Anno nuovo vecchie maniere, è il caso di dire. L’associazione francese “Ailerons”, che opera nel settore della protezione di squali e razze del Mediterraneo, riporta la cattura accidentale di una giovane femmina di squalo bianco, avvenuta il giorno di Pasqua nelle acque della Tunisia. Tre metri di lunghezza per circa 360 kg di peso, l’esemplare è stato trovato nelle reti dei pescatori e le sue carni sono state vendute al mercato del pesce di Djerba. La cattura non è una buona notizia per l’ambiente marino: la specie è considerata in pericolo critico di estinzione nel Mediterraneo ed è una delle poche specie mediterranee presente nelle appendici di varie convenzioni internazionali (e.g. CITES, Appendice I e II della Convenzione di Bonn, Allegato II della Convenzione di Barcellona, Allegato II della Convenzione di Berna). Si tratta in sostanza di un vero e proprio tesoro da proteggere, considerato soprattutto il suo livello trofico apicale e il relativo ruolo nell’ambiente marino, eppure i paesi del Mediterraneo non sembrano fare abbastanza.
Lo squalo bianco nel Mediterraneo: stanziale o di passaggio?
In un contesto generale in cui nei nostri mari è sempre più raro incontrare gli squali ed in particolare lo squalo bianco, le pochissime segnalazioni sono legate tristemente ad episodi di pesca accidentale. Bisogna risalire allo stesso periodo dell’anno scorso per registrare una doppia cattura, avvenuta a distanza di pochi giorni, tra le coste della Tunisia e la Sicilia. Non è un caso che il periodo di cattura coincida con quello attuale e con quello di anni passati (es. 2017, 2015, 2012), come ricorda a La Rivista della Natura Alessandro De Maddalena, Professore a contratto di Zoologia dei Vertebrati dell’Università degli Studi di Milano ed uno dei maggiori esperti al mondo di squali: «Gli avvistamenti o le catture di squalo bianco nei nostri mari sono più frequenti tra maggio e settembre e questo non è un caso. Il periodo infatti coincide con il passaggio del tonno rosso. L’uomo poi fai il resto: tonnare, palangari sono spesso trappole mortali per gli squali che inseguono le loro prede». In primavera i tonni entrano dall’Oceano Atlantico attraverso lo Stretto di Gibilterra per venire a riprodursi nel Mediterraneo, le zone di concentrazione di questi animali coincidono con quelle in cui si osservano gli squali bianchi. «I tonni che entrano dall’Atlantico all’inizio della primavera – spiega De Maddalena – raggiungono le zone preferenziali di riproduzione, tra cui vi sono il settore orientale del Mediterraneo a metà maggio, Mar Tirreno, Canale di Sicilia e Baleari a metà giugno. Alcuni tonni rientrano poi nell’Oceano mentre altri restano nel Mediterraneo, frequentando aree ricche di pesce come le Eolie, lo Stretto di Messina o il Golfo del Leone. Tutte queste zone coincidono con i tratti di mare dove si sono registrati in passato frequenti avvistamenti o catture di squali bianchi». Il Canale di Sicilia, in particolare, è tutt’oggi considerato una zona di riproduzione; secondo i ricercatori, infatti, esisterebbe una popolazione di squali bianchi residente nel Mare Nostrum. «Non sembra che gli squali bianchi entrino dall’Atlantico per seguire i tonni – continua De Maddalena che è tra l’altro autore dell’unico libro dedicato agli squali bianchi del Mediterraneo (“Mediterranean Great White Sharks”, ed. McFarland) – L’assenza di osservazioni nel Mare di Alboran, tra Stretto di Gibilterra e Algeria, confermerebbe questa ipotesi, anche se ovviamente è un evento che potrebbe verificarsi sporadicamente. Possiamo invece ipotizzare l’esistenza di una popolazione stanziale di squali bianchi nel Mediterraneo, separati parzialmente da quella degli squali dell’Atlantico, da cui tra l’altro differirebbero geneticamente come confermato da recenti studi. Ad ogni modo bisogna ancora investire in ricerca per mettere in luce abitudini e distribuzione degli squali bianchi del Mediterraneo».
Tuteliamo gli squali bianchi del Mediterraneo
Ricerca ma anche conservazione: la popolazione degli squali bianchi del Mediterraneo è a rischio, non soltanto per la pesca accidentale ma anche per la drastica diminuzione di prede (tonno in primis) dovuta proprio alla pesca intensiva. “Tra le azioni che possono essere intraprese dal nostro Paese – sostiene Alessandro De Maddalena – vi sono sicuramente l’aumento dei controlli del pescato, il divieto di utilizzo dei palangari, che sono attrezzi da pesca assolutamente non selettivi, e poi il divieto all’utilizzo delle spadare, che venga realmente applicato ovunque”. Tra i metodi da pesca più dannosi per grandi pelagici come lo squalo bianco, sicuramente vi è il palangaro derivante: un cavo portante, dotato di galleggianti e lungo diversi chilometri al quale vengono collegate lenze con ami. La struttura non è fissa o ancorata, ma galleggia seguendo le correnti. Un’arma mobile a cui abbocca di tutto: dai tonni al pesce spada fino a delfini, tartarughe e ovviamente squali. Altro metodo dannoso è la tonnara volante, una grande rete di circuizione che viene calata in prossimità del passaggio dei tonni, un ennesimo sistema non selettivo: si cattura tutto ciò che passa. C’è poi un altro aspetto, che è quello della conservazione. Il Canale di Sicilia è riconosciuto come zona ad altissima biodiversità. Diverse volte è stata proposta l’istituzione di una grande zona di protezione internazionale, che coinvolga anche i paesi del nord Africa: un vero e proprio santuario, come già realizzato nell’area del golfo di Genova per i grandi cetacei, a maggior ragione se si tratta di una delle poche zone del Mediterraneo dove lo squalo bianco viene ancora a riprodursi. Purtroppo ad oggi, ancora nessuna decisione è stata presa in merito, nel frattempo gli squali continuano a diminuire drammaticamente.
Perché non bisogna avere paura degli squali (e non bisogna mangiarli)
Innanzitutto bisogna dire che gli squali giocano un ruolo fondamentale nel mantenimento degli equilibri dell’ecosistema marino e rappresentano dei veri e propri segnalatori dello stato di salute di mari ed oceani. La scomparsa degli squali determinerebbe uno sconvolgimento della catena trofica i cui effetti sono assolutamente imprevedibili. Quindi perché pescarli? Per mangiarli? Secondo alcuni studiosi le carni di squalo bianco conterrebbero enormi quantità di metalli pesanti come per esempio il mercurio, fino a valori 10 volte superiori ai limiti di sicurezza. Stessa sorte per smeriglio e squalo mako (spesso spacciati per pesce spada). Vi è poi l’aspetto forse più delicato di tutti: la sensibilizzazione di pescatori e bagnanti. Dai tempi de “Lo Squalo” di Steven Spielberg, la cinematografia ha contribuito enormemente a diffondere l’idea, assolutamente infondata ed esagerata, dello squalo bianco come “mostro mangia-uomini”. Un’immagine che ha fomentato fobie e paure ingiustificate e che ha fomentato più volte la pesca indiscriminata di esemplari giovani e maturi. Eppure le statistiche dicono ben altro: nel 2015, a livello mondiale, soltanto 5 vittime per attacchi di squalo (di cui non si sa bene quanti siano attribuibili allo squalo bianco) contro 830.000 morti provocati dalle zanzare. Per non parlare dell’essere umano: dovremmo avere molta più paura della nostra stessa specie, considerato che, nel 2015, le vittime umane uccise da conspecifici sono state circa 580.000. Avete ancora paura degli squali?
Andrea Di Piazza