Gazzettino Italiano Patagónico

Ricostruzione ecosistemica: riforestare il mare

La difesa della natura può essere affrontata “giocando in difesa” (salvare il salvabile, come specie e habitat; ridurre o mitigare i vari impatti ambientali; vietare e controllare, ecc.) oppure, in modo più propositivo e anche creativo, “giocando in attacco” (ricostruire, sia habitat che popolazioni; rigenerare e rivitalizzare, dai suoli agli individui; deframmentare e connettere, per esempio creando nuovi corridoi ecologici, ecc.). All’interno di questo secondo approccio si stanno sempre più diffondendo (per fortuna) i vari interventi di ricostruzione ecosistemica e in particolare varie azioni di riforestazione, sia in ambienti urbani, sia in quelli agricoli o naturali residui. Forse perché piantare alberi è relativamente facile ed economico (più difficile curarli poi in modo adeguato), è tutto un susseguirsi di “boschi in città”; foreste da salvare o da ricreare; boschi “dei nuovi nati”; boschi usati come futuri cimiteri (per uomini e animali); scolari, politici, attori e casalinghe immortalati con il badile in mano pronti a piantare l’alberello nella buca pronta (di solito scavata da altri); matite che diventano alberi; fogli e quaderni che germogliano e chi più ne ha più ne metta. Insomma “riforestare è bello” e di moda.

Sulla terraferma, ma in mare come facciamo?

Tra le azioni conservative “in attacco” vi sono, per esempio, quelle finalizzate a ricreare nuove barriere coralline, ma fino ad ora di riforestare gli oceani si è parlato molto poco.Eppure non solo è possibile ma sarebbe auspicabile, oltre che strategicamente molto importante. Infatti, sono le grandi distese d’acqua, lacustri ma soprattutto marine, e la vegetazione che in essa vive (fitoplancton, alghe e vegetazione acquatica superiore) a costituire il principale serbatoio di ossigeno del pianeta, oltre che a svolgere innumerevoli altre funzioni vitali, come quelle di regolatori del clima o sorgenti di biodiversità. Il modo migliore per riforestare gli oceani sarebbe dunque quello di implementare “i boschi subacquei”, ovvero quegli straordinari ecosistemi costituiti da Fanerogame marine, cioè non alghe, ma piante superiori a tutti gli effetti, con radici, fusti, foglie, fiori e frutti. La più nota anche al grande pubblico è sicuramente la Posidonia (Posidonia oceanica), che però è solo una delle quattro fanerogame spontanee del Mar mediterraneo, assieme a Cymodocea nodosaZostera marina e Zostera noltii. Ancora presente su oltre 20.000 miglia quadrate, si ritiene che la Posidonia sia probabilmente l’ecosistema più ricco e probabilmente uno dei più importanti del nostro mare. Essa colonizza fondali sabbiosi sino a circa 35 m di profondità, formando delle vere e proprie praterie monospecifiche. In tal modo, assieme alle altre Fanerogame marine, la Posidonia svolge un ruolo multifunzionale e centrale nell’ambito dei delicati processi del mare, oltre a fornire tantissimi “servizi ecosistemici”. Per esempio questi ambienti sono dei grandissimi produttori di biomassa (intrappolando quindi elevate quantità di CO2), con circa 38 t/ha/anno di sostanza secca, come una coltura agricola intensiva. Sono poi un importante habitat trofico e riproduttivo per tantissime altre specie, sia vegetali (400 specie), sia animali (circa 1000), tra cui i sempre più rari cavallucci marini. Svolgono poi un’importante funzione di consolidamento dei fondali, limitando i processi di erosione costiera e soprattutto dei litorali sabbiosi. Infatti, le lunghe foglie nastriformi di Posidonia dispiegano ampie superfici elastiche (sino a 20-30 mq per ogni mq di fondale) in grado di dissipare per attrito il 60-70% delle correnti e il 30-40% delle onde. Anche l’accumulo in spiaggia dei mucchi di foglie morte e delle famose palline (le “banquettes”), seppure poco belle da vedere, contribuiscono a proteggere le spiagge dall’erosione diretta, soprattutto durante le mareggiate invernali. Infine, proprio come un grande bosco terrestre, queste distese vegetali producono grandi quantità di ossigeno: 1 mq di prateria è in grado di produrre 10-15 l di ossigeno al giorno.

Insomma, è evidente che sarebbe urgente intensificare le iniziative di riforestazione di queste praterie marine, che si stanno degradando e riducendo a vista d’occhio (a causa dell’inquinamento, degli ancoraggi delle barche, della modifica antropica delle correnti costiere, della pesca a strascico illegale sotto costa, ecc.). Alcuni progetti sono già in corso, per esempio sui fondali di fronte a Marsiglia o in almeno due località della Sardegna e prossimamente anche davanti a Palermo, ma si tratta ancora di interventi su superfici limitate. Vanno dunque estese, per grandezza e numero di località, in modo da aiutare il nostro mare a recuperare un ecosistema prezioso oggi minacciato.

Armando Gariboldi

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