Gazzettino Italiano Patagónico

Continua l’attività dell’ Anak Krakatau e il vulcano cambia forma


Quasi come in una macabra ricorrenza, l’Indonesia è stata teatro di un nuovo maremoto durante le festività natalizie. Molto meno devastante di quello avvenuto il 26 dicembre 2004, provocato da un sisma di magnitudo 9.1, questa volta l’onda anomala è stata prodotta dal collasso di una porzione del vulcano Anak Krakatau nello Stretto delle Sonda. Il maremoto ha colpito le zone costiere di Banten a Giava e di Lampung a Sumatra, attorno alle 21:30 del 22 dicembre. Secondo l’ultimo bollettino disponibile, le vittime sarebbero 437, i feriti 14,059 e i dispersi 24.

Il Figlio del Krakatoa

È questo il significato del nome Anak Krakatau con cui è stato battezzato il piccolo centro eruttivo posto al centro dell’enorme caldera che ha provocato una delle eruzioni più imponenti degli ultimi secoli. Emerso dalle acque nel 1927, l’Anak Krakatau si presentava fino a qualche settimana fa come un elegante cono di circa 300 metri di altezza, costituito dai prodotti eruttivi di esplosioni ritmiche a medio-bassa energia simili a quelle del vulcano Stromboli. Un’attività che potremmo definire anche in questo caso “ordinaria”, interrotta soltanto da improvvise fasi maggiormente esplosive. Proprio a scopo precauzionale, dal 2005, le autorità indonesiane hanno limitato l’avvicinamento delle imbarcazioni ad una distanza variabile tra i 600 m ed i 3 km dall’isolotto, a seconda del livello di attività. Tra giugno e settembre del 2018 l’attività è entrata in una fase più energetica: oltre 40 le esplosioni giornaliere registrate secondo il Centro Indonesiano di Vulcanologia e Mitigazione dei Rischi Geologici (PVBMG). Si arriva così al 20 dicembre. Secondo un’analisi preliminare degli eventi, tra il 20 ed il 21 dicembre, l’arrivo di nuovo magma caldo e ricco in gas nel sistema di alimentazione superficiale del vulcano avrebbe provocato un aumento dell’attività esplosiva ed effusiva. La foto di un visitatore scattata alle 11:15 del 22 dicembre mostrerebbe un fronte lavico avanzare verso sud con forti esplosioni stromboliane dalla bocca del cono ad intervalli di circa 15-30 secondi. Verosimilmente, in serata, l’attività esplosiva doveva essere aumentata, come suggerirebbero alcuni testimoni che avrebbero visto le fontane di lava da oltre 40 km di distanza. Allo stesso tempo, probabilmente per effetto del peso delle colate laviche accumulatesi sul versante meridionale del vulcano, l’intero settore sudoccidentale del vulcano è collassato provocando una frana che ha innescato l’onda di maremoto. In pochi minuti le onde si sono propagate alle isole vicine e così alle coste di Giava e Sumatra. Lo spazio precedentemente occupato dal materiale vulcanico è stato rapidamente riempito dalle acque del mare che si sono trovate a contatto con il magma ad oltre 1000ºC presente nel condotto. L’interazione acqua-magma ha provocato così un cambio repentino nel comportamento eruttivo, con la produzione di forti esplosioni, surge e imponenti colonne di vapore. Secondo il PVMBG la frana avrebbe coinvolto tra i 150 ed i 170 milioni di metri cubi di materiale, provocando il collasso di circa due terzi del vulcano, la cui altezza oggi si è ridotta a circa 110 metri. Per effetto del catastrofico collasso l’Anak non è più visibile dalla costa di Giava, essendo adesso più basso del bordo della caldera che copre la visuale (l’isola di Panjang).

Una tragedia annunciata

Nel gennaio del 2012 un team di ricercatori dell’Università dell’Oregon ha pubblicato un articolo scientifico dal titolo “Tsunami hazard related to a flank collapse of Anak Krakatau Volcano, Sunda Strait, Indonesia”. In questo lavoro i ricercatori hanno realizzato una simulazione numerica di un eventuale collasso del fianco meridionale del vulcano e dell’associato maremoto. Scorrendo lo studio sembra di leggere gli eventi del 22 dicembre 2018 raccontati però dettagliatamente con 6 anni di anticipo. Secondo i ricercatori la fragilità del complesso vulcanico è da ascriversi alla rapida costruzione dell’edificio (più di 300 metri in meno di 100 anni) sul ripido margine nordest della caldera –prevalentemente sottomarina– formatasi in seguito alla grande eruzione del 1883. La posizione del centro eruttivo e le forti correnti sottomarine hanno fatto sì poi che l’Anak crescesse con una pericolosa asimmetria. Scrivono nel 2012 i ricercatori: “frane lungo il versante meridionale non possono dunque essere escluse. Il movimento franoso sarebbe orientato verso l’interno della caldera del 1883, provocando onde di maremoto che si propagherebbero nello Stretto delle Sonda, colpendo possibilmente anche le coste indonesiane”. I dati sull’eventuale maremoto corrispondono inoltre perfettamente con quelli misurati nelle località colpite pochi giorni fa. Dopo il grande tsunami del 2004 l’Indonesia fa parte, insieme ad altri 28 paesi dell’Oceano Indiano, di un sistema di allerta tsunami. Questo, però, è basato su una sorgente sismica come causa scatenante del maremoto e non su fenomeni vulcanici. Inoltre, nel corso degli anni, sia per imperdonabili atti vandalici che per l’aumento del costo di manutenzione, parecchie boe non sono più funzionanti: proprio in Indonesia, secondo fonti locali, gli strumenti non sarebbero più in funzione dal 2012. Ad ogni modo a causa della sorgente tsunamigenica e della vicinanza tra le aree colpite e l’Anak Krakatau, anche con un appropriato sistema di allarme, difficilmente si sarebbe avuto un margine di tempo sufficiente per mettere in salvo tutti.

Il Krakatoa e la grande eruzione del 1883

Dopo un periodo di inattività durato circa 200 anni, all’inizio del 1883 il Krakatoa iniziò a mostrare segni di una ripresa dell’attività eruttiva. Terremoti sempre più forti, emissioni di cenere ed esplosioni si registrarono durante tutti i mesi estivi di quell’anno fino al pomeriggio del 26 agosto. Alle 17:07 GMT ebbe luogo la prima di quattro devastanti esplosioni che entrarono nella storia della vulcanologia e della climatologia mondiale. Durante il primo evento la colonna di ceneri e gas, generata dal centro eruttivo Perboewatan, raggiunse i 27 km di altezza. Nelle prime ore del giorno successivo, alle 05:30, alle 06:44 e alle 10:02 GMT, si registrarono tre esplosioni ancora più forti. Secondo i vulcanologi le prime fortissime esplosioni fratturarono la roccia sovrastante la grande massa di magma presente nei livelli più superficiali del vulcano, permettendo all’acqua marina di entrare a contatto con il magma bollente. Questa interazione diede avvio alla fase parossistica, avvenuta con l’ultima esplosione, che creò una colonna eruttiva di 40 km di altezza, accompagnata da uno spaventoso boato udito persino a Rodriguez Island, distante 4653 km dal centro eruttivo. Le ceneri caddero su Singapore (ad 840 km di distanza), sulle isole Cocos (1155 km di distanza) e su navi in transito ad oltre 6000 km in linea d’aria dal vulcano. Il rapido svuotamento dell’enorme volume di magma, provocò il collasso della struttura vulcanica. Lo sprofondamento innescò onde di tsunami (già registrate a seguito delle precedenti esplosioni) alte fino a 40 metri che uccisero almeno 36,417 persone, cancellarono ben 165 villaggi costieri e distrussero parte di barriere coralline adiacenti, strappandone blocchi dal peso di 600 tonnellate. Le onde di pressione generate dall’esplosione fecero il giro del Pianeta almeno 7 volte, ed il loro passaggio fu registrato da tutti i barometri del mondo fino a 5 giorni dopo l’evento eruttivo. L’immissione in atmosfera di enormi quantità di gas e ceneri oscurò la zona delle Sonda per giorni e creò uno strato di materiale ad alta quota che in breve tempo iniziò ad agire da schermo per la radiazione solare incidente. Fu così che nei successivi cinque anni la temperatura media terrestre si abbassò di circa 1.2ºC, mentre nell’emisfero boreale fu possibile assistere a spettacolari colorazioni del cielo, che provocarono stupore e preoccupazione in molti paesi. Al termine dell’eruzione restava soltanto un terzo dell’edificio con la grande struttura circolare semisommersa e una moltitudine di “isole galleggianti” costituite da pomici e materiale vulcanico altamente vescicolato. Dovranno passare poi 44 anni prima che un gruppo di pescatori giavesi assista alla ripresa dell’attività in zona con la nascita del “figlio del Krakatoa”.

Andrea Di Piazza

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