Gazzettino Italiano Patagónico

Il virus, ovvero l’assassino

Mentre la nostra società è ancora in ginocchio, alle prese con la pandemia del COVID-19, da qualche parte del mondo si stanno ponendo le basi per la creazione del COVID-20, del COVID-21, e così via. L’epidemia di COVID-19 non è la prima e non sarà l’ultima. Nella storia le epidemie si sono ripetute con andamento ciclico, ma la loro frequenza ora sta aumentando allo stesso ritmo con cui aumenta la mobilità delle persone e lo sfruttamento della Natura. Le ultime apparizioni di virus della famiglia dei coronavirus sono avvenuti a circa 10 anni di distanza: SARS nel 2002, MERS nel 2012, COVID-19 nel 2019. Nello stra-citato, e ormai quasi introvabile nelle librerie, testo del saggista scientifico David Quammen, “Spillover – L’evoluzione delle pandemie” (Adelphi, 2014) si descrive, con lo stile del thriller, il processo con cui i virus che hanno scatenato le più recenti epidemie, dall’Ebola alla SARS, possono fare il salto di specie dall’animale all’uomo: la “zoonosi”. Ancora oggi, non abbiamo una comprensione completa dei processi che consentono a un agente patogeno di un animale vertebrato di portare l’infezione in un essere umano e di come questi processi siano gerarchicamente, funzionalmente e quantitativamente collegati. La zoonosi richiede la coesistenza di diversi fattori, tra cui sono determinanti quelli ecologici, epidemiologici e comportamentali dell’esposizione all’agente patogeno. Come in un thriller cinematografico, ci sono gli attori: quattro quelli principali, tra cui un killer, una vittima e due co-protagonisti. Se la scienza ancora si divide sulle diverse teorie che spiegano l’esistenza dei virus, quello che sappiamo di certo è che la famiglia dei coronavirus (così chiamati per la forma sferica con le protuberanze con cui attaccano la membrana delle cellule) comprende le quasi innocue forme di raffreddore, ma anche virus temibili come SARS-CoV, MERS-CoV e SARS-CoV-2 (quest’ultimo è il nome scientifico appropriato dell’attuale coronavirus, il COVID-19). Infatti, per correttezza di esposizione, SARS-CoV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome-2) è il nome del virus, COVID-19 è il nome della malattia che provoca nell’uomo (COronaVIrus Disease-2019).
I serbatoi di virus
Ci sono alcuni animali, come i pipistrelli, ma non solo, che per varie ragioni sono dei veri e propri serbatoi viventi di virus. Da una parte la numerosità e concentrazione delle popolazioni, dall’altra una spiccata permeabilità ai virus, che gli scienziati cercano di spiegare con la primordialità evolutiva di questi animali e del loro sistema immunitario. Al momento, l’ipotesi più accreditata è che l’ospite serbatoio di questo nuovo coronavirus sia il pipistrello Rhinolophus sinicus, o pipistrello ferro di cavallo cinese, per una certa familiarità di questi pipistrelli con i coronavirus. Secondo l’Oms, più di 500 tipi di coronavirus sono stati rinvenuti nei pipistrelli cinesi.
L’ospite di amplificazione
Sembrerebbe, inoltre, che i virus che compiono il salto di specie, lo “spillover” o zoonosi, non riescano a passare dal pipistrello direttamente all’uomo, ma che abbiano bisogno di un ospite intermedio, dove poter fare le mutazioni necessarie per poter attaccare le cellule umane. Come un ponte, quindi, l’ospite intermedio funge da “amplificatore” del virus, per generare quella densità e carica virale necessaria a contagiare l’uomo, e come contenitore per la necessaria variazione genetica. Sono stati studiati alcuni casi storici di questo fenomeno. In Malesia, nel’98, gli ospiti di amplificazione furono i maiali, contagiati dalle deiezioni dei pipistrelli nelle porcilaie. Il virus di Marburg, la febbre emorragica che deve il nome alla città tedesca in cui esplose nel 1967, colpì gli addetti di una fabbrica di vaccini, contagiati dagli ospiti intermedi, in questo caso scimmie verdi (Chlorocebus pygerythrus) importate dall’Uganda.
L’uomo, la vittima finale (ma anche il maggior colpevole!)
Perché un virus di origine animale possa trasmettersi nell’uomo, deve superare diverse barriere fisiche e immunologiche. È necessario, quindi, che ci sia una forte pressione patogena, concentrata nel tempo e nello spazio. I comportamenti umani a rischio determinano il fatto che questa pressione patogena si traduca in dose di esposizione. Il rischio di infezione, quindi, è influenzato dai comportamenti umani, come le interazioni con gli animali ospiti, il consumo di alcuni prodotti animali o la frequentazione di particolari ambienti. Come ha spiegato la virologa Ilaria Capua, dell’Università della Florida, ospite in questi giorni di numerose trasmissioni di approfondimento sul coronavirus: «Tre coronavirus in meno di vent’anni rappresentano un forte campanello di allarme. Sono fenomeni legati anche a cambiamenti dell’ecosistema: se l’ambiente viene stravolto, il virus si trova di fronte a ospiti nuovi». Alla fine, la responsabilità del contagio ricade su noi uomini. A partire da quelle alterazioni ecologiche, tra urbanizzazioni e deforestazioni, che sottraggono ai pipistrelli i loro nutrimenti abituali (zecche e zanzare), attirandoli verso le metropoli. Come ha spiegato il veterinario epidemiologo Jonathan Epstein, «non sono loro a cercarci, semmai siamo noi a cercare loro (i virus)».
La scena del crimine
Nell’indagare sul possibile innesco dello spillover, nel suo libro Quammen perlustra gli allevamenti e i mercati, i diffusissimi wet markets, che riforniscono di animali selvatici una vastissima rete di ristoranti di cucina yewei. In questi ristoranti, spesso costosi ed esclusivi, si servono ricette a base di pipistrelli e zibetti, ma anche ratti, serpenti, tartarughe, tassi, furetti e molto altro. E non c’è solo la gastronomia a far razzia di animali selvatici, si aggiunge anche la superstizione, come nel caso del pene di tigre, considerato un portafortuna. Le prime infezioni umane sono state segnalate alla fine di dicembre 2019 a Wuhan, provincia di Hubei in Cina, quando è stato identificato un gruppo di 41 casi di polmonite. Un’analisi più approfondita ha dimostrato che si trattava di un nuovo coronavirus. Il 66% dei casi aveva avuto un’esposizione diretta al mercato. In un mercato come quello di Wuhan, sono stipati a stretto contatto persone, animali, vivi, morti e agonizzanti di ogni specie. Un vero e proprio “melting pot zoologico”, ambiente ideale per la trasmissione di zoonosi, dove gli animali selvatici sono stipati in gabbie a rete verticali in cui la deiezione di quelli sopra finisce su quelli sottostanti, vengono macellati sul posto, talvolta per terra, senza precauzioni di natura igienico-sanitaria, sono a contatto con cani e gatti anch’essi destinati all’alimentazione. Sebbene diffusi in tutto l’oriente, questi mercati hanno una precisa specificità in Cina. Alla fine degli anni, ’70 Deng Xiaoping ha abolito i controlli statali sull’agricoltura delle aree rurali per consentire ai contadini affamati di provvedere al proprio sostentamento. Ratti, pipistrelli, gatti, zibetti, pangolini e altri animali selvatici sono entrati, così, nelle pratiche alimentari di queste aree. Ma quello che era cominciato come fonte di sussistenza si è nel tempo evoluto in una vera e propria industria alimentare e di ingredienti magici per le medicine alternative.
Scenari apocalittici per il prossimo virus
La lezione del COVID-19 potrà, si auspica, servire da lezione per affrontare nuove zoonosi, ridurne l’evenienza e contenerne il contagio. Ma le catastrofi, si sa, arrivano sempre dall’imprevedibile. Ma l’imprevedibile, in questo caso, è stato previsto da molti studiosi: un virus terribile, ancestrale, completamente estraneo alla nostra evoluzione e per questo incomprensibile e incontrastabile. E non arriverà con un viaggio interspaziale da Marte… Il suo sarà un viaggio attraverso la “dimensione temporale”. A causa dei cambiamenti climatici ormai inarrestabili e conclamati, lo scioglimento di ghiacci, ghiacciai e permafrost, infatti, potrebbe rilasciare virus molto antichi e pericolosi, risalenti addirittura a epoche precedenti la comparsa dell’uomo sul Pianeta. Non si tratta di un’ipotesi fantascientifica: a gennaio di quest’anno, per esempio, un team di scienziati cinesi e statunitensi ha trovato all’interno di campioni di ghiaccio di 15mila anni fa, prelevati dall’Altopiano tibetano, ben 33 virus, 28 dei quali sconosciuti.
Come tutti i film, anche questo thriller merita una recensione…
L’incidenza e la frequenza della trasmissione epidemica di malattie zoonotiche è aumentata drasticamente negli ultimi 30 anni. Questo fenomeno è il risultato della trasformazione sociale, demografica e ambientale che si è verificata a livello globale. In una società globalizzata come la nostra, non possono coesistere pericolose e primitive pratiche di razzia della fauna selvatica con la velocità e vastità di contatto tra le persone. Non si possono accettare standard sanitari non compatibili con il mondo moderno. Non avvengono più epidemie che scoppiano e sterminano un villaggio e lì si fermano. Oggi, uomini, animali, prodotti animali e vettori di malattie possono fare il giro del mondo in 24 ore. La distanza non è più una barriera contro le epidemie. Se siamo stati disposti, pur di fermare il contagio, alla separazione sociale, al lock-down di tutte le attività economiche, a patire migliaia e migliaia di morti, abbiamo il diritto e il dovere di imporre regole igieniche, di equilibrio ecologico, di sicurezza, di contrasto al commercio legale e illegale di animali selvatici a tutti coloro che sono membri di questa comunità umana interconnessa.
Luca Serafini

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