L’arresto di ieri sera di un uomo sospettato di aver istigato gli insulti antisemiti contro il filosofo Alain Finkielkraut, nel corso della manifestazione parigina dei gilet gialli, tiene accesa la polemica non solo sul movimento che da mesi sta logorando la capitale francese ma vede sorgere all’interno dei dissensi anche rigurgiti di antisemitismo. Domenica scorsa era stata aperta un’inchiesta preliminare per “insulti pubblici a causa dell’origine, dell’etnia, della nazione, della razza o della religione”. La vicenda degli insulti antisemiti al filosofo hanno scatenato un’ondata di reazioni da parte dell’intera classe politica francese. Finkielkraut: rischiavo di essere linciato “Erano in tanti, urlavano forte. Ho capito solo che era meglio andarsene perché rischiavo di essere linciato. Se non ci fossero stati i poliziotti mi avrebbero spaccato la testa. Detto questo, non mi sento né vittima né martire”. Così, in un’intervista al quotidiano la Repubblica, il filosofo Alain Finkielkraut ricorda gli insulti subiti sabato scorso a Parigi durante la manifestazione dei gilet gialli. “Solo dopo, rivedendo le immagini, ho ricostruito che non si sente ‘sporco ebreo’ ma ‘grossa merda sionista’, ‘razzista’, ‘fascista’. Un uomo ha urlato: ‘La Francia è nostra’. Qualcuno penserà alla citazione del vecchio slogan nazionalista antisemita ‘La Francia ai francesi’. Non credo. L’uomo aveva la barba, la kefiah, il governo l’ha identificato come qualcuno vicino ai salafiti. Il senso era: ‘La Francia è la terra dell’Islam’. Questo insulto deve farci riflettere”, commenta. Secondo il filosofo, “esiste un vecchio antisemitismo in stile anni Trenta che si ricicla oggi. Tutti continuano a ripetere la frase di Brecht: ‘Il ventre che ha partorito la bestia immonda è ancora fecondo’.
Mario Piccirillo