Mettersi in cammino ha a che fare con il nostro DNA e oggi più che mai sentiamo il bisogno di camminare con ritmi più lenti. Per riscoprire noi stessi. Provvisto solo di uno zaino e con addosso un vecchio cappotto militare, nel dicembre del 1933 Patrick Leigh Fermor, all’età di diciotto anni, abbandonò Londra per inseguire le sue vaghe ambizioni letterarie e un progetto folle e grandioso: attraversare l’Europa a piedi per raggiungere Costantinopoli. Lì in realtà sostò solo pochi giorni. La sua lunga fuga proseguì verso la Grecia, l’aspra penisola del Mani, i monasteri del Monte Athos, dove solo pochi anni prima era passato Robert Byron, che il giovanissimo Fermor aveva già letto con trasporto. In quello stesso momento Byron si trovava in viaggio fra la Persia e l’Afghanistan, esperienza che diede vita a La via per l’Oxiana, uno dei libri più amati da Bruce Chatwin, altro scrittore raffinato e infaticabile vagabondo… Ci fermiamo qui, anche se la concatenazione di artisti tormentati dal cammino potrebbe continuare a lungo. Oggi Fermor, Byron, Chatwin, Henry David Thoreau, Paul Theroux e molti altri, compresi gli italiani Bonatti, Terzani, Rumiz, sono gli affabulatori dell’andare a piedi più amati da pellegrini, camminatori di professione, viandanti. C’è voglia di camminare in Italia e nel mondo. Per molti l’imperativo è diventato: esplora con calma! In alternativa al turismo convulso mordi e fuggi, questa forma di viaggio si sviluppa in prevalenza lungo itinerari da percorrere a piedi. Il popolo dei camminatori si raduna da qualche anno a Monteriggioni, in provincia di Siena al Festival della Viandanza. Manifestazione di largo respiro e ampio successo, che ora ha cambiato nome in Slow Travel Fest e ha perso per strada qualche fondatore. Perché anche l’arte del ramingo esige rigore e le tentacolari lusinghe dell’intrattenimento non sono gradite da tutti. Che si tratti di camminare per le strade trafficate, attraverso la campagna o su sentieri montani, ha poca importanza. È l’impellente richiamo interiore del cammino che mette in moto. Passo dopo passo, meglio se con l’aiuto di bei paesaggi e del silenzio, per sentirsi più vicini a sé e alle proprie emozioni. Si cammina per distrarsi, catturare immagini, cullarsi in dolci illusioni, accumulare ricordi, rivedere progetti. Si cammina anche per raccontare. E anche per guarire. Chatwin era un convinto assertore del “solvitur ambulando”, camminando si risolve. Anche il regista Werner Herzog considera la pratica terapeutica. Quando seppe che la sua amica Lotte Eisner, assistente di Fritz Lang e musa ispiratrice del cinema tedesco, era in fin di vita, si mise in marcia in mezzo alla neve per andare da Monaco a Parigi, convinto che in qualche modo, a forza di camminare, sarebbe riuscito a farla guarire. La Eisner guarì e visse altri dieci anni.
Rotte inconsuete
Gli occhi di chi va a piedi hanno attenzione per i dettagli. Di un cammino, anche del più semplice, si trattiene nella mente ogni passo. Tornare viandanti è un modo per esplorare dentro noi stessi, scoprire nuove realtà o guardare con occhi differenti ciò che già si conosce. I camminatori esperti prediligono in genere luoghi poco affollati, meglio se lontani dalle direttrici abituali. In Italia, per esempio, suscita interesse il Molise, regione bellissima e ignorata. L’Associazione Culturale La Terra ha ideato “Cammina, Molise!” con l’intento di promuovere la cultura e l’ospitalità di questa regione. In oltre venti anni, ha portato a camminare su sentieri e tratturi interni viandanti provenienti da ogni parte d’Italia e anche dall’estero. Anche l’entroterra siciliano piace. Percorrendo la strada che da Palermo va ad Agrigento s’incontrano paesaggi commoventi. Impagabile una sosta all’eremo di Santa Rosalia alla Quisquina, a 900 metri sul livello del mare, dove si rifugiò la patrona di Palermo. Quando si cammina, tutto cambia. Perfino una località dal volto mondano come Madonna di Campiglio (TN), se raggiunta a piedi, assume un volto diverso. Si parte dalla chiesina di Santa Emerenziana, vetusto ospizio per viandanti all’imbocco della Val di Tovel, e si risale il torrente Tresenica fino al celebre lago, che un tempo diventava rosso. Da qui si entra nel cuore delle Dolomiti di Brenta fino a toccare la malga Flavona. Poi su, verso le alte quote, la Bocca del Tuckett (2648 m) e il Passo del Grostè (2442 m). Da lì, in discesa, si raggiunge l’elegante cittadina adagiata a 1550 metri.
Michele Mauri