“Disgustato dal caldo e dalla polvere di quel babilonico forno in mattoni che è New York, sono tornato alla campagna per sentire l’erba – e finire il libro, ripiegato su di esso, se posso”.
(Herman Melville, Lettera a Nathaniel Hawthorne, Pittsfield, 29 giugno 1851)
L’analogia con le nostre città è evidente; ma non vorrei soffermarmi su questo aspetto, rischiando tra l’altro di suonare ripetitivo. Certe cose le sappiamo già. Desidero, invece, sottolineare un piccolo particolare: Melville torna in campagna per sentire l’erba. Sentire è un verbo ormai dimenticato nel suo aspetto originario, oppure viene abusato. Questo verbo implica che l’autore abbia avuto un contatto con l’erba. Il contatto diretto con la natura è un qualcosa di misterioso oramai ed è per questo che, di conseguenza, dimentichiamo di recuperare un rapporto con essa; una presa di coscienza consapevole, un rapporto diretto con la natura e una maggiore sensibilità ci porterebbero ad un più ampio punto di vista, perché osserveremmo il mondo e la nostra quotidianità con occhi diversi. Melville non ha cercato solo pace e tranquillità in campagna, ma ha tentato di ritrovare una atmosfera che gli permettesse di concludere la sua opera più celebre, Moby Dick. Ed è curioso che per concludere un simile romanzo, così denso, umano e così naturale, l’autore abbia sentito la necessità di distaccarsi dal caos cittadino, dai mattoni che espandono calore, ma soprattutto dalla polvere della città. In campagna niente di simile. E probabilmente questo fatto non dovrebbe essere curioso, ma normale. Accogliamo queste parole come un invito dunque e forse, spostandoci, muovendoci e ricercando la natura durante questi mesi estivi ritroveremo anche una spinta in più per i nostri lavori, una naturale ispirazione.
Nicolo Raimondi