Gazzettino Italiano Patagónico

La cattività degli animali da compagnia

 

Il rapporto fra gli uomini e gli altri animali non è mai stato facile, sempre in bilico fra sfruttamento e utilizzo, fra compagnia e prigionia. Non per niente il termine “cattività” deriva dal latino captivus, che significa prigioniero, proprio come lo sono spesso gli animali con i quali pretendiamo di dividere la vita. Li chiamiamo animali da compagnia, come se fossero uno strumento di libero utilizzo da parte dell’uomo. Ma non tutti gli animali hanno con l’uomo il rapporto di sconfinato amore e dipendenza tipico del cane o quell’aristocratica ma compiaciuta sopportazione che dimostrano i gatti. Con la signorilità non doma dei felini, si prestano a concederci attenzioni ma soltanto alle loro condizioni. Ma le altre specie sono un esercito, composto di esseri viventi molto differenti fra loro: gli animali non convenzionali che abitano nelle case degli italiani. Chi li possiede spesso li sceglie per il loro aspetto o per la loro stranezza, senta interrogarsi troppo sui loro bisogni, sulle loro esigenze etologiche e, soprattutto, sulla possibilità che questa comunione li porti a vivere in condizioni di benessere.

Animali selvatici in casa

Così, anche grazie all’offerta amplificata dalla rete, vengono venduti animali selvatici, mai domesticati, al limite riprodotti in cattività, senza che questo però li possa far considerare diversi da quello che in realtà sono. Dal pitone al pappagallo, dal riccio africano al criceto, dal pesce rosso al camaleonte queste sono solo alcune specie che possiamo trovare, affacciandoci alle vetrine di uno dei tanti negozi di animali. Comprati come se fossero cose e costantemente tenuti rinchiusi in gabbie, teche, acquari per il nostro piacere. Pensando a un pappagallo e alla sua etologia, all’evoluzione che lo ha portato a essere come noi lo conosciamo, dovremmo capire subito, se solo fossimo realmente informati delle sue caratteristiche, quanto sia impossibile farlo vivere in una condizione di benessere. I pappagalli sono animali abituati a vivere e a spostarsi in stormo, a comunicare con i conspecifici e a svolgere moltissime attività diverse, che mai potranno compiere chiusi in gabbia, magari in solitudine, con un’alimentazione sbagliata a base di soli semi ed estrusi. Una vita di privazioni che può traguardare il secolo se la salute li aiuta, una sorta di “fine pena mai”, inflitto magari per amore, ma patito con sofferenza.

La solitudine del pesce rosso

Altra sofferenza quella che patisce anche un pesce rosso costretto in una boccia, magari rotonda in modo da deformare anche il circostante, che passerà la sua intera esistenza a girare su stesso, chiuso in un ambiente senza possibilità di ricevere stimoli. La noia è la vera nemica dei nostri prigionieri, proprio come lo è per gli animali dello zoo o per quelli degli allevamenti intensivi. Nulla da fare, nessun comportamento etologicamente naturale, costretti in un tempo che non passa mai e che alla fine porta ad assumere comportamenti ossessivi, ripetuti, stereotipati. Un sintomo chiaro di disagio e sofferenza causata proprio dal trascorrere ore sempre uguali, non scandite dagli eventi naturali. Senza poter utilizzare ingegno e fantasia, che contrariamente a quanto molti pensano, sono caratteristiche presenti anche negli animali non umani. Sulle quali siamo stati chiamati a riflettere anche dal trattato di Lisbona, uno dei punti cardine dell’Unione Europea, nel quale gli animali, tutti gli animali non umani, sono riconosciuti come esseri senzienti. Per questo occorre ripercorre il nostro rapporto con loro, che nel corso dei secoli si è completamente snaturato: sono spariti gli allevamenti familiari dove ogni animale aveva un nome ed è cambiato il nostro rapporto con quelli domestici, che hanno smesso di essere solo cani, gatti, qualche uccellino imprigionato per godere dei suoi colori e del suo canto e qualche pesce rosso vinto al luna park. Dal dopoguerra a oggi le case degli italiani sono diventate la prigione, più o meno dorata, di tantissime altre specie che l’abitudine ci ha fatto considerare come complementi della nostra vita. Tanto da non capire e da non interrogarci sulla loro sofferenza, nemmeno in un momento come quello attuale, dove l’attenzione per gli animali e i loro diritti sembra essere così accresciuta.

Cambiare prospettiva

Bisogna mutare il rapporto, privilegiando il rispetto verso il loro benessere e le loro esigenze, smettendo di considerarli come strumenti animati, destinati a darci piacere. Non esistono animali da compagnia, esistono animali non umani che hanno con noi molti più tratti in comune di quanto si voglia credere. Facciamoci tutti un pensiero prima di decidere di prenderne uno, considerando prioritariamente la nostra possibilità di farli vivere in una condizione di benessere. Non dimenticando di privilegiare sempre l’adozione dei tanti animali forzatamente ospitati in rifugi e santuari, dove si possono trovare anche specie diverse da cani e gatti, alle quali poter offrire una vita migliore.

Ermano Giudici

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