tigrine, che il 15 dicembre ha denunciato la morte di uno zio, “assassinato dalle truppe eritree” insieme ad altre cinque persone. Un residente di Adwa il 22 dicembre ha riferito alla stampa internazionale che i soldati eritrei avrebbero ucciso una famiglia di sette persone.
Brando Ricci