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Così il Cyber Tracking sta cambiando la scienza

Il monitoraggio ambientale è parte della routine quotidiana nel settore della conservazione. Tra i vari parametri che spesso si monitorano vi sono la presenza/assenza di specie di interesse in una certa area, anche con lo scopo di adattare le politiche e gli obiettivi di gestione. Al fine di ridurre il potenziale investimento di risorse che un censimento completo richiederebbe, si fa spesso ricorso a degli indicatori indiretti, quali, ad esempio, le tracce lasciate dai vari animali. Il riconoscimento di impronte e l’analisi delle stesse ha una lunga storia ed è spesso centrale nella sfera culturale di quelle società per le quali la caccia ancora svolge un ruolo chiave nella sopravvivenza. Tale conoscenza è stata in alcuni casi codificata all’interno di protocolli di monitoraggio standardizzati e ha recentemente incontrato la tecnologia nel modello Cyber Tracking.

Così il Cyber Tracking sta cambiando la scienza

Tra cacciatori e scienziati

Il protocollo Cyber Tracking è nato nell’Africa meridionale a metà degli anni ’90 ed è basato sulle conoscenze accumulate nei secoli dalle comunità Boscimane della Namibia. L’antico stile di vita nomadico e la sussistenza basata sulla caccia rendeva infatti necessaria la corretta identificazione di potenziali prede, l’anticipazione delle loro mosse e la rilevazione di altri dettagli, quali, ad esempio, la direzione verso la quale gli animali di interesse si stavano dirigendo o il numero degli individui in un determinato gruppo. Tutto ciò era possibile attraverso la “semplice” analisi delle tracce lasciate dagli animali stessi. Un numero sempre più ristretto di specialisti in tale arte ha spinto Louis Liebenberg a raccogliere informazioni sulle tecniche di analisi utilizzate e a codificarle in un processo di raccolta dati strutturato in vari step. In sintesi, una volta identificato l’animale, la sua presenza e le coordinate di riferimento vengono registrate attraverso un dispositivo GPS dotato di icone rappresentanti diverse specie, così da facilitarne l’uso anche per utenti analfabeti. Il coinvolgimento di popolazioni locali (spesso e volentieri tracker esperti) nella raccolta di dati favorisce una loro maggiore responsabilizzazione in progetti di conservazione, compensa in parte la mancanza di zoologi sul campo e fa uso di una conoscenza spesso ignorata nella raccolta sistematica di dati scientifici. Uno dei risultati ottenuti sono mappe dettagliate riguardo la distribuzione e l’abbondanza di specie di interesse, avvalendosi in particolar modo della conoscenza autoctona.

Cyber Tracking e Citizen Science

Nelle aree protette di circa 30 paesi africani si utilizzano i dispositivi e i protocolli Cyber Tracking per la raccolta e la registrazione di dati di interesse. Nel parco Kruger, ad esempio, i ranger vi mappano le attività di bracconaggio o la vegetazione danneggiata da branchi di pachidermi. Tuttavia, l’utilizzo del Cyber Tracking può avere anche benefici più “diretti” per l’uomo stesso. Poco prima che l’Organizzazione Mondiale della Sanità dichiarasse ufficialmente, nel 2013, la presenza di un’epidemia di ebola in Africa occidentale, l’utilizzo dei protocolli e delle tecnologie in questione aveva fatto registrare una drastica riduzione delle popolazioni di gorilla e scimpanzé nella stessa area, molto probabilmente a causa dello stesso virus poi diffusosi nell’uomo. Ad oggi si contano più di cento progetti in tutto il mondo basati sull’uso del Cyber Tracking e sembrano esservi opportunità di integrazione con altri approcci innovativi per la raccolta di dati su larga scala e impiegando relativamente poche risorse, come la citizen science.

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