Autunno, tempo di topinambur. E infatti i suoi fiori li vediamo ai margini delle strade, in mezzo ai campi, con i suoi brillanti colori che parafrasano quelli del più noto girasole. Appartengono, del resto, alla stessa famiglia, quella delle compositacee e anche le loro corolle sono in qualche modo simili. Ma c’è un aspetto preponderante che differenzia il topinambur dal girasole: ed è l’apparato radicale. Quello del topinambur è paragonabile alle tradizionali patate (solanacee), caratterizzate da tuberi in grado di raccogliere alte quantità di amido che viene metabolizzato per ottenere energia. Si tratta di veri e propri organi di riserva, meno arrotondati di quelli delle solanacee, ramificati, con bucce più coriacee e di colore marroncino; le dimensioni, fino a dieci centimetri in lunghezza, e sei in larghezza. In questo periodo dell’anno le radici del topinambur raggiungono il massimo volume ed è dunque il momento propizio per raccoglierle per avviare una coltivazione o nutrirsene. Sono infatti commestibili e ricche si sostanze nutritive. Povere di calorie, presentano alte concentrazioni di inulina, una sostanza che migliora l’attività della flora batterica e contrasta lo sviluppo del diabete. Stanchezza, inappetenza, e dolori muscolari sono invece tenuti a bada dalla presenza di vitamine particolari (H). Non è una pianta che vive da sempre nelle nostre regioni. Il topinambur è infatti di origine americana, e si suppone che sia arrivato a noi come è accaduto per i pomodori e il mais. E la stessa patata. Per l’esattezza le sue origini sono riconducibili al Canada, anche se viene spesso soprannominato rapa tedesca o carciofo di Gerusalemme. In cucina è consigliato per piatti cotti e crudi. Il suo sapore ricorda quello del carciofo ed è leggermente dolciastro. Un consiglio: una volta raccolti i tuberi di topinambur, consumarli nel giro di dieci giorni.
Gianluca Grossi