Gli antimicrobici, come per esempio gli antibiotici, stanno diventando sempre meno efficaci nelle cure di moltissime infezioni di origine batterica perché aumentano i microrganismi capaci di resistere ai trattamenti antimicrobici, ovvero che hanno sviluppato la resistenza agli antimicrobici (AMR). Gli antibiotici sono comunemente usati in medicina umana e veterinaria per curare un ampio ventaglio di malattie infettive. Il problema è il loro abuso, sia nel campo della medicina umana, sia nell’agricoltura e negli allevamenti. Perché se da un lato è naturale che i batteri nel tempo sviluppino resistenza a un antibiotico, il fenomeno è aggravato dall’uso eccessivo e scorretto di questi farmaci. Ogni batterio che sopravvive a una cura antibiotica, infatti, può moltiplicarsi e trasferire la sua capacità di resistere agli antibiotici ad altri batteri. «Potremmo presto raggiungere un punto critico in cui la resistenza antimicrobica supererà le malattie cardiache e altre cosiddette malattie da stile di vita come principale causa di morte» è l’allarme che lancia il veterinario capo della FAO, Keith Sumption.
Qual è la reale portata della minaccia AMR?
«Le stime attuali sono che 700.000 persone muoiono ogni anno per cause legate alla resistenza antimicrobica e che potrebbero salire a 10 milioni all’anno entro il 2050 se non si prendono provvedimenti».
I settori agroalimentari possono usare meno antimicrobici di quanto avviene ora?
«Chiedere un uso ridotto di antimicrobici è troppo semplicistico. Gestire i rischi delle malattie animali non è una scelta, ma una necessità. Prendiamo il bestiame: una famiglia potrebbe perdere i risparmi di una vita intera se la sua mucca dovesse morire per una malattia che potrebbe essere facilmente trattata con gli antimicrobici. Tuttavia, la necessità di usare antimicrobici può essere diminuita attraverso, per esempio, una buona igiene e gestione degli animali, la scelta di razze adeguate, una migliore nutrizione e benessere degli animali, la biosicurezza, ecc. Si può ottenere molto con un buon terreno, una buona selezione genetica e buone sementi. Gli antimicrobici sono infatti usati anche nella protezione delle colture, in particolare con il riso, i pomodori e gli agrumi». Eppure, sì, l’uso di antimicrobici può essere ridotto. Ma per farlo bisogna dare ai produttori di bestiame e di colture alternative chiare. Questo si è dimostrato difficile, in parte perché gli antimicrobici sono visti come una soluzione rapida ai problemi di fondo. Dobbiamo concentrarci su alternative che non compromettano la salute, il benessere e la produttività degli animali».
Cosa sta facendo la FAO per la resistenza antimicrobica?
«Molto! La FAO ha progetti in più di 40 Paesi per ridurre la resistenza antimicrobica nella salute e nella produzione animale acquatica e terrestre, nella sicurezza alimentare e dei mangimi, nelle risorse genetiche, nella produzione agricola, nella gestione delle risorse naturali, nella comunicazione del rischio e nella scienza comportamentale. Il nuovo piano d’azione della FAO sull’AMR 2021-2025 (scarica qui il documento integrale) si concentra sull’aumento della consapevolezza e dell’impegno delle parti interessate, sul rafforzamento della sorveglianza e della ricerca, e su una serie di altre aree di governance e di allocazione sostenibile delle risorse. La FAO, l’Organizzazione mondiale per la salute animale (OIE) e l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) dal 2018 hanno unito le forze come Tripartito per portare avanti la loro partnership di lunga data con un focus centrale sulla lotta all’AMR. […]Gli antimicrobici vengono comprati e venduti, e in molte parti del mondo questo avviene con poca supervisione o in situazioni in cui entrambe le parti hanno poche informazioni scientifiche, per non parlare della consapevolezza dei rischi AMR».
Michela Raucci