19 marzo, 2024


 Le rivolte hanno inizio quando sono trascurati i segnali che arrivano dalle insofferenze. Le guerriglie urbane di Napoli e Roma non devono sorprendere perché già la Dia e la stessa ministra degli Interni nelle settimane scorse aveva segnalato la possibilità di reazioni sui territori e ieri lo stesso Presidente, Sergio Mattarella aveva invitato alla collaborazione gli italiani e le istituzioni alla coesione per superare l’emergenza. Questi fenomeni condannabili sul piano della violenza, tuttavia, sono l’evidenza della frattura di fragili sistemi sociali tenuti insieme dal lavoro, quello fatto prevalentemente da micro imprese del commercio e del terziario. Da sempre queste economie generate da un sistema di lavoro autonomo, costituiscono un ammortizzatore sociale. Il contenimento dell’emergenza sanitaria con i provvedimenti per decreto del Presidente del Consiglio se pur legittimi nel contrasto alla pandemia, risultano affrettati nelle dichiarazioni e nella tempistica di soluzioni degli effetti creati. Bar e ristoranti, secondo i dati più recenti della Camera di Commercio, sono oltre 340 mila con un volume generato di 76 miliardi ed un numero diretto di dipendenti che raggiunge le 800 mila unità lavorative senza contare l’indotto degli stagionali di cui si perdono le tracce. Numeri che lo posizionano questi pubblici esercizi tra il comparto più grande d’Europa. Chiuderlo con un Dpcm che ne riduce l’attività lavorativa e senza la programmazione di un giusto ristoro, va senza dire che produce gli effetti e le tensioni preannunciati dall’intelligence. Dietro questi numeri ci sono famiglie e le famiglie sono i cittadini di questo paese che dovranno affrontare non solo la pandemia ma anche la sfida di tenere in vita i propri congiunti con un lavoro che non c’è. Per questo le parole del ministro degli Esteri Luigi Di Maio durante gli scontri di piazza sono risultate come un’ulteriore schiaffo alla sofferenza: “Un paese civile non lo può accettare”. “Un paese civile non dimentica i suoi cittadini” è la replica dai cartelli della guerriglia. “Non si giustifica tutto questo”, commentano alcuni commercianti rintanati nei loro negozi per paure di danni alle loro vetrine ma ammettono “si comprende la rabbia”.
La preoccupazione che si allarghi la protesta arriva anche dal web. La Digos indaga su appelli lanciati sui social per una mobilitazione torinese “come a Napoli”. Due le manifestazioni convocate in città domani: una alle 20.30 in piazza Castello, l’altra alle 21 in piazza Vittorio Veneto. “Chi ci governa non ci ascolta, popolo italiano e piemontese ci dobbiamo riunire e essere uniti contro questa dittatura, contro questo coprifuoco e contro un possibile lockdown”. Secondo gli investigatori, dietro questi appelli vi sarebbero elementi di estrema destra.
Mario Improta