Conosciuta come Dujiangyan Chengdu Field Reserarch Centre for Giants Pandas, questa stazione di ricerca cinese è nata con lo scopo di studiare e rilasciare progressivamente nel loro habitat naturale i panda giganti (Ailuropoda melanoleuca) nati in cattività. Si trova a circa 50 km dalla città di Chengdu, nella provincia del Sichuan, ed è un distaccamento del Chengdu Research Base of Giant Panda Breeding (CRBGPB), che da più di 30 anni si occupa di migliorare lo stato di conservazione in-situ ed ex-situ di questa specie attraverso la ricerca di metodi scientifici sempre più all’avanguardia. Secondo il CRBGPB è tempo per i panda di ritornare in natura. La crescita della popolazione di panda giganti in cattività ha, infatti, raggiunto un livello costante, il che rende questo momento ideale per procedere alla loro reintroduzione.
Centro in evoluzione
La Panda Valley ha ufficialmente aperto le sue porte al pubblico nell’aprile del 2015. I lavori di pianificazione, che iniziarono nel 2008, dovettero far fronte al terremoto di magnitudo 7.9 della scala Richter che nello stesso anno colpì la zona lasciando profonde ferite sul territorio, nonché rallentando l’avanzare del progetto. Con i suoi 330 acri di estensione e circa 515 specie di piante, questa valle è una vera e propria oasi in cui trasferire i panda dal Centro di Ricerca di Chengdu e prepararli gradualmente a vivere in natura senza l’aiuto dell’uomo. Secondo il progetto l’area dovrebbe ospitare oltre a 30-40 panda giganti, anche 50-100 esemplari di panda rosso o panda minore (Ailurus fulgens) insieme ad altre specie animali. Per preparare i panda a una vita in natura, è stato previsto di suddividere il territorio della valle in tre aree: la zona di transizione per la reintroduzione con l’area di educazione alla conservazione, l’area di rilascio “semi-wild” e per finire l’area di rilascio “wild”. Ad oggi l’unica area che è stata completata è la prima: conta di 3 edifici per scopi scientifici ed educativi e, di 6 recinti che ospitano esemplari provenienti dalla Chengdu Panda Base. Di recente costruzione è la cosiddetta semi-wild enclosure, ossia una zona recintata di 9,4 acri compresa tra 773 e 855 metri di altitudine, in comunicazione con uno dei recinti e monitorata costantemente attraverso 30 telecamere installate lungo tutto il perimetro. Si tratta di un’area che associa elementi ambientali propri dell’habitat naturale del panda a elementi artificiali, i quali forniscono un valido aiuto nei primi step del processo di reintroduzione.
Un processo ad alto rischio
Scegliere gli individui più idonei per la reintroduzione in natura è tutt’altro che semplice. I panda giganti devono essere selezionati sulla base dell’età, della genetica, dello stato di salute di cui godono e, delle abilità di sopravvivenza dimostrate. L’intero processo non solo richiede molto tempo, ma è anche estremamente impegnativo e a elevato rischio di insuccesso. Durante il training ogni panda ha l’opportunità esercitarsi alla sopravvivenza, imparando a procurarsi cibo e acqua senza l’ausilio dell’uomo, a trovare un riparo dove nascondersi, a proteggersi dai predatori, a trovare un partner con cui accoppiarsi e, per finire, nel caso delle femmine, a crescere la propria prole. Tutto ciò deve avvenire gradualmente, riducendo a poco a poco qualsiasi interferenza da parte dell’uomo.
Il metodo soft-release
La tecnica del metodo di rilascio soft, o tecnica dello human assisted soft-release, viene utilizzata dai ricercatori della stazione per insegnare ai giovani panda giganti ad acclimatarsi nel loro ambiente naturale prima del rilascio definitivo. La semi-wild enclosure della Panda Valley è nata proprio con questo obiettivo e ha previsto, ad esempio, la costruzione di piattaforme per nutrire i panda all’interno del recinto abituandoli gradualmente ad aumentare il loro successo in un ambiente non familiare. Una volta introdotti nell’ambiente selvatico segue il periodo di post-rilascio durante il quale gli animali continuano a essere monitorati e a ricevere assistenza per ridurre qualsiasi rischio. Nel 2016 i panda Qian Qian e He Sheng, nati entrambi nel 2013, furono selezionati per sperimentare questa tecnica. I primi step del progetto si svolsero nella Panda Valley da cui furono poi trasferiti per raggiungere la semi-wild enclosure all’interno della Riserva Naturale di Liziping, nel Sichuan, per proseguire il training. A luglio dello stesso anno furono rilasciati in natura dopo essere stati dotati di collari GPS per monitorare i loro spostamenti. Purtroppo He Sheng fu ritrovato morto nel settembre del 2016, probabilmente a seguito di un attacco da parte di un animale. Una sorte ben diversa è toccata invece a Qian Qian i cui avvistamenti non solo indicano la sua ottima capacità di sopravvivenza in natura, ma anche la conquista raggiunta dal Chengdu Panda Base nell’esplorazione di nuovi metodi di rilascio.
Imparare dalle sconfitte
La notizia della perdita di He Sheng ha fatto il giro del mondo tra i fan di panda giganti, i quali hanno visto nella morte dell’esemplare una ragione per interrompere il programma di reintroduzione. Il Centro di Ricerca di Chengdu ha risposto mostrando il suo profondo dolore verso la perdita dell’animale, sottolineando, però, che Il tasso sopravvivenza in natura carnivori nati in cattività e’ pari a circa il 32, il che rende questo campo di ricerca ancora più complesso e soggetto a numerose sconfitte. Gli insuccessi, spiega il Centro, non devono tuttavia costituire un motivo per sospendere progetti di reintroduzione quali quelli avviati dalla Panda Valley ma, al contrario, stimolarli a migliorare le proprie tecniche riducendo i rischi in futuro e, in questo modo aumentando le possibilità di successo in natura dei singoli esemplari. «I benefici che la popolazione selvatica di panda giganti trarrebbe dalla reintroduzione di individui nati in cattività non va trascurata – ricorda il CRBGPB – lo scambio genetico tra gli individui, l’aumento della diversità genetica e la riduzione dell’inbreeding sono alla base della sopravvivenza della specie».
Ylenia Vimercati