Gazzettino Italiano Patagónico
26 March 2019, Berlin: Verena Bahlsen smiles at a press dinner at the presentation of Jackfruit dishes in the restaurant "Hermann's". The 26-year-old great-granddaughter of the founder of the biscuit factory Bahlsen and daughter of Werner Bahlsen, the former managing director of the Hanover biscuit dynasty Bahlsen, has founded a restaurant with a colleague in which Jackfruit burgers are served. (to dpa "A Bahlsen and the Jackfruit") Photo: Monika Skolimowska/dpa-Zentralbild/dpa

Bahlsen e la gaffe sul nazismo

In Germania stanno infuriando le polemiche intorno a una ricca ereditiera di un’importante fabbrica tedesca e gli storici della seconda guerra mondiale. Lei è Verena Bahlsen, una delle titolari dell’omonima fabbrica di biscotti molto nota anche in Italia. Il marchio di frollini, infatti, è presente sugli scaffali di numerosissimi supermercati della grande distribuzione. La Bahlsen, come altre aziende tedesche sotto il nazismo, si rese protagonista di una brutta pagina di storia dell’economia, accettando a lavorare alcuni forzati stranieri che il regime hitleriano aveva deciso di emarginare. Stando alle dichiarazioni della stessa azienda, la Bahlsen ospitò circa 200 lavoratrici forzate tra il 1943 e il 1945, in gran parte provenienti dalla Polonia. L’ereditiera della famiglia, in una recente intervista alla Bild, ha dichiarato: «È successo prima che io nascessi e abbiamo sempre pagato quei lavoratori forzati quanto i tedeschi. Non abbiamo nulla di cui rimproverarci». In Germania, queste parole non sono piaciute. Innanzitutto perché sono state pronunciate da un personaggio piuttosto controverso, di cui i giornali hanno sempre parlato in maniera piuttosto critica (una delle sue ultime uscite, quella di voler guadagnare ancora per potersi comprare tanti yacht, non era stata ritenuta all’altezza di un capitano d’azienda tedesco). Poi, perché contengono una mancanza di rispetto per le persone che, in ogni caso, sono state sfruttate ai tempi del nazismo.

Gli storici tedeschi contro Verena Bahlsen

La Bahlsen, infatti, ha comunque accettato di far lavorare un gruppo di donne a condizioni molto diverse rispetto ai normali dipendenti. Un comportamento a cui era stata indotta dal regime, ovviamente, ma che non esclude una propria responsabilità storica. Gli studiosi del periodo hanno definito le parole di Verena Bahlsen «insopportabili», bollandole come veri e propri «discorsi da bar». Tanto che l’azienda è stata costretta a fare marcia indietro e a pubblicare un documento ufficiale all’interno del quale si dice consapevole «della sofferenza e delle ingiustizie inflitte alle lavoratrici». Diverse imprese tedesche, anche tra le più famose come Ibm, Volkswagen e Hugo Boss (che disegnò addirittura le divise delle SS), collaborarono con il nazismo ma negli anni successivi hanno deciso di scusarsi per quanto fatto in passato. Invece, Verena Bahlsen ha lanciato un carico. Che nella Germania europeista del 2019 suona come inaccettabile.

Pietro Valsecchi

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