Troppo facile fare oggi i moralisti. Adesso paiono tutti consapevoli del fatto che si è costruito troppo e male. Spuntano ovunque facce di politici e opinionisti che denunciano lo scempio. Molti di loro appartengono a schieramenti che hanno sostenuto e continuano a sostenere la speculazione, oppure lavorano per editori che fino a ieri hanno ignorato chi – pochi, pochissimi! – denunciava i soprusi e i rischi. Questa è l’Italia, la solita Italia. Così come improvvisamente scomparvero i fascisti dopo la caduta del regime e i corrotti dopo tangentopoli, ora si cerca di cancellare le tracce dei tanti, tantissimi devastatori di litorali, campagne e centri urbani. Stiamo assistendo all’epilogo di una sciagura cominciata decenni fa con amministratori pubblici incompetenti e collusi, proprietari terrieri famelici, palazzinari aguzzini. Ovunque ci fosse un pezzetto di suolo da sfruttare in questo disgraziato Paese ci si sono buttati tutti, ma proprio tutti. Non illudiamoci. Quelle che sentiamo e leggiamo in questi giorni sono solo parole vuote. Mentre ci tocca sopportare le ampollose e fatue esternazioni dei politici di oggi e di ieri o gli editoriali di gente che non ha mai letto una sola riga di Italo Insolera, Elena Croce, Renato Bazzoni o Giorgio Bassani e ora firma pezzi colmi di retorica nella convinzione di avere scritto cose originali, fuori c’è una banda di malfattori, agguerrita come al solito, che saccheggia ogni angolo della penisola. Potenti gruppi finanziari continuano a investire in grandi opere che non serviranno a nessuno o, peggio, aggraveranno lo stato delle cose spazzando via anche gli scampoli di naturalità. Il nostro capitalismo arretrato fonda ancora le sue fortune sul saccheggio del territorio. Siamo fermi al culto della terza e quarta carreggiata e delle «villette otto locali doppi servissi». «L’Italia è dunque un paese a termine, dalla topografia provvisoria, che si regge su un avverbio: questa foresta non è ancora lottizzata, quel centro storico è ancora ben conservato, questo tratto di costa non è ancora cementificato, ecc. E lo diciamo ben sapendo che il peggio deve ancora venire». Così Antonio Cederna in Brandelli d’Italia. Era il 1991. Lo stesso concetto era già presente in La difesa del territorio, pubblicato nel 1976.
Michel Mauri