Baia di Srednyaya, Russia sud-orientale, 11 esemplari di orca (Orcinus orca) e 87 di beluga (Delphinapterus leucas) sono al momento rinchiusi in minuscole gabbie 12×10 in attesa di essere trasferiti in acquari. Lo stato di salute dei cetacei è preoccupante, mostrano chiari segni di stress, ipotermia e infezioni. A svelare questo orrore è stato l’utilizzo di droni che, non solo ha immediatamente suscitato numerosi interrogativi circa le condizioni degli animali, ma ha anche mosso le autorità locali a investigare circa la legalità della struttura di contenimento e dell’attività stessa.
Reclusione e sensibilità pubblica
Gli esemplari sarebbero stati catturati durante l’estate 2018 e confinati all’interno di recinti subacquei lungo la costa, nei pressi della città di Nakhodka, per poi essere venduti a parchi marini cinesi. Come ricordano le autorità russe, la vendita ed esportazione di cetacei ad acquari al di fuori del paese è considerata illegale. La motivazione alla base di reclusione e vendita di animali per acquari è ampiamente condivisa dalle strutture coinvolte: promuovere la sensibilità pubblica e condurre attività di ricerca per migliorare lo stato di conservazione dei cetacei. Da spettatore esterno una tale affermazione appare alquanto contraddittoria: è difficile credere che i termini reclusione e conservazione si sposino bene tra loro. Non sarebbe meglio parlare di profitto a scapito di libertà animale?
Salute precaria
Dmitry Lisitsyn, capo della ONG Sakhalin Environment Watch, insieme ad un gruppo di ricercatori e veterinari, ha potuto guardare con i propri occhi la condizione degli animali detenuti nella struttura. Lisitsyn la definisce «una prigione di balene» in cui «gli esemplari in cattività sono tenuti in condizioni atroci». Nonostante orche e beluga siano abituati a resistere a temperature molto basse, non sono altrettanto nati per respirare sotto il ghiaccio. La superficie dei recinti è infatti spesso ghiacciata il che rende necessario l’intervento del personale che provvede continuamente a spaccare le lastre. Come sottolinea inoltre Lisitsyn, le orche sono solite migrare in direzione sud durante l’inverno, verso acque meno fredde, il che rende la loro sopravvivenza nella struttura ancora più precaria. Non mancano lesioni diffuse sul corpo che sono con ogni probabilità dovute sia a un’esposizione troppo prolungata al freddo che a infezioni di natura batterica o fungina in acqua stagnante.
Quale destino per i cetacei?
«Lo Stato è il legittimo proprietario di questi animali e in quanto tale deve confiscarli e rilasciarli in natura» dichiara Lisitsyn. John Ford, professore di zoologia ed esperto di orche della University of British Columbia, sostiene che se rilasciate in tempo, le orche potrebbero formare dei gruppi sociali da cui trarre beneficio, ma «più a lungo resteranno nelle gabbie più sarà difficile per loro abituarsi a vivere in natura». Le quattro compagnie che reclamano la proprietà delle orche e dei beluga non sono disposte a cedere. Ribadiscono la legalità di tutte le catture e la loro intenzione di vendere gli animali in Russia e all’estero. La permanenza nella struttura potrebbe risultare fatale per questi animali. Si tratta di una vera e propria lotta contro il tempo per salvare gli esemplari e restituirgli la libertà. È necessario dire basta al prelievo di cetacei selvatici a scopo di lucro nascondendosi dietro false motivazioni senza fondamento. Educazione non significa sfruttamento e spettacolo non è conservazione.
Ylenia Vimercati