Gazzettino Italiano Patagónico

Economia, forze armate e lingua: la presenza francese in Africa

Spentasi sull’onda della narrazione mediatica la sterile polemica sul franco Cfa sollevata senza cognizione reale di causa da numerosi esponenti della politica e dell’economia italiana, posizionatisi su fronti contrapposti più sulla base della simpatia per l’attuale governo francese che su quella di fatti reali, percepiamo la perdita di una grande occasione per il dibattito pubblico. Non solo per l’incapacità conclamata di esperti e uomini delle istituzioni di cogliere ciò che accade in scenari quali quelli dell’Africa subsahariana cruciali per le dinamiche internazionali, ma anche per il fatto che sia sfuggito dal dibattito stesso un punto fondamentale e dirimente: il nodo della differenza effettiva di potenza tra Francia e Italia e la conseguente necessità per il nostro Paese di ritrovare una compiuta capacità di azione in scenari che dovrebbero riguardarci direttamente, non fosse altro per il tema delle migrazioni, e di formalizzare l’interesse nazionale.

La Francia di Macron agisce da rivale dall’Italia e si immagina cogestore d’Europa insieme alla Germania di Angela Merkel; tuttavia, il presidente di Parigi può permettersi di sovrastimare, in maniera in un certo senso velleitaria, la possibilità d’azione del suo Paese anche e soprattutto per la presenza di un retroterra geopolitico e strategico che le garantisce cospicue rendite di posizione negli equilibri di potenza. Concorrono a questo il deterrente nucleare e la presenza fissa nel Consiglio di Sicurezza Onu, certamente. Ma anche la capacità di Parigi di una reale proiezione extracontinentale a cui concorrono, in primo luogo, il controllo di numerose isole australi nell’Oceano Indiano e Pacifico, che rende la Francia potenza marittima con un’area di competenza enorme, e la Françafrique.

Sì, perché può piacere o no, ma il legame ombelicale e il non velato controllo esercitato dalla Francia sulle ex colonie è un fattore di rendita di primaria grandezza. “Oggi le tracce della Francia in Africa sono ancora ben visibili in almeno tre realtà”, ha scritto Limes: in primo luogo, “il mantenimento del franco Cfa nella maggioranza degli Stati nati in seguito all’emancipazione da Parigi”, con il fondamentale corollario degli accordi economici che danno alla Francia un ruolo centrale nell’accaparramento delle loro risorse naturali; in secondo luogo, “la persistenza di un forte dialogo tramite vertici ricorrenti che travalicano la sola dimensione linguistica francofona”, ma che hanno in essa un presupposto importante; infine, “il regolare intervento di Parigi nelle crisi continentali” oltre il perimetro delle capacità delle organizzazioni internazionali. 

Intervento in numerosi casi di matrice militare, come dimostrato nell’ultimo decennio dalle operazioni in Libia, Repubblica Centrafricana, Costa d’Avorio e Mali, “spesso condotte a partire da basi militari distribuite tra Gibuti e Dakar, passando per N’Djamena. Più di 5mila uomini sono permanentemente impegnati per la sicurezza e la stabilità africana, per il mantenimento delle quali spesso la Francia si trova da sola – l’Unione europea evita quanto possibile il proprio coinvolgimento – o in dialogo con i suoi interlocutori più fedeli, ossia Stati Uniti e Regno Unito”.

La Francia partecipa con decisione a un “Grande Gioco” di spartizione dell’Africa che, escludendo la fascia maghrebina, pertinente più a una logica euromediterranea, vede protagonista in primo luogo la Cina, attivissima nelle sponde orientali del continente, più attardati gli Stati Uniti, che hanno addirittura ricollocato in Germania la sede del loro comando africano, e attivi su scala minore, ma estremamente dinamici, soggetti come Qatar, Arabia Saudita, Iran, Brasile, Turchia, Russia e Israele, depositari di interessi settoriali che possono riguardare Paesi specifici (come è il caso di Mosca e dei forti legami con Egitto, Sudan e Sudafrica), aree geopolitiche (il Corno d’Africa per Iran, Turchia, Qatar e Arabia Saudita, l’Africa sud-orientale per Israele) o interessi economici (come vale per i grandi gruppi brasiliani attivi nella corsa al landgrabbing).

L’Italia avrebbe la cultura geopolitica e le carte in regola per mescolare questi tre approcci, ma per ora Roma si muove in maniera incostante tra una presenza economica forte ma che non riesce a fare sistema e un timido avanzamento diplomatico. A plastica dimostrazione del gap che ci separa da Parigi, e di prospettive d’espansione molto spesso offuscate da beghe legate alla politica interna. Mentre, anche grazie all’Africa, la Francia continua a potersi pensare come potenza di una taglia superiore.

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