C’è un settore che cresce, in Italia, e che ha trainato il Paese fuori dalla recessione. È l’export, che nel 2018 ha fatto registrare un progresso del 3,1%, con una previsione di crescita analoga per quest’anno. E a spingere c’è, soprattutto, il settore dell’agroalimentare, cresciuti a un ritmo ancora più sostenuto, pari al 3,8%. È quanto emerge dal rapporto annuale Sace Simest, presentato in anteprima alla Borsa di Milano. Il futuro prossimo, almeno per il comparto delle esportazioni, appare roseo: da qui al 2022, il settore crescerà, secondo gli esperti, del 4,3% all’anno, arrivando a toccare già nel 2020 un valore complessivo di 500 miliardi di euro. Tutto ciò nonostante l’ombra lunga della guerra dei dazi tra Stati Uniti e Cina che, se davvero applicati al 25% su tutti i prodotti asiatici importati negli Usa, potrebbero generare ripercussioni a macchia d’olio un po’ ovunque nel mondo, ma con effetti tutto sommato marginali per l’economia italiana, pari a un rallentamento della crescita delle esportazioni che potrebbe non superare lo 0,6% nel 2020. La fiducia per il futuro è dunque sostenuta dai risultati confortanti relativi al 2018, quando appunto i prodotti agroalimentari hanno spinto le vendite all’estero delle aziende italiane, con un progresso del 3,8%, attestandosi a un valore complessivo di circa 42 miliardi di euro. Dati consolidati che ritoccano in alto le previsioni dei mesi scorsi e che fanno ben sperare per il futuro. Bene anche i beni intermedi, che grazie alla farmaceutica contribuiranno anche nei prossimi anni in maniera positiva alla dinamica delle nostre esportazioni (+3,6%), i beni di consumo, con in prima linea abbigliamento e arredamento (+3,4%) e i beni di investimento, raggruppamento che ha il maggior peso sul nostro export (40% del totale). «L’agrifood traina l’export del made in Italy, intercettando una domanda estera di prodotti agroalimentari in crescita, nonostante le criticità e le tensioni commerciali internazionali in atto», ha detto il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, commentando i dati diffusi da Sace Simest. «Le nostre imprese agroalimentari – ha aggiunto – dovranno essere supportate ad ampliare e diversificare l’offerta e ad individuare nuovi mercati di collocamento. I prodotti agroalimentari sono un potente motore per l’aumento delle esportazioni complessive dovute alla capacità delle nostre imprese e all’alta reputazione che hanno i prodotti italiani in termini di qualità. Le incertezze e le tensioni sul mercato globale non devono scoraggiare la propensione imprenditoriale all’export, che però andrà sostenuta dagli accordi bilaterali dell’Unione europea, dalle politiche nazionali di sostegno, dal potenziamento delle infrastrutture e dall’innovazione». Risultati importanti, quelli raggiunti dall’agroalimentare, che però secondo Giansanti potrebbero essere ulteriormente migliorati perfezionando l’integrazione di filiera, «e – ha aggiunto – se crescessero le vendite dei prodotti agricoli che invece marcano il passo a causa della riduzione delle vendite in diversi comparti come frutta, carni, ortaggi e legumi, cereali. Arrivare nel giro di pochi anni a 50 miliardi di export agroalimentare è un risultato alla portata del sistema». «L’export italiano ha sempre dimostrato di avere le risorse giuste per affrontare congiunture avverse e complessità e anche questa fase non fa eccezione – ha detto il presidente di Sace, Beniamino Quintieri – Le nostre imprese esportatrici stanno raccogliendo i frutti di un lavoro di riposizionamento verso un’offerta di sempre più alta qualità, fattore che ci contraddistingue sui mercati esteri e che è strategico in questa congiuntura perché ci mette, almeno in parte, al riparo dalle conseguenze dirette di dinamiche quali la guerra commerciale. Questa la direzione per rafforzare la nostra competitività».
Folco Maganelli