Gazzettino Italiano Patagónico
Un gruppo di braccianti intorno ai resti della capanna del giovane che ha perso la vita dopo l'incendio divampato nella baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), 16 febbraio 2019. ANSA/ MARCO COSTANTINO

Sgombero baraccopoli di San Ferdinando, Matteo Salvini: «Noi passiamo dalle parole ai fatti»


  • La baraccopoli di san Ferdinando ospitava circa 900 persone
  • Grande dispiegamento di forze sul campo
  • Matteo Salvini : «Noi passiamo dalle parole ai fatti»

Avviate questa mattina le operazioni di sgombero della baraccopoli di San Ferdinando, in provincia di Reggio Calabria. Ammontano a 900 le persone che verranno trasferite in centri di accoglienza vicini.

Il dispiegamento di forze in campo è notevole: 18 pullman e 600 uomini tra forze dell’ordine, vigili del fuoco e assistenti sanitari. Le persone da trasferire in altri centri sono 900 secondo le fonti del Viminale, ma c’è anche chi parla di numeri molto più grandi, che superano le 1000 persone. Le stime dell’Usb invece parlano di non più di trecento migranti rimasti dopo i disordini degli ultimi mesi e l’annuncio dello sgombero.  I migranti che hanno solo la protezione umanitaria verranno trasferiti in una tendopoli vicina, mentre coloro che hanno ottenuto anche il diritto all’accoglienza verranno sistemati nelle strutture Sprar(Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e Cas (Centri accoglienza straordinari) delle vicinanze.

 Matteo Salvini festeggia l’inizio delle operazioni: «Come promesso, dopo anni di chiacchiere degli altri, noi passiamo dalle parole ai fatti» ha dichiarato il ministro dell’Interno, mentre il governatore della Calabria, Mario Oliverio, si augura che «lo sgombero avvenga nel rispetto delle persone». La baraccopoli di San Ferdinando è nota anche per una serie di tragedie, l’ultima accaduta lo scorso febbraio. La tenda di un migrante aveva preso fuoco, dando vita all’ennesimo incendio. In totale hanno  perso la vita tre giovani. I migranti di San Ferdinando sono conosciuti anche come i bracciati che diedero vita alla cosiddetta “rivolta di Rosarno” dopo essere stati più volte aggrediti. La maggior parte di loro lavora nei campi lì intorno, spesso in nero e senza contratto. Proprio quel contratto che oggi, nel giorno dello sgombero, potrebbe fare la differenza.

Gaia Mellone

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