Sono quasi sicuro che questo principio incontrerà notevole resistenza, poiché sembra contraddire la fede universale nella competenza assoluta del genere umano», così Barry Commoner introduceva la terza legge dell’ecologia.
«La natura è l’unica a sapere il fatto suo».
Già negli anni Settanta, prima di Chernobyl, del Climate change e della scoperta di un’isola di rifiuti in mezzo al Pacifico, erano note le conseguenze di una feroce manipolazione della natura. L’aumento della popolazione mondiale a ritmi insostenibili – 80-100 milioni l’anno – e la crescita dei bisogni e, quindi, dei consumi dimostrano ampiamente l’equazione che venne presentata allora:
I= P x A x T. Dove I rappresenta la quantità di inquinamento (espresso in qualsiasi misura), P è il numero di persone, A è la quantità annua di merci e servizi per persona (es. numero di pasti, autovetture o cellulari) e T è la quantità di inquinamento per unità di merce (di qualsiasi genere).
Il fattore T ha suggerito nuovi indicatori della qualità delle merci e dei servizi: il costo in risorse naturali, il costo ambientale e il costo energetico. Per questo oggi assumono maggiore valore quelli che richiedono un minor uso di materie prime non rinnovabili, che generano minori scorie (rifiuti) estranee ai cicli naturali. In rapida sostanza, che sono poco energivori.
Non è così semplice, però. Perché i rifiuti sono un business, quindi non sono indesiderabili da chiunque. Anzi! Noi in superficie vediamo solo discariche e colonne di container maleodoranti, ma sotto scorrono fiumi di denaro.
Molti di questi, lo abbiamo compreso da tempo ma i più continuano a ignorarlo, sono gestiti dalla malavita organizzata. Secondo il collettivo di scrittori noto al pubblico col nome di Wu Ming, il fondamento delle ecomafie è il nostro modo di vivere. Ecco un brano tratto da la Repubblica, Sezione Napoli, intitolato “Le ecomafie secondo Wu Ming” e pubblicato nel 2008.
«Produrre meno, usare di più. Lo abbiamo già scritto, non c’è un modo “giusto” di produrre oggetti inutili. Il problema siamo noi, non i rifiuti. Il problema siamo noi, non la camorra […] È il nostro stile di vita ad essere “ecomafioso”, è il consumo fine a se stesso ad essere ecomafiogeno. Non c’è camorra che possa smaltire o sversare illegalmente rifiuti che non vengono prodotti, ma noi li produciamo, li produciamo eccome, e sempre di più».
Fuente: Rivista Natura – MICHELE MAURI