Gazzettino Italiano Patagónico

In Mostra alla Casina Vavitelliana

Alessandra D’Aniello e Ferdinando Pisacane in Sedimenti di Memoria

Giovanni Cardone

Fino al 18 Settembre 2022 si potrà ammirare presso la Casina Vanvitelliana nel Parco Borbonico del Fusaro di Bacoli – Napoli la mostra Sedimenti di Memoria di Alessandra D’Aniello e Fernando Pisacane a cura di Gennaro Ippolito e Giovanna Donnarumma con la direzione artistica di Antonio Ciraci. L’esposizione è patrocinata dall’Assessorato alla Cultura del comune di Bacoli è sarà presentata dal Prof. Rosario Pinto, si terrà anche una performance introduttiva a cura di Patrizia Eger e Massimo Finelli. Come dice nel suo testo critico Rosario Pinto : La prospettiva fruitiva piú significativamente appagante, che si possa dispiegare quando si va ad accedere alla presa di contatto con l’azione creativa di due artisti, che si  offrono in una proposta espositiva ‘a quattro mani’, è quella che si osserva prefiggersi di non limitarsi a considerare una banale somma di due semplici entità, intervenendo, piuttosto, a suggerire una dilatazione decisamente piú ampia della semplice addizione delle due  componenti. Si pone, ovviamente, a questo punto, un problema semantico, giacché occorre definire se ci si trova di fronte ad una integrazione di linguaggi o di fronte ad una giustapposizione di formule, avendo anche conto di poter stabilire fino a qual punto l’osmosi produttiva di due artisti trova ragione in una determinazione progettuale o non, piuttosto, in un sorgivo e spontaneo accostamento delle rispettive sensibilità e delle disposizioni creative.Ci si trova di fronte, in sostanza, ad un ampliamento d’orizzonte che merita d’essere analizzato nella sua configurazione che potremmo anche definire grandangolare: ‘uno’ più ‘uno’ non rende, insomma, in questo caso, in cui l’integrazione semantica è vividamente percepibile, il risultato ‘semplicemente’ di ‘due’, ma un numero certamente maggiore, con evidente manifestazione di una attivazione moltiplicatrice. A noi non tocca, però, di dare mera testimonianza del piacere del godimento estetico dell’opera di Alessandra D’Aniello e di Fernando Pisacane, ma spetta il compito, piuttosto, di fornire un’esegesi che possa integrarsiragionevolmente anche con un additamento ermeneutico, la cui lettura, intesa nietzchianamente come ‘interpretazione’ (e, quindi, come sostanza di ‘fatto’) possa valere da trait-d’union tra l’intendimento più ampio, appunto, ermeneutico e la consapevolezza ‘oggettiva’ propria dell’esegesi. Aiutano in ciò, evidentemente, anche le considerazioni mcLuhaniane sulla relazione tra ‘medium’ e ‘messaggio’, considerazioni che, nel caso dei nostri autori, possono essere valutate come invito ad approfondire nel loro prodotto creativo anche un’altra e non meno importante relazione: quella tra Sinn e Bedeutung. Ad una prima analisi della ricerca artistica di questi due autori si profila, a nostro giudizio, la necessità di cogliere il peso che vi assume la componente emozionale, il rilievo, in particolare, del carico soggettivo di un coinvolgimento che lascia osservare nelle opere dei due artisti la traccia umorale ed organica della sedimentazione profonda del proprio vissuto, un vissuto che va inteso ed inquadrato entro un gradiente di spiccata vocazione storico-ambientale. Diciamo subito che non vogliamo qui fare appello – come, d’altronde non è nostro costume, né per intendimento etico, né per orientamento di indirizzo metodologico – non vogliamo fare appello, dicevamo, alla cosiddetta pregnanza emotiva, che è molto spesso malintesa come  sensibilità psicologica ispirativa dell’artista, ed addirittura invocata come soluzione esplicativa a buon mercato per poter tentare di fornire chiave interpretativa di intrecci contenutistico-formali di complessa articolazione e meritevoli di più puntuali giustificazioni critiche, opportunamente sorrette da convincenti e dimostrabili ragioni sia storico-artistiche che teoretiche. Il riferimento che suggeriamo a ciò che preferiamo definire come congiunture ’emozionali’, piuttosto che semplicisticamente ’emotive’, trova ampia giustificazione nel fatto che intenderemmo dimostrare come, nella attività creativa dei nostri due artisti, il ‘fattore ambientale’ (che si offre come luogo in cui si attivano relazioni emozionali significativamente importanti) possa assumere valore di catalizzatore per il compiersi della sintesi creativa. Il ‘fattore ambientale’, giova osservare, non può essere compreso se non come il punto di coagulo di percezioni soggettive, individuali e locali, molto spesso a-logiche ed umorali, che definiscono la perimetrazione del rapporto, appunto, emozionale, che lega un qualsiasi soggetto umano al contesto vitale che più da presso gli appartiene.  A noi qui interessa, poi, sottolineare, in particolare, che l’invocazione della sfera emozionale, cui abbiamo fatto riferimento, non avviene da parte nostra in surroga di più proprie motivazioni critiche, ma come prezioso contributo che possiamo giustificare ed accogliere come ciò che costituisce – proprio nella consistenza della ineludibilità soggettiva della pregnanza a-razionale dell’emozione – l’aspetto di ‘catalizzatore’ ambientale capace di favorire la produzione di ciò che possiamo anche definire, nel nostro specifico, come ‘sintesi estetica’, che altro non è che l’effettivo offrirsi  in capi d’opera oggettuali  dell’attività creativa dei nostri due artisti. Ed è appunto un ‘catalizzatore’  significativo, infatti, ciò  che noi intenderemmo poter riconoscere proprio nella consistenza del contesto ambientale (col quale i  nostri due artisti vivono intensamente un rapporto umorale ed emotivo); un contesto ambientale che si profila  come fattore decisivo per lo svolgersi dell’azione creativa dei nostri artisti, pur non sembrando, prima facie, che l’ambiente possa meritare, in quanto tale, di essere considerato come una consistenza complessivamente laterale ed accessoria (quale un catalizzatore indiscutibilmente è) e non come un componente basilare  della ‘sintesi’ produttiva, che mette capo alla ‘costruzione’ dell’opera d’arte, di cui qui rendiamo quasi una sorta di  assimilazione al compiersi della reazione chimica. Osserveremo, quindi, alla luce di quanto appena argomentato, come il fattore ‘ambiente’ costituiscal’invocato catalizzatore dell’intervento creativo della D’Aniello e di Pisacane, andando comunque a proporsi esso – anche se, appunto, in tralice, secondo quanto ad un catalizzatore convenientemente si addice –  come qualcosa di più intenso di un mero ‘sfondo’ anodino su cui, occorre osservare, vadano a giustificare le proprie opportunità propositive le opere di Alessandra D’Aniello e di Fernando Pisacane che ordinatamente dialogano tra loro, sapendo trovare spazio in un condiviso e riposante alveo semantico.

E ci domandiamo, infatti: in quale altro modo potrebbero giustificare, ad esempio, la propria vibratilità costruttiva i ‘frammenti di papiro’  realizzati  da Alessandra D’Aniello in cocci ceramici di asciutta consistenza ‘informale’ (ed impermanentemente ‘nucleari’) suggestivamente riavvolti su se stessi e sottoposti al fuoco della ‘cottura’ per risultare vivi di una diversa consistenza organica e fattuale rispetto ai reperti antichi di Ercolano, di cui pure riecheggiano la conservazione di arcani messaggi carichi di saperi e di sapienze che insistono, però, coriacei, a prestarsi alla nostra conoscenza? Come e in quale altro modo, ci interroghiamo ancora, potrebbe avvenire tutto ciò se non nel contesto della cultura napoletana e nel contesto stesso – sia latamente ambientale che spiccatamente locale – di un ordito ippodameo in cui ancora sembrano risuonare i passi degli antichi che battevano quei cardini e decumani e sulle cui orme noi ancora oggi appoggiamo tuttora i nostri piedi?  I ‘Papiri’ di Alessandra, da cui abbiamo inteso prendere abbrivio, ci accompagnano alla scoperta dell’universo di Fernando Pisacane che si propone come una realtà sulfurea ed appartata, ripiegata, ispessitamente, a ricciolo, su se stessa, oggettualmente pregnante e gestualmente articolata lungo un gradiente anch’esso sotterraneamente ‘nucleare’ e, comunque, matericamente significativo. Ma non solo per l’arrotolarsi della materia come ragione di ‘arché’, si dà ragione dell’addensamento contenutistico, ma per il riavvolgimento delle cose ‘storiche’ su se stesse, un riavvolgimento che si motiva e si rivela come una ‘quidditas’ che chiede di essere penetrata, senza intendere tuttavia di offrirsi ad una semplificazione banalizzante. Le posizioni di Pisacane e della D’Aniello non sono, quindi, semplicemente il dato estetico di una formulazione ‘artistica’, ma sono qualcosa di più: un portale d’accesso alle latebre dell’ignoto, un ignoto di cui vorremmo negare di decidere l’inconoscibilità, ma che certamente si approssima a noi col fascino catturante dell’abisso, di un’oscurità che non è necessariamente buio e, piuttosto, tenebra: la tenebra,  di una profondità che suggerisce spazi lontananti e slargati, quella che oscura il ‘fondaco’ e che, però, lascia presagire l’abbaglio accecante del sole al di là della cortina muraria o della volta annerita dai fumi dei secoli. Ed ecco, allora, che il dialogo con la materia – qui intesa non solo come ‘arché’, ma come ispessimento tattile e rugoso delle cose – si propone come la cifra risolutiva per avere una opportunità di approccio a questa produzione creativa che intende essere, per noi, innanzitutto, uno scavo nella nostra coscienza identitaria, uno scavo capace di far emergere all’evidenza non tanto le ragioni psicologiche e morali che ispirano l’azione dei nostri due artisti, quanto, piuttosto, il ritratto in tralice del nostro stesso profilo esistenziale, un profilo in cui ciascuno possa andare a riconoscersi non solo come individualità, ma anche per l’appartenenza ad un gruppo sociale e, più ampiamente, all’umanità. La D’Aniello e Pisacane, quindi, man mano, grazie all’azione del catalizzatore ambientale (che è partitamente riconoscibile nella consistenza ctonia ed ancestrale del tessuto culturale della storia partenopea che si affaccia con le sue impalpabilità sotterranee e suggestive) provvedono a scrivere questa pagina di testo creativo artistico che, a prima vista, si presenta orfico ed iniziatico, quasi direttamente discendente da una filiazione cumana di origine sibillina. Poi, al contatto immediato con la pregnanza degli oggetti prodotti dai due artisti, si dispiega con chiarezza come tutto l’apparente oscurarsi della materia – che nei due autori sembra volersi fare recinto esclusivo entro il quale segregare le vibrazioni dell’esperienza umana – si rivela essere solo un apparente velo di protezione che non impedisce affatto alla luce, che proviene dalle cose stesse, di potere irradiarsi. La luce che connota la prestanza formale delle opere di Alessandra e di Fernando, quindi, non è la luce ‘rivelatrice’ caravaggesca; non è la luce, insomma, che procede, nel Merisi, a dare sostanza empirica agli oggetti provenendo da una fonte esterna: essa è, piuttosto, una luce effusiva, una luce, insomma, di cui potremmo riconoscere una sorta di scaturigine neoplatonica, che, seguendo un percorso acutamente gnostico, si configura come via d’accesso, con gradualità di percorso, alla conoscenza profonda delle cose. Per meglio spiegare il nostro pensiero, potremmo suggerire di immaginare un processo integrativo tra la densità pastosa ed ‘effusiva’ della luce raffaellesca, con l’istanza segnica michelangiolesca votata a farsi vibrazione serpentinata, giungendo,  in tal modo, alle esemplificazioni magistrali napoletane di un Roviale Spagnolo, di un Marco Pino, di un Francesco Curia o di un Gerolamo Imparato, alla cui stregua, effusione luministica e sensibilità segnica si integrano in soluzione compiuta di ineguagliabile mobilità figurativa, come è apprezzabile, ad esempio, anche nelle abbruciate atmosfere di Polidoro, Analogamente avviene tra Fernando e Alessandra, avendo conto d’avvertire che non intendiamo attribuire a ciascuno dei due una definita notazione distintiva: all’uno il segnico, ad esempio, e all’altra l’effusivo, giacché in ciascuno dei due artisti, al di là di apparenti prevalenze specifiche, questa sintesi appare già compiuta, cosi che l’effetto ‘compositivo’ del loro proporsi in simbiosi espositiva ‘a quattro mani’, si configura come una dilatazione effettiva e trasmigrativa– per quanto preterintenzionale – di mezzi e di linguaggi. Rimane da aggiungere – per rimanere ancora nella esemplificazione cinquecentesca ed all’interno della specchiata leggibilità delle referenze ‘geometriche’ della razionalità di un impianto compositivo presieduto dal rigore prospettico – rimane da aggiungere, dicevamo, che occorre non trascurare come alle spalle di Raffaello e di Michelangelo si affacciassero ragioni apparentemente esoteriche di varia matrice gnostico-plotiniana non meno che spiritualisticamente-riformiste e, tutte, comunque, decisamente elitarie. Tutto ciò non esclude, ma addirittura accredita, quindi, la possibilità di una lettura iniziatica, un riferimento che trova radicamento criptico dei grandi artisti rinascimentali nella vicenda del ‘Sogno di Polifilo’, che costituiva una sorta di irrefutabile archetipo intellettuale di non trascurabile impatto simbolistico ed esclusivo. Avere istituito un paragone tra questa stagione del passato, sia con Alessandra D’Aniello –che immaginiamo tanto significativamente produrre oggetti di larga luminosità baluginante ed ‘effusiva’ – sia con Fernando Pisacane – che immaginiamo disporre l’ordito materico secondo un gradiente di vibratilità segnica e graffiante – tutto questo, dicevamo, non può e non deve ricondurread ‘addossare’ una dimensione simbolistica sulla consistenza effettuale del lavoro dei due artisti nostri contemporanei, alle spalle dei quali dobbiamo considerare, piuttosto, un archetipo intellettuale che non si nutre di ascendenze ermetiche, ma di ricomposizione emozionale dell’impressa organica della traccia storica. Sarebbe, infatti – unavalutazione critica in chiave ‘simbolistica’ – una prospettiva riduttiva del loro impegno creativo, giacché esso, che si muove, come in Alessandra e Fernando avviene, tra effusività luministica e prestanza segnica, si tiene ben al riparo da qualsiasi cedimento di ‘deriva’. Piuttosto che di una profilatura ‘simbolistica’, diremo quindi, che ciò di cui si attesta vividamente la qualità, nell’opera di Fernando ed Alessandra è, in vero, la caratura propriamente e distintamente ‘segnica’; ciò che fa della loro azione creativa una importante espressione di testimonianza storica ed umana, impedendo che la prestanza formale, come pur avveniva nei grandi del Rinascimento e, poi, della ‘Maniera’, potesse far ombra, con il rinvio ad un codice iniziatico, a cogliere il palpito vitale dell’esperienza e della storia, quello stesso, peraltro, che avrebbe consentito, più tardi, a Caravaggio, di trasferire nelle sue tele napoletane la sostanza contenutistica del suo profondo convincimento ‘naturalistico’, facendo sí che la luce, luce reale, squarciasse le tenebre dell’ignoranza e della superstizione. E come per Caravaggio, allora, anche per Alessandra D’Aniello e Fernando Pisacane, occorre riconoscere, quindi, che la pittura si fa strumento di conoscenza delle cose e di intervento critico sulla realtà circostante. Occorre, pertanto, interrogarsi per poter osservare, in ciascuno dei due artisti, quanto profonda sia la carica di coscienza critica che questa azione d’intervento  ha potuto richiedere per far sí che la loro azione creativa potesse proporsi, appunto, non come una allusione simbolistica alle istanze del nostro tempo, ma come una testimonianza responsabilmente attiva. E scopriremo che la domanda è oziosa, giacché essi sono dei testimoni della storia; e il testimone non è mai chiamato a fornire asseverazione della consistenza del dato nella sua configurazione oggettiva, ma semplicemente della sua fenomenologia evenienziale. Acquisita tale nozione, è agevole farne discendere anche l’inferenza della matrice preterintenzionale del dato artistico che Fernando ed Alessandra ci consegnano (che è, poi, in fondo, sempre la maggiore garanzia della veridicità testimoniale) considerando che l’abrogazione di una intenzionalità ispirativa  si profila come opportunità generatrice di lealtà intellettuale entro il cui perimetro eziologico trova giustificazione, nei nostri due artisti, il prezioso connubio nucleare-espressionistico che costituisce l’abbrivio logico e fattuale col quale si offre l’assetto propositivo della loro azione ed anche un primo indizio di additamento di perimetrazione stilistica. Certo, essi non sono sovrapponibili. E questa è una notazione di facile comprensibilità, essendo essi due personalità spiccatamente distinte, ma il riferimento, comunque, a ragioni creative che trovano uno specchiamento semantico ed epistemico condiviso può costituire ragione sufficiente per convincersi del perché, anche ad una fruizione superficiale e distratta, possa apparire che tra queste due personalità artistiche sia possibile apprezzare ciò che potremmo anche definire una ‘affinità elettiva’, un vero e proprio ‘fil rouge’ che ha messo le loro personalità in grado di interagire. Fin qui, potremmo anche dire, le ragioni di una prospettiva ermeneutica, una visione, cioè, che, prendendo in considerazione le cose nel loro contesto, avvii un tentativo –nietzchianamente producente, vorremmo soggiungere – di additare come effettivamente l’interpretazione possa costituirsi in essenza del dato, soprattutto se si ammette l’incidenza convergente ‘duchampiana’ del ‘coefficiente artistico’, e poi anche quella ampliativa ‘astracturista’ della ‘autonomia dell’ opera d’arte’. Tali considerazioni lasciano spazio, quindi, all’emergere di una ulteriore opportunità di rilevazione qualitativa dell’opera dei nostri due artisti, che si rivela leggibile anche in chiave sottilmente ‘concettuale’ (già precedentemente facevamo riferimento a Duchamp) consegnandoci, così, un ulteriore ancoraggio referenziale per il passo successivo che occorre compiere e che è quello  di introdurre il transito dall’ermeneutica alla esegesi. Come abbiamo osservato, una disamina partita delle due personalità di Alessandra D’Aniello e di Fernando Pisacane ci mette di fronte a due artisti che condividono peculiarità distintive di indirizzo creativo che possiamo definire di ordine latamente materico ed, insieme, impermanentemente ‘concettuale’. In entrambi, infine, appare tutt’altro che irrinunciata la versatilità figurativa, che non si propone come cifra distintiva di disposizione alla restituzione pedissequa della consistenza epifenomenica del reale, quanto, piuttosto, come opportunità di conferire all’ispessimento della materia una sorta di sponda eidetica che affondi nella referenza oggettuale i motivi giustificativi della propria consistenza fattuale. Alessandra D’Aniello, in particolare, giunge alla pratica creativa artistica di consistenza materica, muovendo da un’esigenza di conferire ordine alle cose, proponendo, ad esempio, un progetto creativo come matrice ordinamentale del suo lavoro. Tutto ciò può apparire una modalità incongrua per una consistenza propositiva di ordine materico, ma l’approfondimento della sua delibazione creativa mostra come tutto trovi giustificazione e si possa ritenere ampiamente ragionevole il suo processo di costruzione di un prodotto artistico apparentemente slegato da ogni soggezione prefigurativamente dispositiva. Cosi trova spiegazione, ad esempio, il suo indirizzarsi ad una pratica che vorremmo definire ‘seriale’ di  sperimentazioni creative (i ‘Papiri’, le ‘Veneri’) che costituiscono tutt’altro che l’ambito ripetitivo di un modulo consolidato, quanto, piuttosto, una sorta di attivazione di confronto con se stessa alla stregua di una sfida che si consuma come rastremazione applicativa di una sensibilità umorale versata alla pratica di incalzanti variazioni sul tema. Ciò che vale come straordinaria opportunità di contingenza occasionale per la nostra artista è, poi, il saper trarre partito dalla carica produttiva che si offre, nell’ambito ceramico, come rilevazione empirica di un dato emergente che si profila, ad esempio, all’apertura del forno, come espressione preterintenzionale e di consistenza fattuale. E proprio l’aspetto di ‘sorpresa’, potremmo anche dire, è ciò che si profila d’abbrivio nella produzione di Fernando Pisacane che si protende nello spazio immaginandosi sempre come una sorta di scoperta e di apertura verso l’ignoto, il tentativo, potremmo anche argomentare, di muovere alla ricerca di nuove opportunità rivelative delle angolazioni dell’esistente, che si proiettano nell’abisso della conoscenza muovendo dalla asseverazione, per certi aspetti confortante, del reale fenomenico, non esitando, però a cercare nell’addensamento materico e nella prestanza oggettuale un riconoscimento ‘ontico’ più solidamente fondante rispetto ad un’evidenza empirica, che, invece, denuncerebbe  una condizione di ingannevole deriva. Ed è su queste considerazioni che può trovare affondo logico la prospettazione di riconoscimento di una consistenza epistemologica che costituisce il gradiente entro il quale va letta tutta la scansione polimaterica che caratterizza larga parte della produzione di Fernando Pisacane, che trova, così, altro modo di collegare il proprio prescritto di emergenza fattuale e sulfurea nel contesto igneo che tanto significativamente definisce anche la perimetrazione creativa della D’Aniello.

Casina Vanvitelliana Parco Borbonico del Fusaro di Bacoli – Napoli

Sedimenti di Memoria di Alessandra D’Aniello e Fernando Pisacane

dal 3 Settembre 2022 al 18 Settembre 2022

Venerdì e Sabato dalle ore 18.00 alle ore 23.00

Domenica dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e dalle ore 18.00 alle ore 23.00

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📍Buenos Aires 326- Neuquén 📍Alem 853 – Cipolletti 🕢 Horario de atención en Cipo: Lunes a Viernes de 10 a 13 y de 16:30 hasta que no haya más pan! 🕢Horario de atención en Neuquén: Lunes a Viernes de 10 a 14 y de 16 hasta que no haya más pan! Sábados de 10 a 13 únicamente (en los dos locales)

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