Il presidente Xi Jinping era a conoscenza sin dal 7 gennaio dell’emergenza del coronavirus. Il monolitico partito guidato dal presidente cinese, lascia passare qualche news a dispetto del controllo ossessivo dell’informazione. L’epidemia da coronavirus ha assunto proporzioni cosi grandi che era inevitabile che all’interno del partito non si creasse qualche frattura anche dopo la morte del medico di Wuhan che per primo aveva lanciato l’allarme di una possibile epidemia. Un primo intervento ufficiale di Xi Jinping, era avvenuto il 20 gennaio scorso, cioè almeno dopo due settimane dal primo caso di coronavirus. Solo allora la sua direttiva sollecitò i comitati del Partito comunista e i governi di ogni livello “ad adottare misure adeguate per frenare la diffusione dell’epidemia”. Al fine di placare le polemiche montate soprattutto sui social sulla gestione della crisi, Qiushi, la più importante rivista del Partito comunista cinese, ha pubblicato, nell’ultimo numero fresco di stampa, un discorso di Xi del 3 febbraio, in cui il presidente dice di “aver dato di continuo istruzioni verbali e scritte” da inizio gennaio e di aver personalmente ordinato la quarantena di circa 60 milioni di persone con la chiusura della provincia dell’Hubei. “Dal primo giorno del Capodanno lunare a oggi, la prevenzione e il controllo della situazione epidemica è stata la questione di cui sono stato più preoccupato”, rivendica Xi, nel testo pubblicato dalla “voce” del Pcc. Troppo di parte l’uscita tardiva del magazine ma anche troppo tardiva la reazione del presidente rispetto al dilagare dell’epidemia. Anche per questo, probabilmente, il governo cinese avrebbe deciso di spostare ad altra data il tradizionale Congresso Popolare di Marzo. Ufficialmente la motivazione è di evitare assembramenti in piena epidemia ma l’altra ragione potrebbe essere di non arrivare allo scontro nell’assemblea politica che potrebbe chiedere conto del ritardo di un piano d’emergenza.
Pietro Valsecchi