L’Ubara (Chlamidotis ondulata) è un grande e spettacolare uccello asiatico che popola aree dal Medio Oriente all’Asia e ha un importante ruolo nella cultura della falconeria araba. La specie è minacciata da caccia e bracconaggio senza regole, che hanno causato il suo declino in Medio Oriente e in Asia centrale fin dagli anni ’60. I tentativi per conservare l’Ubara e, nello stesso tempo, mantenere l’antica tradizione della falconeria araba si sono focalizzati sul rilascio di esemplari allevati in cattività. Secondo una ricerca condotta dall’Università di East Anglia (UEA), di Norwich in Inghilterra, gli attuali tentativi di salvare la specie possono essere controproducenti e costituire a lungo termine un rischio per la sua sopravvivenza.
L’allevamento non è una soluzione
La riproduzione in cattività degli Ubara non sarà sufficiente a salvare la specie, senza un intervento di regolamentazione della cattura e della caccia. La ricerca pubblicata dalla rivista Biological Conservation spiega che l’Ubara è in calo di oltre il 9% ogni anno e che il numero di uccelli allevati in cattività che si dovrebbe rilasciare annualmente per stabilizzare la popolazione comprometterebbe la sopravvivenza delle popolazioni selvatiche. Lo studio si basa su dati raccolti in sette anni di lavoro sul campo in Uzbekistan e sul tracciamento satellitare della popolazione selvatica e degli uccelli rilasciati, per studiare produttività, sopravvivenza e tendenze della popolazione di Ubara. Secondo lo studio, gli uccelli allevati in cattività hanno minori possibilità di sopravvivere rispetto a giovani uccelli selvatici e, per stabilizzare la popolazione nell’area di studio (14.300 km2) e compensare la quota di caccia all’interno dell’Uzbekistan, occorrerebbe rilasciare ogni hanno una volta e mezzo la popolazione selvatica. A parte l’enorme costo di questo intervento, l’addomesticamento dello stock selvatico ne diminuisce la resistenza e la capacità di sopravvivenza. Paul Dolman, professore di Conservazione Ecologica alla Scuola di Scienze Ambientali dell’UEA, ha spiegato: «Sebbene il rilascio di esemplari d’allevamento possa essere un valido strumento di conservazione, fare troppo affidamento solo su questo strumento, senza intaccare l’insostenibile attività di caccia e cattura, non può salvare l’ubara e potrebbe addirittura trasformarsi in una minaccia. Lo sviluppo di un vero e proprio modello di caccia sostenibile richiede una cooperazione internazionale fra Paesi falconieri e Paesi habitat per l’Ubara, con lo scopo di regolare la caccia e la cattura con trappole e richiami».
Tracciatura satellitare
Lo studio è stato condotto con il permesso della Commissione statale per la Conservazione della Natura della Repubblica di Uzbekistan. Il dott. Robert Burnside, ricercatore senior della Scuola di Scienze Ambientali dell’UEA, ha affermato: «L’Ubara asiatico è un uccello affascinante, che si è evoluto per sopravvivere e avere successo in uno degli ambienti più ostili del Pianeta. La vastità degli ambienti desertici, il mimetismo e il comportamento sfuggente dell’Ubara hanno reso molto difficile studiarlo. Non saremmo riusciti a farlo senza l’aiuto di tracciature satellitari per seguire oltre 100 esemplari nella loro riproduzione e migrazione».
Luca Serafini