Il concetto di “cultura”, inteso come insieme di concetti appresi e trasmessi ai propri simili, appartiene non soltanto alla specie umana, ma anche a molte altre specie animali. Come ben raccontato dal grande etologo Danilo Mainardi nel suo “L’animale culturale” del 1975, gli animali non solo possono approfondire e affinare le proprie conoscenze oltre i basilari comportamenti dettati dall’istinto, ma sono anche in grado di diffondere tale conoscenza all’interno delle comunità di cui fanno parte. Un classico esempio riguarda i macachi del Giappone (Macaca fuscata): un gruppo di questa specie che popolava (e popola tuttora) l’isola di Kōjima in Giappone prese l’abitudine, nei primi anni ’50, di accettare cibo offerto dagli uomini, in particolare patate dolci. Tale confidenza venne soprattutto dalle condizioni di stretta vicinanza tra questi animali e gli esseri umani sul piccolo areale dell’isola, di appena 30 ettari. La scoperta che cambiò il comportamento di gran parte della comunità fu compiuta da una giovane femmina di sedici mesi di età, chiamata Imo, che per prima prese l’abitudine di portare la patata nell’acqua di un ruscello per ripulirla della sabbia. Tale comportamento si diffuse largamente nella colonia, e in giro di pochi anni divenne un’abitudine di gran parte del gruppo. Questa attività inoltre si affinò con gli anni: la stessa Imo, difatti, scoprì che lavando la patata nell’acqua marina piuttosto che nell’acqua dolce, essa assumeva un sapore evidentemente più gradevole per i primati. Tale modifica nel comportamento si diffuse anch’essa nella colonia, ed è curioso notare anche come siano state quasi sempre le fasce d’età più giovani nel gruppo di scimmie a imparare e utilizzare per prime tali novità, mentre gli esemplari più anziani non se ne interessarono. Come nell’uomo, anche nei macachi del Giappone, evidentemente, i più giovani sono gli individui di solito più aperti al cambiamento. A osservare per prima il fenomeno fu nel 1953 l’insegnante di scuola Satsue Mito, da anni già impegnata nella conservazione delle scimmie dell’isola. Anni dopo il fenomeno venne osservato e descritto in un paper scientifico dal primatologo Masao Kawai. Imo introdusse inoltre un altro comportamento tra i giovani macachi di Kōjima. Se, infatti, alle scimmie veniva fornito del riso mischiato a sabbia, per mangiarlo Imo si affrettava a gettare tutto in acqua: la sabbia affondava mentre i singoli chicchi di riso, restando a galla, potevano essere raccolti con facilità e mangiati. Anche in questo caso, Imo si dimostrò una geniale innovatrice all’interno della piccola comunità di primati che utilizza ancora adesso, dopo oltre mezzo secolo, le sue scoperte. Questo è uno dei più classici esempi di trasmissione culturale nel mondo animale, ancora oggi studiato nei corsi di etologia e ha anche interessanti risvolti dal punto di vista umano. Ad esempio, nei primi anni ’50, quando si iniziò a parlare delle intuizioni di Imo, alcuni osservatori sovietici misero in dubbio tali comportamenti, sospettando che i macachi fossero stati ammaestrati in modo da lavare le patate dolci in acqua. Oggi tali dubbi non esistono più, dato che il comportamento è stato osservato in altre popolazioni di macachi, dove presumibilmente altri “innovatori” hanno compiuto indipendentemente la stessa scoperta. Nel 1979, inoltre, lo scrittore Lyall Watson affermò che, superata una certa “massa critica” di scimmie venute a conoscenza del comportamento, questo si trasmettesse autonomamente, come per merito di una sorta di coscienza collettiva. Ovviamente questa ipotesi, del tutto priva di basi scientifiche e che prese il nome di “fenomeno della centesima scimmia”, venne ampiamente screditata dalla comunità scientifica anche se ebbe un certo seguito presso i seguaci della cultura new-age. Nel 1985, alla fine, fu lo stesso Watson ad ammettere di aver inventato di sana pianta tale teoria.
Alfonso Lucifredi