Dopo la strage di Foggia e gli altri gravi episodi di caporalato, il mondo agricolo italiano sta cercando di ribellarsi alle dinamiche di sfruttamento dei lavoratori, che interessano circa 400 mila persone soprattutto (ma non solo) nelle campagne del Sud Italia. Peraltro queste situazioni di semi-schiavitù in cui sono costretti a lavorare migliaia di uomini e donne non solo stranieri (paghe di 3 euro all’ora per turni di 10- 12 ore) hanno permesso di “accendere i riflettori” su quello che forse è il tema centrale per il futuro dell’agricoltura del nostro Paese, ovvero il discorso del prezzo. In particolare le differenze enormi tra il costo alla produzione e quello di acquisto del prodotto finale dal parte del consumatore. Come noto sono ormai molti anni che da una parte abbiamo agricoltori ed allevatori che spesso con la vendita dei loro prodotti non riescono neppure a coprire le spese di produzione, e dall’altra abbiamo i cittadini acquirenti che si trovano costi al dettaglio sempre più alti, con insoddisfazione di tutti. Ma allora, alla fine, chi ci guadagna? A parte i meccanismi, per certi aspetti abbastanza perversi, delle quote comunitarie che hanno portato ad episodi clamorosi come la distruzione di quanto prodotto senza immetterlo sul mercato (vedi il famoso e complesso caso delle “quote latte”), dall’altra abbiamo dei veri e propri meccanismi di sfruttamento e di speculazione del mercato, al solo vantaggio dei soggetti intermedi della filiera, ovvero i distributori. E in particolare delle grandi catene di distribuzione, come i supermercati e soprattutto quelli a basso prezzo, ovvero i vari Discount.
Le aste al doppio ribasso
Qui vige un meccanismo che è bene conoscere: il sistema delle aste on line al doppio ribasso. In pratica le grandi aziende di distribuzione chiedono ai loro agricoltori fornitori un’offerta di vendita per i prodotti agricoli dopodiché, raccolte le proposte, viene indetta una seconda gara che usa come base di partenza l’offerta più bassa. Tra le aziende agricole si scatena così una lotta per abbassare ulteriormente i costi di produzione ed i offerta, arrivando a livelli bassissimi pur di non rimanere con i prodotti invenduti (magari i frutti sull’albero o i pomodori in campo). Naturalmente poi per sopravvivere a loro volta gli agricoltori cercano di risparmiare su tutto, utilizzando così pesticidi (meno costosi rispetto a pratiche biologiche) e tagliando all’inverosimile i costi del lavoro. Ovviamente non tutti gli agricoltori si comportano così, ma è ovvio che un sistema del genere favorisce questi meccanismi degenerativi, finendo con l’influenzare la qualità dei prodotti ed aumentando le condizioni di sfruttamento dei lavoratori. Abbassare all’inverosimile i costi di produzione per diminuire quelli di vendita: una pratica che impedisce il giusto riconoscimento del lavoro fatto in campagna, soprattutto per chi cerca di fare un’agricoltura di qualità, magari attenta all’ambiente ed anche alla giustizia sociale, con il rispetto di chi lavora sul campo. Come quindi ha dichiarato di recente il presidente della Coldiretti, Roberto Moncalvo: «Occorre spezzare la catena dello sfruttamento che si alimenta dalle distorsioni lungo la filiera, dalla distribuzione all’industria fino alle campagne dove i prodotti agricoli pagati sottocosto pochi centesimi spingono le imprese oneste a chiudere e a lasciare spazio all’illegalità». Tra l’altro i vari casi di sfruttamento dei braccianti agricoli con lavori in nero si stima producano danni gravi anche all’Erario (ovvero, alla fine, alla comunità), con 420 milioni di euro l’anno in evasioni contributive.
Come reagire
Pertanto, oltre ai maggiori controlli da parte dell’Ispettorato del Lavoro e delle Forze dell’Ordine, andrebbero come prima cosa vietate le aste al doppio ribasso, illegali in molti paesi d’Europa (es. Francia) ma non in Italia, dove esiste solo un codice di autoregolamentazione che è stato sottoscritto da diverse grandi aziende, ma non da tutte e che sovente viene interpretato in modo molto “elastico”. Inoltre vanno sostenute tutte le iniziative virtuose (e sono molte) in cui gli agricoltori cercano di accorciare la filiera, vendendo direttamente ai consumatori, spesso spiegando anche le varie problematiche del proprio lavoro, così che chi acquista comprende anche il valore (e l’eventuale prezzo leggermente più alto) di ciò che compra e mangerà. Prodotti di qualità a prezzi onesti e trasparenti: un esempio semplice ma efficace di come lo sfruttamento degli agricoltori può essere combattuto con… l’agricoltura.
Armando Gariboldi