Giovanni Cardone
Fino al 29 Ottobre 2022 si potrà ammirare presso il Palazzo Ducale di Venezia la mostra di Anselm Kiefer a cura di Gabriella Belli e Janne Sirén. Kiefer è stato invitato dalla Fondazione Musei Civici di Venezia (MUVE) a presentare un’installazione di dipinti site-specific che dialogano con uno degli spazi più importanti di Palazzo Ducale e con la storia di Venezia, ed esporrà una serie di nuove opere nella Sala dello Scrutinio e nella Sala della Quarantia Civil Nova di Palazzo Ducale in occasione della 59a Biennale d’Arte di Venezia. Palazzo Ducale ha accolto generazioni di artisti tra i quali Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio, Tiziano, Veronese, Tintoretto e molti altri. Lo spazio monumentale e le pareti della Sala dello Scrutinio, la sede designata all’elezione del Doge, sono riccamente decorati da dipinti che celebrano il potere della Serenissima Repubblica di Venezia. Gabriella Belli, direttrice della Fondazione Musei Civici di Venezia, afferma : “Lo scopo di questa grande opera è capire quanta necessità oggi abbiamo negli spazi pubblici di testimoniare il nostro tempo, di costruire una epifania della nostra era contemporanea, di “mettere in scena” il tempo presente e i valori universali”. Mariacristina Gribaudi Presidente della Fondazione Musei Civici di Venezia dichiara : “Anselm Kiefer fa un grande omaggio a Venezia e ai nostri Musei, portando la sua arte a Palazzo Ducale come in passato hanno fatto i grandi artisti della storia. Lo accogliamo felicemente in una delle Sale più importanti del Palazzo, dove i nostri visitatori potranno ammirare il suo lavoro come accadeva a veneziani e viaggiatori ai tempi di Tintoretto, Tiziano, Carpaccio, ricreando le condizioni di una vera arte pubblica. La potenza del suo lavoro racchiude la nostra storia contemporanea e si inserisce nella storia di Venezia, intesa come città che appartiene al mondo, mostrandosi alle genti per offrire loro una profonda comprensione del contemporaneo. La grande arte vive da sempre questa città, con le innovazioni scientifiche, tecnologiche e sociali che da sempre la contraddistinguono, la sfida oggi per noi è saper stare in questa tradizione e poterla rinnovare, in questo percorso trova posto anche questa importante installazione. Anselm Kiefer torna a Venezia con una mostra che parte dalla storia di questo crocevia di mondi diversi, mondi che i veneziani hanno attraversato e che su queste rive hanno sempre trovato approdo, storia che si è stratificata in tutti i nostri Musei e in particolare qui a Palazzo Ducale, illuminandola con la propria profondità di pensiero, e di questo gli siamo grati.”




Mentre Luigi Brugnaro Sindaco di Venezia dice: “Celebrare i 1600 anni di Venezia con l’arte contemporanea è un’operazione che poteva essere possibile solo con il coinvolgimento di un grande artista e pensatore, qual è Anselm Kiefer. Un uomo che nella sua arte riesce a comprendere la storia e il presente, il globale e il locale. Un percorso che prendendo spunto gli scritti di un filosofo veneziano non troppo conosciuto come Andrea Emo e ispirandosi alla gloria dei grandi pittori che qui in passato hanno trovato casa, riesce a costruire una grande opera che entra potentemente in un luogo simbolico come Palazzo Ducale. Con Kiefer si va quindi a concludere idealmente un ciclo che qui abbiamo inaugurato con la grande mostra Venetia 1600. Nascite e rinascite, e lo facciamo non solo con un maestro di altissima caratura internazionale, ma dando risalto a quell’arte contemporanea che diventa anello di congiunzione tra il presente e il futuro. Un obiettivo che come Amministrazione comunale stiamo portando avanti con attenzione proprio per dimostrare quanto sia importante, anche attraverso la cultura, l’arte e le mostre, non esaltare solamente la nostra tradizione e le bellezze che custodiamo nei nostri Musei Civici, ma anche sostenere e diffondere la contemporaneità, il presente che rappresentato diventa arte da conservare per le future generazioni.
E’ con grande orgoglio che quindi accogliamo Anselm Kiefer nel nostro Palazzo Ducale accanto ai grandi maestri del passato, che ancor oggi ci raccontano la bellezza e la magnificenza di una città che si prepara a guardare oltre i suoi 1600 anni di storia. Questa è la nostra Venezia, così come amiamo definirla, la “più antica città del futuro”. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Anselm Kiefer che divenuta modulo monografico e seminario universitario apro il mio saggio dicendo : La rappresentazione prevalente della fine all’interno dell’Occidente capitalista si rifà ad un immaginario apocalittico. In quanto fondata su una concezione del tempo lineare, la cultura occidentale considera la fine come il punto di arrivo di una successione di eventi; dopo la fine, dunque, il nulla. Il tempo stesso finisce. Fine del mondo e fine del tempo coincidono. Come agire sapendo di avvicinarsi ad un evento così radicale? L’eredità cristiana propone un’ancora di salvezza; il tempo che giunge ad una fine è quello terrestre, lasciando spazio ad un non-tempo celeste, quello eterno del paradiso. È dunque possibile la vita fuori dal tempo. Eppure la fine in questo paradigma è sempre un momento di rottura irrimediabile, il mondo non può riprendere, la vita sulla terra giunge a una conclusione. Ci sembra che una concezione del genere non possa venire in aiuto nel momento in cui dobbiamo pensare la possibile fine della nostra civiltà, ma soprattutto nel momento in cui tale fine appare sempre più vicina e probabile, dato il numero e la gravità dei possibili effondrements. Confrontarsi con un pensiero come quello della fine del mondo quando ci sentiamo già vicini ad essa non è cosa che possa essere affrontata in tutta serenità; a nostro avviso però l’angoscia, la perdita di speranza e di senso suscitate da un tale pensiero sono dovute alla particolare concezione che noi abbiamo del tempo e dunque della fine, che, come dicevamo, rientra in una visione temporale lineare. In questa prospettiva la fine viene percepita come un muro cui andiamo incontro sempre più rapidamente, senza possibilità di frenare in tempo. Cosa accadrebbe se recuperassimo invece una visione ciclica del tempo? La fine sarebbe in questo caso un momento di passaggio, un punto sulla ruota del tempo cui ne seguirebbe subito un altro. All’interno della cultura occidentale abbiamo individuato delle eccezioni alla visione temporale dominante basata sulla linearità. Una di queste eccezioni è l’artista contemporaneo Anselm Kiefer. Egli infatti recupera una concezione antica del tempo e dunque della fine. Il suo lavoro può essere utile per preparare l’immaginario per i tempi imminenti, sperimentando inizialmente attraverso l’immaginazione artistica un diverso rapporto con il tempo. Nelle sue opere Kiefer pratica una mitopoiesi, in cui immagini della tradizione, occidentale prima di tutto, acquistano nuovi significati. La storia, come argilla, può essere riplasmata e mostrare delle forme alternative. Kiefer si muove in un eterno presente estraneo al tempo lineare, come se stesse seguendo il monito del nano dello Zarathustra: ‘Tutto ciò che è diritto mente’, mormorò il nano in tono di spregio. ‘Ogni verità è curva, il tempo stesso è un circolo’. Anselm Kiefer venne al mondo tra le macerie della guerra, l’8 marzo del 1945, a Donaueschingen, in Germania. Quelle macerie che egli ha definito come il suo parcoghiochi, diverranno un elemento centrale della sua produzione artistica. Nel 1965 si iscrive all’Università di Friburgo per studiare giurisprudenza ma abbandona questa via l’anno successivo intraprendendo gli studi all’accademia d’arte, prima a Friburgo e poi a Karlsruhe. Successivamente studia a Dusseldorf dove diventa allievo di Joseph Beuys. La sua carriera artistica inizia con un difficile compito: come fare i conti con l’eredità culturale tedesca sulla quale gravano gli orrori del nazismo? Il fatto di essere nato alla fine della guerra gli permette di confrontarvisi dalla prospettiva distaccata dell’estraneo; attraverso una maggiore oggettività è in grado di negoziare con i fantasmi del passato, producendo nuove memorie. Il passato può essere rielaborato e deve esserlo per poter comprendere il presente. Questa prospettiva si riflette nel suo lavoro artistico: l’artista infatti non crea mai ex nihilo bensì plasma una materia già presente trasformandola in qualcosa di nuovo, mai definitivo né stabile bensì destinato a mutare continuamente. Uno dei primi lavori di Kiefer, una performance dal titolo Besetzungen (Occupazioni), risalente alla fine degli anni ’60, propone una riflessione sul nazismo.
Egli si fa ritrarre in una serie di fotografie (poi raccolte in un libro con il titolo Heroische Sinnbilder, Simboli eroici, mentre riproduce il saluto nazista in alcuni luoghi significativi attraverso l’Europa o in paesaggi suggestivi. Le fotografie del 1969 fatta da Kiefer raccolsero numerose critiche negative, soprattutto da parte degli artisti e intellettuali che avevano vissuto gli anni della guerra e che rimproveravano a Kiefer di riaprire una ferita non ancora rimarginata. Durante gli anni ’50 infatti, la maggior parte degli artisti tedeschi aveva messo da parte la storia recente per dedicarsi alle avanguardie d’oltreoceano oppure ad altre correnti artistiche. L’intento di Kiefer era attuare un distaccamento ironico che allo stesso tempo rappresentasse un forte impegno politico. L’artista riproduce tale gesto cercando di calarsi nell’abito del nazista, non per identificarvisi, bensì per osservare la potenza del gesto, della postura, con l’unico scopo di comprendere la follia che vi sta dietro. Per comprendere meglio il lavoro dell’artista occorre studiare i materiali utilizzati, dai quali emergono con chiarezza i temi ricorrente e centrali di ogni opera: il tempo che scorre e la trasformazione di ogni cosa. Egli predilige materiali quali sabbia, argilla, cenere, paglia, piombo, vetro, fiori, semi; persino la pittura è usata come un materiale, per esempio ottenendo uno spesso strato di colore sulla tela che può poi essere scolpito o scrostato via. La tavolezza è il luogo della poiesis, dove «gli elementi pervengono alla loro ‘giusta’ combustione; bruciando, essi si liberano dalla fissità che li separava l’un l’altro, ‘muoiono’ all’esistenza che li costringeva a non essere null’altro che sé» . Molti dei quadri di Kiefer appaiono scuri, eppure all’inizio del processo la tela è bianca e i colori sono ben presenti. Durante il processo di produzione dell’opera, che mai giunge ad un risultato definitivo, l’artista ricopre la tela, strato dopo strato, come se volesse farla invecchiare prima del tempo, imprimendo sui vari strati la traccia del tempo trascorso. Come un alchimista che accelera i processi naturali, così l’artista mostra sulla tela il tempo che corrode la materia. Un materiale molto caro a Kiefer è il piombo; questo è infatti il primo elemento nel processo alchemico per ottenere l’oro. In quanto collocato sul gradino più basso del percorso verso l’oro, il piombo rappresenta la pesantezza e l’attaccamento alla terra, ma allo stesso tempo esso contiene in sé l’argento, che gli conferisce un principio di leggerezza e di avvicinamento all’oro. I suoi dipinti mostrano lo scorrere del tempo, la trasformazione degli elementi che subiscono processi chimici. Presso lo studio di Barjac, Kiefer ha esposto numerosi dipinti all’aria aperta, lasciando agli agenti atmosferici il compito di completare l’opera, trasformandola. Così spiega uno dei suoi metodi di produzione: ricopro il quadro di pittura nera, lo stendo a terra e lo bagno con dell’acqua grigia e sporca, lo restituisco alla natura, lo espongo all’aria e alle intemperie. Insomma, maltratto il quadro abbandonandolo al nulla, lo faccio precipitare deliberatamente e con crudeltà verso l’Orcus della “desolazione e del vuoto”. È lasciato a se stesso, abbandonato dagli spiriti buoni, come il profeta che non riusciva più a distinguere la parola divina in mezzo al furore del mondo . Kiefer è famoso per aver lavorato in grandi studi, da lui definiti come laboratori. Dal 1992 ha lavorato nel paesaggio bucolico di Barjac, nel sud-est della Francia, in un immenso spazio in cui ha costruito edifici, torri, scavato tunnel, cripte e successivamente nel 2009 si è trasferito poco fuori Parigi in un enorme container all’interno del quale ha riunito tutti i suoi lavori e materiali, alcuni risalenti agli anni ’70. Nessun opera o parte di essa è mai stata abbandonata da Kiefer, poichè tutto è destinato a trasformarsi, e il mutamento è continuo, ogni oggetto potrebbe portare ad una nuova idea. Egli si sposta in bicicletta all’interno di uno spazio che dice essere come il suo cervello; gli oggetti corrispondono a sinapsi e talvolta trova nuovi collegamenti tra loro. Le rovine che in questo caso appaiono fonte di fascino sono quelle prodotte dalla civiltà occidentale; il crollo della torre di cui parla Kiefer non avviene casualmente, ma secondo la modalità di crollo che il mondo che l’ha prodotta prevede. Inizialmente esitante, sembra voler resistere in piedi a tutti i costi, poi all’improvviso crolla. Così come la costruzione avviene secondo i modi immaginati dal mondo di riferimento, anche il collasso dipende ed è influenzato dall’immagine che è stata pensata di esso.
Non è un caso a nostro parere che Kiefer utilizzi come metafora un elemento tanto paradigmatico dell’Occidente moderno quale l’aeroplano.Le rovine non sono per Kiefer il segno di una catastrofe bensì rappresentano il momento in cui le cose possono rinascere a nuova vita, dismettere la propria forma per assumerne un’altra. Come la notte che ogni giorno si trasforma in un’aurora. Aurora rappresenta il momento in cui la natura si trasforma, in un passaggio graduale in cui la notte muore come oscurità e rinasce come luce. Tra il 2010 e il 2011 Kiefer è titolare della cattedra di creazione artistica al Collège de France; le lezioni da lui tenute vengono raccolte nel testo L’arte sopravvivrà alle sue rovine (Kiefer 2018), citazione che egli sceglie come titolo senza riuscire a recuperarne la fonte, ma che ben si adatta alla sua concezione di arte. Tale citazione infatti esprime la potenza delle immagini in grado di durare nel tempo e di riaffiorare anche dopo l’eventuale distruzione o crollo del contesto che le ha prodotte. Una concezione che sembra richiamare quella di Aby Warburg per il suo concetto di Nachleben ossia di sopravvivenza delle immagini; studiando il Rinascimento fiorentino Warburg nota la ricomparsa di figure e forme (definite pathosformel, ossia formule di pathos, di gestualità espressive di pathos) proprie della classicità greca. Le immagini oltrepassano il tempo come durata ed esistono in un presente fuori dal tempo. Kiefer sembra trasportare questa idea ad ogni sua opera che, anche se abbandonata, non è mai veramente cancellata, può sempre essere recuperata, acquisendo nuovi significati per l’artista, instaurando una nuova dialettica con il presente. La sopravvivenza delle immagini non deve essere intesa come un processo statico: le forme che ritornano o vengono recuperate sono plastiche e in continuo divenire. Il superamento del tempo come durata è ciò che Nietzsche scoprì attraverso il pensiero dell’eterno ritorno nell’attimo convivono passato e futuro, come due sentieri che passano sotto la stessa porta carraia, ma sono entrambi infiniti, quindi l’attimo presente appartiene al tempo cairologico piuttosto che a quello cronologico. Tutte queste concezioni vanno infatti nella direzione di un superamento del tempo cronologicamente inteso, come successione di momenti ed eventi, ed aprono perciò la possibilità di recuperare immagini e forme apparentemente passate, ma potenzialmente sempre presenti, in grado dunque di dare forma e senso a nuovi immaginari e nuove narrazioni. Il confronto con la tradizione occidentale è costante nel lavoro di Kiefer. La presa di coscienza delle radici della propria cultura porta anche a cogliere con maggiore lucidità i fallimenti e le crisi del mondo occidentale. Egli sembra dialogare, attraverso le sue opere, con i libri e i loro autori, dai poeti tedeschi a lui contemporanei ai testi della tradizione cabbalistica. Un tema ricorrente, implicito, nelle opere dell’artista è la ricerca di un senso da parte dell’umanità, indipendentemente da qualsiasi fede o religione. Il riferimento alla tradizione biblica è invece esplicito nell’opera intitolata I sette palazzi celesti, le costruzioni sono ispirate al trattato Sefer Hekhalot o “Libro dei Palazzi” presente nel Sefer Zohar, il più importante testo cabbalistico della tradizione ebraica. Nel trattato vengono descritti numerosi palazzi posti in successione che devono essere attraversati per compiere l’ascesa verso Dio. Si tratta dunque di un percorso iniziatico di elevazione. Le sette torri sono volutamente instabili, i blocchi sono stati impilati in un equilibrio precario per simboleggiare l’aspirazione prometeica dell’umanità moderna che tenta di elevarsi, quasi a volersi sostituire al divino, ma lo fa su basi non solide e sembra dunque prossima al crollo. La modernità è qui rappresentata nel materiale di costruzione di queste che assomigliano più che altro a rovine. Tuttavia, un eventuale crollo delle torri, simbolo del crollo della civiltà che le ha prodotte, non comporterebbe una fine definitiva. Nella concezione di Kiefer, le rovine sono destinate a trasformarsi in altro, in un ciclo continuo. Ogni innovazione è una ricombinazione di vecchie tecniche; ogni trasformazione implica un nuovo presente intriso di passato. Inoltre, le torri sono la raffigurazione del rapporto tra cielo e terra; secondo l’artista i due mondi sono complementari; in particolare, grazie ai meteoriti la terra ha raggiunto la sua completezza, integrando gli elementi di cui era priva. In senso figurato, le torri sono fatte di polvere di stelle. Ciascuna torre ha un nome e un significato particolare: Sefiroth, la più bassa, sulla cui cima sono posti sette libri in piombo richiama la tradizione ebraica della cabbala. Il nome si riferisce alle emanazioni del divino espresse da dieci termini rappresentati con delle luci a neon. Melancholia, ispirata all’alchimia, è caratterizzata dal celebre “poliedro di Dürer” figura presente nell’incisione di Albrecht Dürer del 1514 che porta il titolo Melancolia I di cui Kiefer realizza una copia tridimensionale e la appoggia sulla cima della torre. La torre Ararat è un riferimento al monte su cui si dice si sia arenata l’arca di Noè. Sulla cima è presente proprio un modello stilizzato in piombo dell’arca. Due torri poste molto vicine risultano complementari e portano i nomi JH e WH che presi in sequenza formano il nome di Jahweh. Ai piedi delle due torri vi sono dei meteoriti in piombo che si ipotizza possano simboleggiare i cocci dei vasi citati nello Zohar (testo principale della cabbala), quali rappresentazione del mondo del male poi rigenerati da Dio che vi infuse nuova vita. La settima torre porta il nome di Torre dei Quadri Cadenti poiché su di essa sono state incastrate delle cornici di legno e piombo senza alcuna immagine all’interno, bensì solo lastre di vetro infranto. Due di queste opere portano lo stesso titolo Cette obscure clarté qui tombe des étoiles e raffigurano entrambi un paesaggio desertico in una notte stellata; tuttavia la notte è rappresentata in negativo, quindi il cielo è chiaro e le stelle sono realizzate con semi di girasole colorati di nero. I paesaggi desolati, l’assenza di alcuna traccia umana, l’incombere del cielo sulla terra, sono tutti soggetti ricorrenti nelle opere di Kiefer. Ben consapevole dei ripetuti fallimenti umani dell’epoca moderna, egli immagina uno scenario alternativo, forse il mondo alla fine del mondo, e lo rappresenta nei suoi quadri. Non vi è traccia di rovine, nessun rimpianto per il mondo perduto; il vortice di stelle scure sembra incombere sulla terra, tuttavia, come suggerito dal titolo, quel che cade dal cielo, nonostante appaia come obscure è in realtà clarté (chiarezza, splendore). Un altro paesaggio desertico molto simile è raffigurato nel dipinto dal titolo Alchemie , composto da due tele affiancate. Questa volta i semi di girasole sono utilizzati come gocce di pioggia, simbolo di fertilità in grado di donare nuova vita al terreno reso arido dal sole. Una bilancia pende sul paesaggio e i due piatti portano sale e pioggia, aridità e fertilità. Un altro dipinto, dal titolo Jaipur, è la rappresentazione di una piramide inveritita che simboleggia il fallimento del tentativo dell’uomo di avvicinarsi al divino attraverso le antiche ed enormi costruzioni architettoniche. C’è una tela di Kiefer che permette di riflettere sulla storia e sul destino del popolo tedesco dal titolo La linea della salvezza tedesca, raffigura un uomo davanti all’orizzonte, in riferimento ai quadri di Caspar David Friedrich. Quello che vede però è un arcobaleno su cui il pittore ha segnato i nomi dei più importanti pensatori tedeschi. Mentre nell’ installazione I sette palazzi celesti raffigura quindi un paesaggio desolato prossimo alla catastrofe eppure sappiamo che l’eventuale catastrofe sarebbe confinata alla civiltà occidentale moderna e che dalle sue macerie si produrrebbe nuova vita. Nell’immaginario di Anselm Kiefer ogni catastrofe è anche una rigenerazione proprio perché concepisce il tempo come un circolo in cui non vi è un principio né una fine definitiva. I riferimenti filosofici e letterari sono sempre stati centrali per la comprensione del lavoro di Anselm Kiefer. La mostra prende il titolo Anselm Kiefer Questi scritti, quando verranno bruciati, daranno finalmente un po’ di luce (Andrea Emo) dalle parole del filosofo veneto Andrea Emo i cui scritti Kiefer ha incontrato per la prima volta sei anni fa. Il metodo artistico di Kiefer ha infatti profonde consonanze con il pensiero filosofico di Andrea Emo. Nell’installazione a Palazzo Ducale Anselm Kiefer riflette inoltre sulla posizione unica di Venezia posta tra il Nord e il Sud e sulla sua interazione tra Oriente ed Occidente trovando connessioni altrettanto significative tra queste differenti culture, la storia della città e il testo dell’opera tragica di Goethe, Faust: Seconda parte del1832. Come afferma Anselm Kiefer : “ A volte succede che ci sia una convergenza tra momenti passati e presenti, e quando questi si incontrano si sperimenta qualcosa di simile all’immobilità nell’incavo dell’onda che sta per infrangersi. Avendo origine nel passato ma appartenendo in fondo a qualcosa di più di esso, questi momenti fanno parte tanto del presente quanto del passato, e ciò che generano è importantissimo”.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo riccamente illustrato, pubblicato da Marsilio, contenente testi dei curatori Gabriella Belli e Janne Sirén e altri illustri autori: Salvatore Settis, Massimo Donà, Jean de Loisy, Elisabetta Barisoni e una conversazione tra Hans Ulrich Obrist e Anselm Kiefer.
Biografia di Anselm Kiefer
Il monumentale corpus di lavoro di Anselm Kiefer rappresenta un microcosmo della memoria collettiva, incapsulando visivamente una vasta gamma di allusioni culturali, letterarie e filosofiche – dal Vecchio e Nuovo Testamento, al misticismo della Cabala, alla mitologia nordica e il ciclo dei Ring di Wagner, alla poesia di Ingeborg Bachmann e Paul Celan. Nato durante gli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale, Kiefer riflette sull’identità e la storia della Germania del Dopoguerra, alle prese con la mitologia nazionale del Terzo Reich. Fondendo arte e letteratura, pittura e scultura, Kiefer coinvolge i complessi eventi della storia e le epopee ancestrali della vita, della morte e del cosmo. Il suo sconfinato repertorio di immagini è parallelo solo all’ampiezza delle tecniche presenti nel suo lavoro. L’opera di Kiefer comprende dipinti, vetrine, installazioni, libri d’artista e una serie di lavori su carta come disegni, acquerelli, collage e fotografie alterate. Gli elementi fisici della sua pratica – dal piombo, al cemento, dal vetro ai tessuti, alle radici d’albero ai libri bruciati – sono tanto simbolicamente risonanti quanto vasti. Integrando, espandendo e rigenerando immagini e tecniche, Kiefer porta alla luce l’importanza del sacro e dello spirituale, del mito e della memoria. Anselm Kiefer è nato nel 1945 a Donaueschingen, in Germania. Dopo aver studiato legge e lingue romanze, ha frequentato la Scuola di Belle Arti di Friburgo in Brisgovia e l’Accademia d’Arte di Karlsruhe, mantenendosi in contatto con Joseph Beuys. L’opera di Kiefer è stata esposta e collezionata dai maggiori musei del mondo, e tra le principali mostre si annoverano: “Bilder und Bücher,” Kunsthalle Bern, Svizzera (1978); “Verbrennen, verholzen, versenken, versanden,” West German Pavilion, 39a Biennale di Venezia, Italia (1980); “Margarete-Sulamith,” Museum Folkwang, Germania (1981); Kunsthalle Düsseldorf, Germania (1984, poi all’ARC Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris, Francia; e all’Israel Museum, Gerusalemme); “Peintures 1983-1984,” Musée d’Art Contemporain, Bordeaux (1984); e Art Institute of Chicago, Illinois (1987, poi al Philadelphia Museum of Art, Pennsylvania; Museum of Contemporary Art, Los Angeles; e Museum of Modern Art, New York, fino al 1989). Tra le mostre museali si includono inoltre: “Bücher 1969-1990”, Kunsthalle Tübingen, Germania (1990, poi al Kunstverein München, Germania; e al Kunsthaus Zürich, Svizzera, fino al 1991); Neue Nationalgalerie Berlin, Germania (1991); “Melancholia”, Sezon Museum of Art, Tokyo (1993, poi al Kyoto National Museum of Art, Giappone; e all’Hiroshima Museum of Contemporary Art, Giappone); “Himmel-Erde”, Museo Correr, Venezia (1997); e “El viento, el tiempo, el silencio”, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid (1998). Tra le mostre personali più recenti di Anselm Kiefer si annoverano: Guggenheim Museum Bilbao, Spagna (2000); “Maleri 1998-2000,” Louisiana Museum of Modern Art, Humlebkæk, Danimarca (2001); “Die sieben Himmelspaläste,” Fondation Beyeler, Basilea (2001); “I sette palazzi celesti”, Fondazione Pirelli, Milano (2004); “Heaven and Earth”, Modern Art Museum of Fort Worth, Texas (2005, poi al Musée d’Art Contemporain de Montréal, Québec; Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, Washington D. C. e al San Francisco Museum of Modern Art, California, fino al 2007); Guggenheim Museum Bilbao, Spagna (2007); “Sternenfall / Chute d’étoiles,” Monumenta, Grand Palais, Parigi (2007); “Anselm Kiefer au Louvre,” Musée du Louvre, Parigi (2007); Louisiana Museum of Modern Art, Humlebkæk, Danimarca (2010); “Shevirat Hakelim,” Tel Aviv Museum of Art, Israele (2011); “Beyond Landscape”, Albright-Knox Art Gallery, Buffalo (2013); Royal Academy of Arts, Londra (2014); “l’alchimie du livre”, Bibliothèque Nationale de France, Parigi (2015); Centre Georges Pompidou, Parigi (2015); “Kiefer Rodin”, Musée Rodin, Parigi (2017, poi alla Barnes Foundation, Philadelphia, fino al 2018); “For Velimir Khlebnikov – Fates of Nations,” State Hermitage Museum, San Pietroburgo (2017); and “Provocations,” The Met Breuer, New York (2017); “Uraeus,” Rockefeller Center, New York (2018); “Livres et xylographies,” Fondation Jan Michalski, Montricher, Svizzera (2019); “Bøker og tresnitt,” Astrup Fearnley Museum, Oslo (2019); “Anselm Kiefer à La Tourette,” Couvent de La Tourette, Éveux, Francia (2019); “Hommage à Maurice Genevoix,” Panthéon, Parigi (2020, in corso); “Pour Paul Celan,” Grand Palais Éphémère, Parigi (2021).
Palazzo Ducale di Venezia
Anselm Kiefer
dal 26 Marzo 2022 al 29 Ottobre 2022 dal Lunedì alla Domenica dalle ore 9.00 alle ore 19