Se questo maledetto virus fosse giunto dalla Nigeria o dal Senegal, con un bel marchio africano, avremmo avuto un nemico certo. E le certezze – anche quelle più stupide – fortificano sempre, ancora di più nell’insicurezza. Invece è partito dalla Cina. La caccia all’untore c’è stata ugualmente, ma in forma più contenuta. Perché tutti conosciamo un barista cinese che ti porge il caffè sorridendo e alla cassa ti chiede 80 o 90 centesimi al posto di 1 euro e 20 centesimi, sorriso non incluso. Poi il virus si è accomodato fra di noi, in corpi del tutto identici ai nostri. Ha sparigliato le carte. Ci ha suggerito di diffidare del professionista lodigiano o dell’agricoltore padovano. Bianchi come noi, benestanti come noi, laboriosi come noi. Allora sarà guerra di tutti contro tutti? Il male improvviso irrompe nell’esistenza umana in compagnia dell’assurdo. Accade così da sempre. Anche in questi giorni, agli inviti a rimanere lucidi tanti rispondono con gesti folli. Spicca la corsa nei supermercati, che se appare comprensibile nelle cosiddette zone rosse, altrove assume invece ben altri contorni. Lì è il risultato della somma tra la paura di ciò che appare come irrimediabile prima ancora che lo sia davvero e la nevrosi dell’eccesso. Gli scaffali dei supermercati sono stati svuotati non solo dei generi comunemente definiti di prima necessità, ma anche di quelli che soddisfano bisogni voluttuari. Qualcuno ha scritto che la gente fa la spesa come se fossimo in guerra. Durante i conflitti bellici, però, la popolazione fatica a procurarsi il cibo, sia per la scarsità sia per i prezzi che tendono a impennarsi. Le foto che circolano mostrano invece carrelli colmi di ogni bendidio. Pare ci sia stato perfino qualche litigio per accaparrarsi l’ultima confezione di salmone. Meglio aggirarsi per le strade di un mondo post-apocalittico con la pancia piena di ogni prelibatezza.
Michele Mauri