La recente scoperta di uno spettro finora sconosciuto di fenomeni legati ai cosiddetti terremoti lenti ha letteralmente acceso uno dei campi più dinamici ed innovativi della sismologia moderna. Si sa ancora poco sull’ambiente di formazione e sui meccanismi che generano questi movimenti lentissimi di porzioni della crosta terrestre, eventi che potrebbero rivelarsi molto utili per la previsione dei grandi sismi. Sarà questo l’oggetto d’indagine principale della missione “Hikurangi Subduction Margin” che, nell’ambito dell’International Ocean Drilling Project, vedrà impegnato per circa 2 mesi al largo della Nuova Zelanda un team internazionale di 35 ricercatori. Tra questi l’unica italiana è Francesca Meneghini, ricercatrice in geologia strutturale all’Università di Pisa.
Dove si originano i terremoti lenti
Gli “eventi da scivolamento lento” (traduzione letterale di Slow Slip Events) si originano da movimenti lungo il piano di faglie crostali, possono durare da qualche settimana a mesi, e si osservano in diversi ambienti geodinamici tra cui i margini di placca passivi della Nuova Zelanda, del Giappone, del Costa Rica e dell’Ecuador. Studiati utilizzando i dati GPS nella porzione più profonda delle zone di subduzione, secondo studi più recenti gli “eventi da scivolamento lento” si formerebbero anche in zone ben più superficiali del piano di subduzione e dunque più facilmente indagabili. Anche se i meccanismi di base che portano alla loro formazione restano ancora sconosciuti, i terremoti lenti sembrerebbero originarsi in determinate zone del margine di placca, dove si registrano particolari proprietà meccaniche della crosta ed un’elevata pressione dei fluidi. Il lento movimento porterebbe ad un graduale accumulo della deformazione nella crosta e dunque di energia, che verrebbe rilasciata sotto forma di grandi terremoti in grado anche di generare tsunami.
La missione in Nuova Zelanda
«Effettueremo delle perforazioni in tre differenti zone del margine di placca – spiega Francesca Meneghini -. Lo studio fisico-chimico dei campioni di sedimento e di roccia ci aiuterà a capire se esiste un legame tra la liberazione dei fluidi lungo la faglia, la loro circolazione e gli eventi sismici definiti ‘lenti’ (o silenti)».
I campioni, prelevati effettuando un transetto sulla zona di fossa, verranno analizzati direttamente nei laboratori della nave oceanografica Joydes Revolution. «Installeremo inoltre degli strumenti in pozzo per misurare le eventuali variazioni dei parametri chimico-fisici nel tempo – conclude la Dott.ssa Meneghini -. La speranza è di effettuare un vero e proprio monitoraggio temporale di questi fenomeni».
Fuente: Rivista Natura
ANDREA DI PIAZZA