Gazzettino Italiano Patagónico

Cala la pesca dei tonni diminuiscono le catture di delfini e tartarughe


Le acque internazionali coprono il 40% del pianeta e costituiscono quasi il 95% del volume dei mari. Non essendo sotto la responsabilità di un solo Paese, mantenerle in un buono stato di salute e preservarne la ricca biodiversità dall’overfishing, ovvero dalla pesca eccessiva, è una sfida molto complessa. Ad accettarla ci hanno pensato la FAO e una sessantina di partner, tra cui l’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) e il WWF, che tra il 2014 e il 2019 hanno sviluppato il programma quinquennale Common Oceans ABNJ Program, incentrato proprio sulle aree al di fuori della giurisdizione nazionale (Areas Beyond National Jurisdiction – ABNJ), con l’obiettivo di promuovere la gestione sostenibile delle risorse ittiche e degli ecosistemi.
Otto zone di pesca al tonno escono dall’emergenza
Il programma, finanziato con 50 milioni di dollari dal Fondo mondiale per l’ambiente (GEF), si prefiggeva obiettivi ambiziosi in diversi ambiti. In primis sviluppare strategie e processi di pesca del tonno sostenibili e trasparenti, dal momento che gli stock erano sottoposti a un’enorme pressione, quantificabile in circa 6 milioni di tonnellate di tonno pescate ogni anno. Riunendo scienziati e responsabili della pesca e basandosi su simulazioni al computer, il Common Oceans ABNJ Program è riuscito a fissare e applicare limiti più sostenibili di cattura del tonno, riducendo da 13 a 5 il numero dei principali stock esposti a pesca eccessiva. Ora sono dunque 8 gli stock ittici in fase di ricostituzione per ritornare a livelli “sani”.
Le misure per prevenire le catture accidentali
Un altro importante fattore del programma è stato l’adeguamento delle attrezzature da pesca, per esempio attraverso il posizionamento a due metri di profondità in più delle reti da imbrocco e l’adozione di dispositivi biodegradabili e anti-impigliamento per l’aggregazione dei pesci – i cosiddetti FAD – utilizzati per attirare i pesci. Prima non esistevano linee guida per i FAD per la pesca nell’Oceano Atlantico, Indiano, nel Pacifico orientale, né nel Pacifico occidentale e centrale. Nel 2019, invece, tutti avevano a disposizione linee guida per i FAD che, insieme a una formazione specifica su come proteggere le specie minacciate agli addetti ai lavori, hanno contribuito a risparmiare mammiferi marini, soprattutto delfini, e tartarughe. Nelle acque del Mar Arabico settentrionale, per esempio, si è passati dalle 12.000 catture accidentali del 2013 a meno di 200 nel 2018, quindi con una riduzione del 98% del tasso di mortalità dei mammiferi marini catturati dalla pesca con le reti da imbrocco.
Protette 18 nuove aree marine vulnerabili
Due nell’Oceano Pacifico, cinque nell’Oceano Indiano meridionale, uno nell’Oceano Pacifico meridionale, sette nelle acque internazionali che circondano l’Antartide e tre nel Mediterraneo: sono 18 le nuove aree marine istituite tra il 2014 e il 2019 dal Common Oceans ABNJ Program per proteggere degli ecosistemi particolarmente vulnerabili. Il divieto di pesca in queste aree permette di tutelare anche le specie, come coralli e spugne, che vivono in acque profonde.
Un nuovo strumento internazionale per il futuro
Dal punto di vista formativo il programma ha organizzato workshop con oltre 2.500 pescatori di 22 paesi sulle tecniche di mitigazione delle catture accidentali. Inoltre, ha messo in contatto rappresentanti e autorità di 34 paesi e di vari settori per definire un nuovo strumento internazionale giuridicamente vincolante ai sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) sulla conservazione e l’uso sostenibile della biodiversità marina delle aree al di fuori della giurisdizione nazionale. Nei giorni scorsi, a Roma, il Comitato direttivo globale ABNJ si è riunito per estendere il programma con l’obiettivo di continuare a rafforzare la governance nelle acque internazionali e incrementare le misure per contrastare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (INN).
Lino Nicolini

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