Gazzettino Italiano Patagónico

I MURALISTI ITALICI

Gli artisti Vincenzo Aderente, Gottardo Piazzoni, Domenic, Eduardo e Virglio Tojetti realizzarono molte opere nella straordinaria arte della pittura murale.

di Generoso D’Agnese

Erano anni effervescenti quelli che  l’America viveva sul finire dell’Ottocento e agli inizi del Novecento. Anni carichi di vitalità  artistica che trasformarono il grande e “ruvido” paese (negli ultimi  anni dell’Ottocento erano state  sedate anche le ultime fiammate pellirosse) in un  cantiere aperto della decorazione, della pittura  e dell’architettura. Il World’s  Columbian Exposition del 1893 aveva aperto una nuova porta nell’immaginario  popolare americano, che già  con la prima Biennale di Venezia (1892) e con  l’Esposizione di Parigi (1889) si era avvicinato alle nuove idee artistiche europei fagocitandone gli artisti più rappresentativi. Tra essi ovviamente non potevano  mancare gli italiani, figli di una scuola artistica millenaria e possessori di una  sensibilità  particolare che nell’immensa nazione avrebbe sicuramente avuto il  giusto riconoscimento. In quegli anni le arti erano considerate “strumenti per  migliorare l’ambiente e il loro obiettivo niente di meno che il fasto pubblico”, e  nessuna branca veniva sottovalutata nella grande fantasiosa tavolata americana.

Crebbe ad esempio alla grande la pittura murale e con essa lo stile classico di cui gli italiani erano indiscussi maestri. L’Italia a ragion veduta può  essere definita la maggiore esportatrice di cultura classica negli Stati Uniti ed italiani sono i nomi degli artisti più interessanti impegnati nel grande arricchimento artistico  della nazione. Nel Campidoglio di Washington ancora echeggiava il nome di Brumidi, quando nacque la stella di Vincenzo Aderente.  Nato a Napoli nel 1880, questo  artista crebbe nelle scuole americane e a soli diciassette anni vinse l’Art Students League ottenendo il privilegio di partecipare come assistente alla decorazione  della sala da ballo del Waldorf Astoria Hotel. La sua carriera non conobbe pause e  l’italoamericano continuò  sempre a migliorare la propria tecnica, impegnandosi  soprattutto nel settore degli edifici pubblici. Sua è  la decorazione della  cattedrale cattolica di St. Matthew a Washington; nella chiesa della capitale americana, a poca distanza dalle ormai leggendarie opere di Brumidi, egli lavorò  per sette anni insieme all’amico Bashfield per poi spostarsi a Boston, dove eseguì  le pitture murali del Keith Memorial Theatre, nell’Indiana, nell’Ohio, nel New  Jersey.  Nel Queens, a New York, Aderente realizzò  gli affreschi del Palazzo di  Giustizia ma il suo nome meritò fama imperitura con il tema de “La lealtà”  realizzato per i Buoni del Tesoro del Governo americano. Vincent Aderente morì  a  Bayside, Long Island, nel 1941 lasciando idealmente il suo “testimone”  a Gottardo Fidele  Piazzoni, autore ticinese di un ritratto della California in quattordici paesaggi nella più   grande Public Library di San Francisco.  Piazzoni nacque a Intragna (Ticino, Svizzera)  il 12 aprile 1872. Suo padre partì alla volta della California durante la sua infanzia, ma una volta compiuti 14 anni lo raggiunse insieme al resto della famiglia per aiutarlo a gestire una fattoria nella Carmel Valley, Contea di Monterey. Aprpese i  primi rudimenti artistici nei dintorni di San Francisco e qui incontrò Granville Redmond, celebre paesaggista californiano ma essndo muto, Piazzoni apprese il linguaggio dei segni per comunicare con lui e diventò uno dei suoi migliori amici, al punto di trascorrere insieme un lungo periodo di lavoro e studio a Parigi. Tornato in America nel 1897, acquisì la cittadinanza statunitense un anno più tardi e diede il via alla sua carriera, realizzando nella metropoli californiana le sue principali opere d’arte.  Portano la sua firma i    murali dipinti tra gli anni Trenta e Quaranta all’interno della San Francisco Public Library, poi spostati al de Young Memorial Museum alla fine degli anni Novanta. Prima di morire in California il primo agosto 1945, l’artista ticinese trasmise la propria passione alle figlie Mireille e Romy, nate nei primi anni del Novecento.

Antecedente a loro, il nome dei Tojetti  risuonò  con forza nell’olimpo artistico americano dell’Ottocento. Domenico Tojetti  era nato a Rocca di Papa nel 1807 e aveva studiato con artisti di fama, tanto da ottenere riconoscimenti  anche dal Vaticano: il pittore lavorò  per Papa Gregorio XVI e per Papa Pio IX e realizzò  affreschi nelle chiese di Roma, tra cui la Basilica di San Paolo fuori le Mura e la  Basilica di Sant’Agnese fuori le Mura. Nel 1867 decise di abbandonare al città eterna e si imbarcò, con tutta la famiglia, su una nave diretta in Guatemala.  Sopravvissuto miracolosamente ad un naufragio egli trascorse qualche anno nel paese centroamericano per poi trasferirsi prima in Messico e infine a San Francisco. Con lui c’erano i figli Eduardo e Virgilio, entrambi pittori, e tutti e tre dipinsero murali per molte chiese cattoliche californiane. Ma del loro lavoro  resta poco. Gli incendi seguiti al terribile terremoto del 1906 spazzarono via gran parte delle loro  opere.  Divenuto direttore dell’Accademia di Belle  Arti ebbe commissioni artistiche dal magnate della ferrovia John Hopkins e da Tiburcio Parrot. Il testamento  artistico di Domenico Tojetti  (morto a San San Francsco nel 1892) può  essere comunque considerato “L’Allegoria  dell’America”, dipinto conservato nell’Oakland Art Museum, esempio bellissimo dello stile neoclassico italiano del diciannovesimo secolo

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