Gazzettino Italiano Patagónico

Il nuovo olio vegetale idrogenato

Il trasporto di merci su strada europeo contribuisce al 15% delle emissioni totali europee dei gas climalteranti e per il 70% questa emissione è dovuta ai mezzi medio-pesanti(1), come i camion. Ecco perché questo settore mosso da motori diesel è significativo per raggiungere la neutralità climatica prevista entro il 2050. Ma mentre con rapidità si sviluppano e incentivano entusiasmanti tecnologie a zero o basse emissioni per la mobilità e micro mobilità privata, il trasporto pesante deve fare i conti con le sue lunghe percorrenze, le necessità di rapidi e durevoli rifornimenti e in genere con una transizione verso motori senza combustione più complessa, costosa e lenta. In questo passaggio i biocarburanti sostenibili potrebbero essere d’aiuto come risorsa ad alto potere calorifico di energia rinnovabile essendo già adatti ai motori e alle infrastrutture esistenti. È il caso del biodiesel, scoperto nel 1937(2) e ottenuto dall’esterificazione di un olio vegetale con un alcol, che viene miscelato da tempo nei diesel fossili venduti in tutta Europa. È stato inserito in passato tra le energie rinnovabili che partecipano al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni, come da Direttiva Europea del 2008 (chiamata anche RED I). Ne è seguito un aumento di produzione significativo(3), che si è tradotto in aumento dei consumi degli oli vegetali di cui è fatto, come quello di colza o di palma, che però sono materie prime impiegate anche nell’alimentazione umana e animale. Quest’aumento ha portato con sé una maggiore competizione economica per tali risorse e un aumento diretto o indiretto di consumo di suolo per le nuove coltivazioni. Proprio i nuovi raccolti agro-energetici hanno sottratto in alcuni casi terreni a foreste vergini o a suoli ad elevato grado di biodiversità – mettendo in dubbio l’effettiva rinnovabilità di questi biocarburanti, se non in alcuni casi azzerandone il beneficio di riduzione emissiva quando confrontati con i loro alter ego fossili! Ecco perché ora l’Europa impone con una nuova Direttiva (RED II) in forza in Italia dal dicembre 2021, che le materie prime utilizzate per fare biodiesel abbiano origini sostenibili certificate e che i biodiesel ottenuti partendo da oli in competizione con l’alimentazione umana o animale possano concorrere solo entro certi limiti nei calcoli delle energie rinnovabili degli Stati Membri, ma anche promuove l’impiego di nuove e più sfidanti materie prime, come bio oli prodotti da rifiuti e residui industriali spingendo verso nuovi biocarburanti avanzati e a minore impatto. Tra i materiali di recupero da tempo gli oli usati da cucina o gli oli derivati dal grasso animale di scarto, sono impiegati nella produzione di biodiesel tradizionale, anche detto FAME, mentre ora a questi si stanno affiancando nuovi bio oli avanzati, ottenuti e inseriti in processi produttivi più complessi come in raffinerie esistenti, ora in metamorfosi verso le bioraffinerie. Questi nuovi processi producono un tipo diverso di biodiesel se paragonato a quello tradizionale, che viene anche chiamato diesel rinnovabile o olio vegetale idrogenato (HVO). Questo “nuovo” biodiesel è stato per primo brevettato dalla finlandese Neste che utilizza per produrlo materiali di recupero come gli scarti del tallolio dell’industria cartaria. I produttori dei biocarburanti stanno via via impiegando sempre più oli innovativi in sostituzione degli oli vegetali vergini, come Eni che nelle bioraffinerie di Venezia e Gela sperimenta la produzione di oli dal trattamento di rifiuti o l’estrazione di oli da alghe e lieviti coltivati in bioreattori e alimentati con residui organici. Lo scenario è quindi un’inevitabile crescita di complessità attraverso nuovi percorsi, alla ricerca di materie di scarto reimpiegabili, in quantità non trascurabili, disponibili e raggiungibili, senza scordare la necessità di avere prezzi ragionevoli, in scenari di mercato che via via si stanno facendo più competitivi. È comunque una sfida che potrebbe aiutare la transizione del trasporto pesante, con emissioni di gas climalteranti ridotte e nel contempo con notevoli riduzioni di composti nocivi già all’origine.

Eleonora Della Mina – Ing. Ambiente Territorio

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