Le piante sono creature intelligenti e possiedono una capacità di adattamento superiore a quella dell’uomo. Lo spiega bene Stefano Mancuso. Lo studioso calabrese, direttore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale dell’Università di Firenze, scuote le platee. Del resto, come ha dichiaro lui stesso in un’intervista, il nostro atteggiamento in biologia è preistorico. Perché qualcosa possa essere considerato intelligente deve somigliarci per forza. Non è così. Negli ultimi anni si è scoperto che alcune cellule vegetali, in particolare quelle presenti nelle punte delle radici, sono in grado di produrre segnali elettrici e di trasmetterli alle cellule vicine. In altre parole inviano informazioni o – per dirla in termini più umani – comunicano. Non si tratta di un vero e proprio tessuto nervoso costituito da neuroni, ma è qualcosa di simile dal punto di vista funzionale. Una sorta di “cervello” diffuso capace di percepire segnali dall’ambiente circostante e di prendere decisioni sulle strategie da seguire. Gli apici radicali possono rilevare e valutare numerosi parametri chimici e fisici (temperatura, grado di salinità o di umidità, ecc.) per individuare la direzione ottimale di crescita. È stato scoperto, per esempio, che il glutammato – uno dei neurotrasmettitori che nel nostro cervello trasporta l’informazione da un neurone all’altro a livello delle sinapsi – è presente pure nelle piante e svolge un ruolo fondamentale: se manca o è in eccesso, la radice si comporta come se avesse perso il senso dell’orientamento e cresce in modo anomalo. Trascurare le piante o considerarle organismi di serie B, come facciamo spesso, è un errore grossolano e imperdonabile. Molte di esse hanno popolato la Terra prima di noi e, con ogni probabilità, sopravvivranno a noi. Ci sono esemplari che restano in vita migliaia di anni. Probabilmente quando guardano gli esseri umani si domandano: come possono essere intelligenti se deperiscono così in fretta?
Michele Mauri