Il matsutake (Tricholoma matsutake) è un fungo esigente: non si accontenta di un sottobosco autunnale ricco di foglie e humus, ma preferisce le foreste perturbate dall’uomo. Si tratta di una specie in grado di tollerare i disastri ambientali, non a caso si narra che sia stata la prima forma di vita ad apparire dopo lo scoppio della bomba atomica su Hiroshima nel 1945. Il pino rosso del Giappone (Pinus densiflora) è l’ospite più comune, anch’esso predilige i suoli assolati e minerali lasciati dalle deforestazioni operate dall’uomo, ma oggi la raccolta di questo fungo si espande anche nelle regioni occidentali dell’America settentrionale.
Un dono molto costoso
Il motivo che ha spinto l’antropologa Anna Lowenhaupt Tsing a dedicare al matsutake un intero e voluminoso libro dal titolo “Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo” (Keller, 2021) sono state alcune osservazioni che ha potuto annotare nel corso dei suoi sette anni di ricerca sul campo. Un aspetto fondamentale di questo fungo è che esso è diventato, nel corso del tempo, un bene globale costosissimo per un motivo molto semplice: non può essere coltivato, ma l’uomo può creare le condizioni affinché possa crescere; questo spiega il motivo per cui si parla di ambienti perturbati. La tradizione giapponese vuole che il fungo sia un bene che una volta acquistato venga regalato, ciò significa che raramente un individuo decida di comprarlo per sé stesso; il matsutake assume dunque il ruolo di dono: è un prodotto globale con forte connotazione culturale. L’attenzione dell’antropologa si è quindi rivolta al legame esistente tra economia e ambiente, alle loro modalità di relazione e alle condizioni di lavoro dei cercatori di matsutake, la maggior parte concentrati in Oregon. Pur essendo originario del Giappone, è in questo stato americano che cresce in grandi quantità ed è proprio a questo punto che entra in gioco l’analisi antropologica di Tsing nella quale il capitalismo svolge un ruolo fondamentale; i funghi, dopo essere stati raccolti, diventano merce messa all’asta che, dopo essere acquistata dai cosiddetti buyer, viene trasferita nelle mani dei bulker, coloro che si occupano di assemblare i funghi e prepararli per l’esportazione a Oriente. I cercatori di funghi vivono la propria vita in condizioni di precarietà, spesso si tratta di veterani o immigrati sprovvisti di documenti, sono uomini che tentano ogni giorno di riscattare a propria vita in nome della libertà, disprezzando la vita dipendente dei comuni lavoratori. Quello in cui i cercatori di funghi sono immersi è un capitalismo molto particolare in cui diversità e contaminazione fanno da protagonisti.
Diversità e contaminazione
Tutti hanno alle spalle storie di contaminazione, ma spesso gli esseri umani tendono a dimenticarsene, ed è proprio grazie ad esse che si aprono le possibilità di emersione di mondi reciproci: «L’evoluzione dei nostri “ego” è già inquinata da storie di incontro; siamo già mescolati ad altri prima ancora di cominciare qualsiasi nuova collaborazione. Peggio ancora, ci troviamo immischiati nei progetti che ci danneggiano di più. La diversità che ci permette di avviare collaborazioni emerge da storie di sterminio, imperialismo e via dicendo. La contaminazione produce diversità» afferma l’antropologa Anna Lowenhaupt Tsing. La perturbazione, ossia un cambiamento nelle condizioni ambientali che provoca un ulteriore cambiamento in un ecosistema, può rinnovare ecologie ma anche distruggerle. La scala delle perturbazioni può senza dubbio variare, ma è comunque un fenomeno a cui non necessariamente va associato il concetto di danno; quella del matsutake è una storia di perturbazione antropica che ha generato relazioni ecologiche. Gli effetti delle rovine industriali sugli esseri viventi possono essere diversi, miniere d’oro per alcune specie e disastro per altre; nel mezzo troviamo il fungo matsutake, in grado di generare un mondo. Ciò che all’antropologa statunitense preme sottolineare è il fatto che: «Conta la singolarità di assembramenti interspecie; per questo il mondo rimane ecologicamente eterogeneo malgrado il potere della globalizzazione […] Nel gioco del potere globale, gli incontri indeterminati rimangono importanti».
Jessica Brazzale