19 marzo, 2024


I presagi e gli studi di Suzanne Simard sulla rilevanza delle micorrize hanno ispirato nuove ricerche che alla fine hanno sovvertito il modo di guardare gli ecosistemi boschivi. Un ecologo britannico, Thomas Crowther, nel 2012 ha cominciato a raccogliere dati riguardanti le foreste di tutto il mondo avvalendosi della collaborazione di altri scienziati e di varie agenzie governative. Dopo tre anni è giunto a disegnare la distribuzione degli alberi sul nostro pianeta, stimando che essi ammontino a tre trilioni. E siccome la scienza progredisce per contaminazioni successive, è accaduto che un biologo dell’Università californiana di Stanford, Kabir Peay, si sia messo in contatto con lui per proporgli di mappare la rete sotterranea tra le piante che mette in relazione il mondo vegetale. Grazie al lavoro congiunto del Crowther Lab, fondato nel frattempo al Politecnico Federale di Zurigo, e dell’Università di Stanford, nel maggio 2019 è stato possibile pubblicare una mappatura del wood wide web, la vastissima rete di radici, batteri e funghi che da milioni di anni aiuta gli alberi a vincere ogni avversità. Questa straordinaria sequenza di studi, che in qualche modo traggono tutti lo spunto inziale dal lavoro visionario della Simard, documenta un altro aspetto di rilevanza epocale. Dopo Darwin, molti biologi hanno individuato nella selezione naturale l’agente principale – se non addirittura unico – della conservazione delle specie. In realtà è stato dimostrato che esiste un pluralismo anche nei fattori dell’evoluzione e che la competizione e l’adattamento non sono necessariamente caratteri contrapposti. Anzi, l’assenza di competizione, talvolta, è la ragione del successo di vaste comunità. La rete di sostegno che unisce le foreste concorre a confermare questa tesi. Prima che venissero rivelati il ruolo e l’estensione delle reti micorriziche, gli alberi erano considerati perlopiù al pari di individui solitari, indifferenti gli uni agli altri, oppure in competizione per garantirsi lo spazio e le risorse essenziali. Questo modo di guardare una foresta si è rivelato sbagliato e superficiale. Certo, all’interno di un ecosistema boschivo ci sono conflitti, ma anche tanta reciprocità e collaborazione. Ricerche recenti sembrerebbero individuare la presenza di reti micorriziche perfino sotto le praterie e la tundra artica. Insomma le piante, i funghi e i microrganismi sarebbero in connessione tra di loro ovunque ci sia vita sulla Terra.
Il ceppo intelligente
Continuando ad approfondire la conoscenza del wood wide web potremmo ottenere ulteriori risposte e vedere finalmente svelati alcuni dei segreti che tuttora investono la vita delle piante. Sebbene esse siano organismi ovviamente vivi, appaiono ai più come soggetti passivi all’interno di un ambiente a causa del fatto che sono radicate alla terra e silenziose. La cultura occidentale, in particolare, è ancora molto scettica circa l’esistenza di un’intelligenza vegetale. Eppure da tempo alcuni studiosi sono impegnati a dimostrare che le piante non sono affatto creature elementari e rozze. Al contrario, non solo sono capaci di comunicare tra loro anche a grandi distanze, ma pure di percepire l’ambiente circostante. Al riguardo non ha dubbi Stefano Mancuso, scienziato di fama mondiale che dirige il Laboratorio di Neurobiologia Vegetale dell’Università degli Studi di Firenze. Nel suo ultimo libro intitolato La pianta del mondo dedica un capitolo ai misteri del sottosuolo. Il suo racconto sposta ancora un poco più avanti la questione. Il protagonista difatti non è un albero, bensì un ceppo, ossia il triste resto di un esemplare morto, destinato a essere consumato dagli insetti e dai microrganismi fino a scomparire. Ma nel caso in esame è invece vivo. Come è potuto accadere? In un crescendo narrativo coinvolgente, Mancuso spiega che questo ceppo di kauri, rinvenuto occasionalmente da due ricercatori neozelandesi in una foresta pluviale a nord di Auckland, riceve ciò di cui ha bisogno attraverso l’apparato radicale che è rimasto connesso con quello degli alberi vicini. La domanda seguente è: perché alberi sani si fanno carico da decenni di tenere in vita un ceppo? A prima vista sembra uno spreco di risorse. Invece la risposta, ancora una volta, risiede nei vantaggi della cooperazione e del senso di comunità. Ciascun albero ha un sacco di ragioni per combinare le proprie radici con quelle degli esemplari vicini: potrà scambiare risorse vitali, rafforzare il proprio arsenale chimico per difendersi dai parassiti, aumentare la stabilità. I vantaggi di essere connessi a un ceppo, poi, sono ancora maggiori. L’albero integro avrà a sua completa disposizione un doppio apparato radicale con tutti i benefici che ne conseguono. Vogliamo davvero stare ancora a discutere attorno all’intelligenza delle piante?
Michele Mauri