Gazzettino Italiano Patagónico

Il contributo sconosciuto di Gaetano Perusini alla scoperta dell’Alzheimer che prese il nome solo del neuropatologo tedesco


L’Alzheimer, una delle malattie neurovegetative del nostro secolo più diffuse con 40 milioni di malati e con una previsione di oltre 150 milioni nel 20150, prende il nome dal suo scopritore Alois Alzheimer ma non tutti sanno che a quella scoperta collaborò fattivamente l’udinese Gaetano Perusini.  Il medico italiano, oggi ingiustamente dimenticato,  e il suo collega tedesco fecero i primi studi sulla malattia nei manicomi dove venivano rinchiusi i pazienti affetti da questa patologia allora non compresa. I due dottori avevano capito che non si trattava di pazzi e dalle osservazioni fatte, prima durante la vita dei pazienti e successivamente anche con le autopsie del cervello nei cimiteri dei manicomi, individuarono le prime caratteristiche della patologia, evidenti nel cervello. Perusini individuò, con 80 anni di anticipo, prima che venisse documentata scientificamente, la sostanza responsabile della malattia, costituente le placche, oggi nota come proteina amiloide. Perusini la descriveva come “un prodotto metabolico patologico di origine sconosciuta” che si comportava come “una specie di cemento che incolla le fibrille  insieme”. L’intuito scientifico di Perusini ha anticipato le moderne considerazioni sulle cause  patogenetiche della malattia. La collaborazione tra Alzheimer e Perusini iniziò nel 1906 quando il medico tedesco, chiese a Perusini di osservare per una valutazione più approfondita una sua paziente, Augusta D. che diventerà il primo caso scientifico documentato clinicamente della malattia. Alzheimer era convinto di essere di fronte ad una patologia cerebrale rara, ma le sue osservazioni presentate in un convegno medico furono completamente ignorate, quindi si rivolse a Perusini per una valutazione più approfondita e dettagliata sia degli aspetti clinici che dei reperti istopatologici. Perusini, oltre a riesaminare tutti gli aspetti del caso di Augusta D., raccolse altri tre casi di severa e rapida demenza dei quali uno di 47 anni e altri due di 63 e 67, di cui descrive e accuratamente correla i reperti clinici/neuro-patologici, confermando l’identificazione della nuova malattia. La medicina non ha ancora trovato una cura e le case farmaceutiche stanno abbandonando la ricerca dei possibili farmaci considerati gli scarsissimi risultati finora raggiunti con medicine, che possono solo attenuare i sintomi per qualche mese, sono molto costose e spesso hanno pesanti effetti collaterali. L’unica possibilità di difesa che appare allo stato attuale della scienza medica è la prevenzione, che riguarda tutte le persone sane per evitare che si ammalino, attraverso la diagnosi precoce e la stimolazione cognitiva, come lo studio Train the Brain sperimentato da Lamberto Maffei all’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che ha dato risultati positivi, clinicamente documentati, nell’80% dei soggetti trattati. Visto il successo ottenuto è stata costituita la Fondazione IGEA Onlus per rendere il protocollo disponibile a tutti coloro che possono averne bisogno. Vari altri studi sono in corso a livello internazionale per intercettare in anticipo la malattia, che è subdola, per lunghi anni (15 – 20)  non da sintomi e quando i sintomi appaiono di solito è troppo tardi per correre ai ripari.

Maria Carotenuto

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