«Ètutto sbagliato», ha urlato Greta Thunberg mesi fa in faccia alle Nazioni Unite. Propri così, è tutto sbagliato. Come è possibile che tanti governanti, sprofondati nel loro comodo e inquinato mondo, appesantiti, obesi, noiosi e tronfi, si siano ridotti ad ascoltare distrattamente le parole di una sedicenne? Distrattamente, certo. Perché al di là dei pronunciamenti paludati nessuno è davvero disposto a cambiare il mondo. Del resto la stessa espressione “cambiare il mondo” suona innocente, candida e intrisa di trasognata dolcezza. Dunque innocua. La società dei consumi è un Moloch inamovibile. Gli Stati occidentali fingono interesse, promettono provvedimenti, con una mano distribuiscono miliardi per stimolare un’economia green con l’altra finanziano vecchi sistemi produttivi. Una sola cosa conta davvero: sostenere la fabbrica dell’uomo perennemente indebitato per soddisfare bisogni fittizi. Nel resto del mondo si sogna di fare la stessa cosa e alcuni ci riescono pure meglio. Ovunque si legge: l’attenzione alle questioni ambientali è cresciuta in modo generalizzato. Quanto c’è di vero in questa affermazione? Poco se poi i comportamenti individuali faticano a cambiare. Per affrontare i problemi che conosciamo – impoverimento delle risorse naturali, perdita di biodiversità, cambiamenti climatici – occorrono rinunce, modifiche sostanziali e riforme profonde che pochi di noi sono disposti ad accettare. Così si diffondono i comportamenti da ecologista di comodo, grotteschi e caricaturali. È facile pedalare in città quando si abita in centro, ma per coerenza si dovrebbe rinunciare all’automobile anche durante il weekend invece di incolonnarsi per andare a sollazzarsi su una spiaggia o a sciare in allegria. E chi di noi non è pronto a invocare la chiusura di una fabbrica inquinante, tanto in fabbrica non ci siamo mai andati. Siamo tutti, o quasi, egologisti. Pronti a indignarci e talvolta perfino a praticare la nostra piccola rinuncia. Da sbandierare all’istante per metterci a posto con la coscienza.
Michele Mauri