In Mostra a Venezia Willem de Kooning e l’Italia Uno degli Artisti più

Rivoluzionari e Influenti del Novecento

Giovanni Cardone
Fino al 15 Settembre 2024 si potrà ammirare alle Gallerie dell’Accademia di Venezia la mostra
dedicata a Willem de Kooning e l’Italia a cura di Gary Garrels e Mario Codognato. Willem de
Kooning, uno degli artisti più rivoluzionari e influenti del ventesimo secolo, l’esposizione è in
concomitanza con la 60° Biennale Internazionale d’Arte di Venezia, è il primo progetto espositivo
che analizza i due periodi che de Kooning ha trascorso in Italia, nel 1959 e nel 1969, e il profondo
impatto che hanno avuto sul suo lavoro. Il percorso riunisce circa 75 opere ed è la più grande
retrospettiva dell’artista mai organizzata in Italia. La mostra è presentata in collaborazione con The
Willem de Kooning Foundation, fondazione privata che gestisce il patrimonio dell’artista e
promuove lo studio e la valorizzazione della sua vita e della sua opera attraverso ricerche e mostre.
In una mia ricerca storiografica e scientifica sulla figura di Willem de Kooning apro il mio saggio
dicendo: Che nel mio studio fatto sull’Informale Americano. potrebbe sembrare oziosa la ragione
per cui ho pensato forse, di mutare la datazione tradizionale del periodo artistico più recente, che
parte in genere dal secondo dopoguerra, cioè dal 1945: considerando quindi gli anni delle guerra
quasi una coda, o una logica conseguenza degli sviluppi del decennio precedente, se non, quasi,
un’interruzione nel flusso degli eventi artistici. Se in parte sono vere tutte e tre queste cose, è anche
vero che per ragioni magari contingenti, il periodo bellico, più ancora della vittoria finale
americana, è stato quello che ha determinato lo spostamento della capitale internazionale dell’arte
da Parigi a New York ed ha rappresentato un importante momento di incubazione di esperienze che
sono esplose nel periodo immediatamente successivo, come la grande fase internazionale
dell’Informale. In questo periodo siamo nei primi anni quaranta dove un gruppo di artisti e fotografi
europei andarono in esilio in America ed in particolar modo a New York . Da tante fotografie
dell’epoca si evince che erano di nazionalità francese iniziando dal capo storico del Surrealismo
Andrè Breton, gli artisti Masson, Tanguy, Ernest, Duchamp e Matta tra loro è presente anche Piet
Mondrian che avrebbe vissuto gli ultimi anni nella città di New York lascandovi l’eredità della sua
complessa speculazione sullo spazio e sulla superficie pittorica. Inoltre erano tornati in America
anche come emigranti altri esponenti della cultura surrel-dada, oppure astratta e costruttivista, come
Man Ray, Laslò Monholy – Nagy, e Hans Hofmann, un artista tedesco sottovalutato ma che la sua
influenza fu determinante per la nuova generazione degli artisti americani. Altri artisti arrivarono in
America come l’armeno Gorky e l’olandese De Koorning ma nel contempo molti di loro furono
influenzati anche da Mirò, Picasso ed arrivarono anche gli echi di Kandiskij. Ecco perché nasce il
dripping grazie al giovane Pollock, egli fu influenzato in parte dai colori di Marx Ernest. Bisognerà
attendere il 1947 prima che questo procedimento diventi per lui abituale, con le dirompenti
conseguenze che lo hanno reso celebre.

Definiamo con il termine onnicomprensivo di ‘Informale’
tutta una serie di esperienze verificatesi negli Stati Uniti e in Europa tra la fine della seconda guerra
mondiale e gli anni sessanta. E’evidente che, nello spazio di tempo di un quindicennio, in una
situazione tanto articolata e vasta quanto quella intercontinentale presa in esame, non ha quasi senso
parlare di ‘un’ solo ‘movimento artistico’; ed evidente che le sfaccettature sono tante e molteplici da
risultare in alcuni casi incomprensibili tra loro. Dobbiamo pensare che in questo periodo vennero
battezzate numerose etichette che solo oggi comprendiamo lo stesso termine: Action Painting e
Abstract Expressionism in America , ovvero: ‘Pittura Materica o gestuale’ in Italia ‘Tachisme’ in
Francia ecc…E’ ovvio in questo senso, che non solo il termine ‘Informale’, come verrà qui usato,
ha un suo valore ‘riassuntivo’ rispetto a queste esperienze diverse limitiamoci per ora a constatare

delle differenze che sono solo fondamentalmente di orientamento e di scelta puramente formale
dividendo tra gestuale, materica e segnica. Possiamo dire che l’Informale1risolve il suo approccio
all’arte apparentemente in modo formale con un ritorno al quadro, alla pittura, e alla scultura.
Questo ritorno alla pittura consiste quindi nel coprire la superficie della tela con materie colorate
questa distinzione tradizionale tra fondo e figura e tra forma e spazio che era sopravvissuta in linea
di massima in ogni caso tutto è cambiato c’è quasi un’aggressione al quadro ed inoltre la pittura
‘veloce’ come l’informale richiedeva una trasformazione tra ‘forma e dinamica’ tutto diviene un
movimento tralasciando la staticità che c’era nella tradizione astratta. La pittura è un’attività
‘autografica’, quindi quasi una ‘scrittura’, privata del pittore, determinata nel tempo ( che coincide
col tempo, in genere veloce, di esecuzione del quadro ), una pulsione interna che viene espressa
attraverso il gesto oppure attraverso una sequenza di gesti. Alla base c’è il gesto questa è la novità
della nuova ‘pittura’, che si unisce al concetto di ‘improvvisazione’ come avviene anche nella
musica ‘jazz’. Poiché la superficie del dipinto si presenta come un insieme in cui non sono
realmente distinguibili figura e sfondo, il disegno, quando compare, non si presenta come contorno
di una campitura ben delineata, ma come ‘struttura di segni’, che innerva la superficie del dipinto,
così come il colore non riempie nessuna forma, ma si contrappone liberamente ad altri colori,
facendosi esso stesso disegno,‘figura’, o superficie, o tutte e tre le cose conteporanemente . In effetti
tutti i residui di illusionismo spaziale che è dato di cogliere sono dovuti alla libera contrapposizione
dei colori tra loro. Dato che la superficie è alla base del nuovo percorso comunicativo dell’artista e
nel contempo si denota una differenza tra l’astrazione e la pittura informale alla base, c’è un
linguaggio lirico di ascendenza espressionista. Negli Stati Uniti si inizia ha definire un tipo di
pittura ‘Espressionismo astratto’, come quella di De Kooning che cerca di percorrere sia il
linguaggio figurativo che quello astratto la stessa cosa avviene in Europa dove si afferma il gesto e
l’improvvisazione. Molti sono gli esempi l’informale figurativo è una pittura che procede con
larghe stesure di superficie, in cui il disegno interviene spesso come una struttura ulteriore, che
ricopre la superficie ‘a griglia’. La gabbia dei segni non è necessariamente astratta, pur opponendosi
alla nozione di ‘forma’. Anche la linea paradossalmente si fa superficie. Appaiono quindi, a volto,
delle ‘figure’ : quasi dei graffiti infantili, come nei quadri di Dubuffet, di De Kooning e di Antonio
Saura. Negli Anni 40-50 a New York un gruppo formato da svariati artisti, anche piuttosto diversi
nelle individuali personalità, comincia ad affermarsi sulla scena artistica americana,
determinandone indubitabilmente una assoluta innovazione, con uno specifico timbro ‘americano’.
E’ una vera e propria nuova tendenza che si forma all’interno della cosiddetta Scuola di New York.
Questa denominazione correttamente indica un luogo, New York appunto, che è teatro dei fenomeni
artistici in questione, piuttosto che un gruppo di artisti dalle caratteristiche unitarie. E’ il pittore e
critico Robert Motherwell ad usare per primo tale espressione nel corso di una conferenza nel 1949,
sottolineandone alcune caratteristiche, quali l’origine nel surrealismo dal quale poi gli artisti
americani si sarebbero affrancati e un atteggiamento nei confronti dell’arte di tipo emotivo ed
emozionale, avendo a che fare con la sfera sensitiva, piuttosto che di tipo evocativo/intellettuale.
Robert Motherwell individua nella Scuola di New York, oltre a sé stesso, pittori come Arshile
Gorky, William Baziotes, Adolph Gottlieb, Hans Hofmann, Willem de Kooning, Jackson Pollock,
Ad Reinhardt, Mark Rothko. Questa tendenza viene denominata ‘Espressionismo astratto
americano’ e vede un gruppo di artisti che vogliono uscire dai canoni del realismo della pittura
americana dell’epoca ed allo stesso tempo intendono andare oltre i linguaggi delle avanguardie
europee di quel periodo, tentando di superarle attraverso la elaborazione di linguaggi originali.
L’etichetta ‘espressionismo astratto’, creata in precedenza da Alfred Barr direttore del MoMA nel
1929 in riferimento a Kandinskij, viene poi definitivamente introdotta da Robert Coates nel 1946,
quando questi intende fondere due concezioni dell’arte che provengono dalle avanguardie storiche,
quella dell’espressionismo e quella dell’astrattismo ( Clement Greenberg sottolineerà nel suo

trattato ‘Astratto e rappresentazionale’ del 1954 che quest’arte è astratta “non perché sintomo di
decadenza, ma semplicemente perché accompagna per caso una decadenza della storia dell’arte”),
avanguardie ritenute rappresentative nella loro globalità di quegli artisti che operano a New York,
senza peraltro sottolinearne le evidenti individuali differenze stilistiche. Da quel momento il
termine viene utilizzato sia nei confronti di artisti con l’indole più anarchica come De Kooning e
Pollock, quanto per artisti più riflessivi come Rothko e Motherwell. Si afferma, quindi, una diversa
iconografia dell’arte astratta, con la scomparsa delle forme geometriche dipinte su uno sfondo e con
una pittura definita da pennellate libere, segni e sbavature, in un ‘campo’ che non rinvia più ad una
idea di figura-sfondo.

Gli artisti, ora, affermano di prelevare dalle emozioni, dai sentimenti e
dall’inconscio, con esplicito richiamo alle teorie psicanalitiche di Jung che conosce l’arte e per il
quale é importante come sogniamo, diversamente dalle teorie freudiane che del sogno fanno un
racconto attraverso i comprensibili codici archetipici dell’arte. Il critico e gallerista americano
Sidney Janis nel suo saggio Abstract and Surrealist Art in America del 1944 individua nella
inusuale mescolanza di surrealismo e astrattismo il timbro identificativo della nuova pittura
americana, riferendosi in particolare a pittori come Rothko, Gottlieb, Gorky e Motherwell, creatori
secondo lui di un nuovo linguaggio portato a rappresentare la soggettiva esperienza di ciascuno
mediante un uso più libero del colore, mediante visioni biomorfiche, mediante l’automatismo, già
elemento classico per i surrealisti. Tale iniziale entusiasmo per il Surrealismo fa sì che molti di tali
artisti indirizzano comunque quella ispirazione verso un segno fortemente individuale che per molti
di loro si trasformerà in uno stile personalissimo protratto con continuità nelle loro opere. Ma il
momento più significativo in relazione ai futuri sviluppi dell’espressionismo astratto (che determina
anche la differenza con ciò che tende verso il profondo inconscio del surrealismo e delle sue
tecniche di automatismo) avviene quando si dichiara: “Noi sosteniamo l’espressione semplice del
pensiero complesso. Noi siamo per la forma ampia, perché essa possiede l’impatto
dell’inequivocabile. Noi desideriamo riaffermare la superficie del dipinto. Noi siamo per le forme
piatte poiché esse distruggono l’illusione e rivelano la verità”. E’ all’interno dell’Informale che in
America si colloca il fenomeno dell’action painting, basato su un rapporto energetico con il
supporto. Avviene in quel periodo storico-artistico un vero e proprio passaggio di poteri:
l’espressionismo astratto determina la nascita dell’arte americana, spostando nettamente il centro
del mondo dell’arte da Parigi a New York, come ad affermare anche nel campo dell’arte l’America
quale nazione più potente del mondo. Diversamente da quanto accaduto in Europa durante la
guerra, con il logorante esilio di tanti artisti e intellettuali, negli Stati Uniti la fine della guerra dà
inizio ad una fase di costruzione del nuovo modello culturale nord americano in rapporto alla
situazione egemonica del paese nel nuovo scenario mondiale: nei sussidi alla ricostruzione
dell’Europa, in campo artistico rientra anche la grande promozione della nuova pittura dell’
‘Espressionismo astratto’, eretta a emblema dell’identità nazionale nordamericana da figure di
altissimo livello, come Clement Greenberg, famoso critico che sin dagli inizi degli anni ’40 se ne
presenta come il difensore, contribuendo a far divenire quel fenomeno come un riferimento
mondiale di modernità per tanti artisti. Vero è che quel passaggio di testimone da Parigi a New
York si afferma anche, come accennato, attraverso l’arrivo in America, a New York in particolare,
di molti artisti, letterati ed intellettuali europei (soprattutto delle tendenze astratte e surrealiste) che
fuggono dalla barbarie nazista e dalla guerra. Dopo la chiusura del Bauhaus nel 1933 da parte dei
nazisti molti artisti si portano a New York e tra questi, una delle figure più importanti per quello che
sarà poi l’Espressionismo astratto è quella di Hans Hofmann, anche lui in fuga dalle persecuzioni
naziste. Duchamp, Piet Mondrian, Max Ernst e sua moglie Peggy Guggenheim, conosciutissima
collezionista d’arte e mecenate, fuggita nel 1941 dalla Francia occupata dai nazisti. Molto si
attivano i surrealisti e vengono organizzate mostre e conferenze e si dà vita ad un dibattito culturale
che coinvolge anche giovani artisti americani. In particolare l’opera di Peggy Guggenheim è

fondamentale in questa fase con la creazione della ‘Galleria Art of this Century’, nella quale espone
assieme opere di artisti surrealisti e di artisti astratti in un ambiente assolutamente nuovo e
innovativo per l’epoca, con dipinti sospesi per aria, con pareti curve ed altri lavori poggiati
semplicemente in terra. E in quella Galleria vengono esposti anche i primi lavori di artisti
americani, che saranno poi gli artefici ed i massimi rappresentanti del nuovo linguaggio newyorkese
come Jackson Pollock, Clyfford Still, Mark Rothko, Arshile Gorky, Willem de Kooning, tutti pittori
della stessa generazione e che abitano a New York, cresciuti in un clima culturale simile e tutti con
lo scopo di superare i canoni espressivi codificati per giungere, seppur per vie diverse, ad una nuova
riflessione sul mondo contemporaneo. Le loro esperienze individuali o collettive, seppur
manifestando le loro diversità, dimostrano atteggiamenti simili di rivolta esistenziale contro tutto
ciò che è standardizzato e tradizionale, con un rifiuto di tutto ciò che è figurativo e, quindi, con la
ricerca di un linguaggio pittorico astratto e attraverso una strada di libera individualità. In questa
fase storico/culturale la figura di Peggy Guggenheim assume davvero tutta la sua centralità per
l’affermazione dell’arte americana contemporanea nel panorama internazionale. Dopo aver fatto sì
che la sua collezione cominciasse ad assumere il carattere di un documento storico con la creazione
di svariate mostre con la sua ‘Art of This Century’, nel 1948 la Guggenheim (dopo un precedente
breve passaggio a Venezia) viene chiamata ad esporre la sua collezione alla Biennale. Accade per la
prima volta che in Europa vengano presentate opere cubiste, astratte e surrealiste insieme ad opere
di artisti come Pollock, Rothko e Gorky, che ancora non sono conosciuti, formando quindi una
esposizione complessiva ed illuminata di tutto ciò che rappresenta il modernismo dell’epoca. E
dopo quella prima esposizione, la sua collezione viene presentata a Palazzo Reale a Milano, a
Palazzo Strozzi a Firenze e, nel 1950 contemporaneamente al Museo Correr di Venezia (l’intera
collezione dei quadri di Pollock) ed al padiglione statunitense della Biennale di Venezia con il
debutto dello stesso Pollock in quell’evento. In quegli anni c’è un dualismo tra New York e Roma,
anche per merito degli Oscar del cinema neorealista italiano. I giovani artisti (Turcato, Vedova,
Dorazio, Sanfilippo, Accardi, ecc) si affacciano sulla scena dell’arte, grazie alla illuminata figura di
Palma Bucarelli, direttrice della GNAM di Roma, che con borse di studio ne invia molti a Parigi a
conoscere le opere di Braque, di Kandinskij e di Picasso. A Roma, oltre all’alleanza Bucarelli-
Argan-Prampolini, ci sono artisti della generazione precedente come Mafai, Guttuso, De Chirico,
anch’essi interessati al cambiamento anche se il perbenismo corrente era in evidente disaccordo:
Emilio Vedova è molto contrastato dal Partito Comunista che rifiuta l’astrattismo ( è ben noto un
articolo su Rinascita di Rodrigo di Castiglia, pseudonimo di Palmiro Togliatti, che dopo una mostra
a Bologna attacca fortemente gli astrattisti, sostenendo che l’oggetto dell’arte deve essere la realtà e
che avrebbe voluto solo la rappresentazione del mondo comunista, con i canoni classici del
lavoratore con falce e martello). Malgrado ciò, tutti quegli artisti, dopo le emozioni parigine e la
scoperta di Picasso, cominciano a guardare il reale in maniera nuova, non retorica, con una idea di
astrattismo. E creano un Gruppo con la ‘Rivista Forma’, che fa solo un numero e, quindi, ‘Forma
1’, scrivendo nel loro manifesto “ ci interessa la forma del limone , non il limone”, intendendo
affermare la loro particolare attenzione al sociale e l’allontanamento dall’espressionismo, con un
distacco comunque dalla realtà, come sarebbe stato inimmaginabile da parte di artisti di sinistra.
Contemporaneamente Palma Bucarelli crea il Gruppo Origine, che da spazio e cavalca la via
dall’astrazione (anche Burri ne fa parte seppur con scarsa convinzione e per brevissimo tempo),
mentre, per ritornare ad una scena più allargata, la Guggenheim crea all’isola tiberina di Roma la
‘Galleria La Tartaruga’ (poi divenuta L’Obelisco), dove espone Pollock e De Kooning. Tutto questo
nuovo ambiente culturale è fondamentale per la nascita e la affermazione transnazionale della
nuova avanguardia americana, il cui processo di sviluppo afferma, come già accennato, valori di
libertà, individualità e intraprendenza, quale american way of life, intesa come nuova esperienza di
vita.

In questo senso, la pittura d’azione, ‘l’action painting’, particolarmente con Hofmann (precursore
europeo delle nuove tendenze americane), Pollock, De Kooning, Gorky e Kline sottolinea
filosoficamente che l’atto del dipingere, l’atto in sé più che il risultato, è autenticamente
dimostrativo della creatività dell’artista, con un linguaggio soggettivo, violento anche, improvviso e
improvvisato e soprattutto libero dai precedenti canoni stilistici e da schemi identificativi di una
ricercata razionalità. E’ il grande critico Clement Greenberg ad inventare il termine ‘action
painting’ per specificare una maniera così esclusiva di dipingere, nella quale non vi è un punto
centrale né un verso di osservazione, e la composizione si mostra senza una determinata direzione, a
tutto campo. E’ un nuovo modo di dipingere che vede in Pollock il simbolo riconosciuto
unanimemente che esprime ‘l’atto puro’, ‘l’azione pura’, come essenza autentica all’interno di una
nuova dimensione fenomenologica. Certamente fuori da ogni quotidiano conformismo, come forma
individualistica di opposizione, non necessariamente caratterizzata da esplicite scelte politiche, che
finisce per confermare ideologie e valori dominanti (il senso di libertà individuale) del nuovo
sistema capitalistico americano, traslati in una idea di società così libera e aperta da legittimare
anche coloro che vi si pongono contro. Certamente uno di questi artisti che ha lasciato una traccia
indelebile nella storia dell’arte contemporanea è stato Willem de Kooning è un artista che interpreta
l’arte in modo totale rispetto a quello che è il profondo dell’animo e del sentimento arrivando alla
bellezza dell’astratto come proposizione acuta dell’esistenza in cui colori e segni rimandano ai
rapporti tra le cose. Le sfumature e i toni  scaturiscono dai contrasti e dalle armonie dei movimenti
razionali, dagli acuti e dalle pause delle pennellate che vengono impresse sulla tela. La sua arte non
abbandona del tutto la figurazione e fluttua tra l’essere e il non essere in una sorta di limbo emotivo,
di limbo espressivo sino al 1945 quando arte figurativa e astratta si fondono. La sua non
determinatezza quasi mostra una razionalità della coscienza più che la sua emotività. Cerca di
conciliare le forme cubiste, per le sue radici europee, con una sfumatura che legasse figura e fondo.
Picasso e il cubismo sono l’insieme ispiratore delle sue prime opere e il dettato della sua ricerca,
della scansione delle fasi in cui si snoda la sua arte. Uno dei soggetti più rappresentati da de
Kooning è stato quello femminile subito dopo che ha conosciuto la sua futura moglie la pittrice
Elaine Fried e il parallelo con Picasso si manifesta in Seated Woman del 1940 in cui i piani spaziali
sono molto geometrici e con campiture di colore netti e complementari. Willem nasce il 24 aprile
1904 a Rotterdam in Olanda, i suoi genitori divorziano quando ha 5 anni, allevato dalla madre e da
un patrigno lascia la scuola a 12 anni per approdare come apprendista in una ditta di artisti e
decoratori. Nel 1926 arriva come clandestino negli Stati Uniti, praticamente senza soldi riesce a
trovare dei lavori da imbianchino, nel 1927 approda a Manhattan dove impianta uno studio di
pittura e conosce il suo vero maestro Arshile Gorky il quale era sfuggito nel 1915 al genocidio
Armeno. I due dividono lo studio, diventano amici con un profondo scambio intellettuale. Se gli
artisti europei erano legati alla loro tradizione da imitare e cambiare con Gorky il cambiamento
nasce dall’imitare loro. Bisogna dunque immedesimarsi in questi personaggi che battezzarono la
nuova cultura americana, immaginando la  loro temerarietà, le loro sofferenze, la loro voglia di
rivalsa, il senso di frustrazione e l’energia per un cambiamento in un mondo drammaticamente
nuovo, vorticoso, veloce, performante. Lo stesso de Kooning in un’intervista dichiarò che non era
emigrato perché aveva in progetto di diventare un famoso artista ma perché poteva guadagnare di
più con il suo duro lavoro di decoratore, di pittore di insegne e facciate di negozi.In America
dunque all’età di 23 anni inizia la carriera artistica di William De Kooning, che passerà dalla
clandestinità alla notorietà in meno di vent’anni. Fu tra gli artisti presentati da John D. Graham nella
collettiva del 1942 “American and French Paintings” presso la galleria McMillan di N.Y. insieme a
Pollock, Krasner, Davis, e ad artisti europei come Mirò e Picasso. Fa la sua prima personale nel

1948  alla Charles Egan Gallery principalmente composta da opere in bianco e nero. La crescita
stilistica di de Kooning è continua e diversificata, parte inizialmente da un’arte spontanea e di
ricerca stilistica per approdare dopo gli anni 50 a opere più biografiche. E’ stato il grande
antagonista di Pollock con il quale ha dato vita a una stagione di grande fulgore rispetto a quello che
conta in questo momento rivoluzionario, e cioè di più l’atto artistico e il processo produttivo che
l’opera d’arte in se, il finito dell’opera non è indispensabile, ma quello che è fondamentale è
l’istante e subito quello successivo da conquistare ogni volta, ogni volta una meta inaspettata da
raggiungere, gesto che in de Kooning sarà tragico, disperato. L’artista entra in un vortice in cui ci
trasmette attraverso la materia estetica una condizione per cui un’interruzione ci rimanda a uno
svolgimento senza fine, anche il concreto naturale e figurativo a cui de Kooning resta legato ha in se
una dimensione illimitata. Non usava fare il disegno preparatorio, non usava dunque un’attività di
progetto , schematicamente inquadrata, non amava idee fisse, sulla tela muoveva il pennello intriso
di colore unto, marcato, materico. Ripassi fatti più e più volte, con segni incisivi, carnali, colori
vivaci, aspri, violenti specialmente nelle opere degli anni ’50. Penso al gesto incontrollato e il
monito a fermarsi, a ritornare sulle proprie inconsce brutalità. Nella sua tensione tra figurativo e
astrazione e tra finito e non finito ritroviamo il contatto mai perduto con la classicità, la tragedia
greca aristotelica come catarsi e il platonismo del bello come perfezione non del reale ma del
trascendente. Un continuo pronunciarsi tra spazio e materia, tra tensione del disegno e
immediatezza del colore. Rosenberg diceva della sua arte :  “Pennellate aspre e poderose e una lotta
incessante con i colori, con il tessuto, con la spatola. Ma soprattutto con se stesso”. La grandezza di
questo artista vive nella peculiarità della sua consapevolezza di uomo solo, quella tragedia interiore
che è di ognuno e che un segno rivelatore e risolutore può stimolarci a superare. Per chi si trova di
fronte a un’opera d’arte astrusa non resta dunque che trovare il nesso per cui esiste, la folgore
emotiva da cui il tutto inizia. De Kooning ci lascia un’opera in cui si ritrae, un’opera del 1947 fatta
in piena crisi esistenziale, economica, affettiva, è Self-portrait in the wilderness. Lui solo nel
deserto con un pennello in mano, smarrito con gli occhi al cielo in cerca di una ragione, una
motivazione. In quegli anni tra l’altro dipinge opere in bianco e nero poiché non potendo acquistare
i pigmenti per i colori usa miscele fatte in casa. La figura femminile è il lascito più importante di de
Kooning all’arte, è il suo motivo a cui dedica vari anni dal 1950, la serie Woman è un palinsesto del
suo operare. Willem aveva sposato nel 1943 Elain Fried una giovane artista conosciuta alla Scuola
di artisti americani, avevano una relazione aperta, un rapporto tumultuoso trascorso tra alcol e
tradimenti, si separarono nel 1957 per 20 anni poi nel 1976 ritornarono insieme. Elain lo segue e ne
diventa anche modella, è il rapporto con questa donna ad essere la prima ispirazione che si
esprimerà in contrasti tra misoginia e vicinanza. La donna di de Kooning è mostro, dea, femmina e
impulso erotico ma anche generatrice e icona di fertilità. La donna è il primo soggetto autonomo e
libero verso cui l’uomo da sempre si protende, il suo primo pensiero, ossessione, forza e
disperazione, amore e odio. Le varie frammentazioni della donna nella figura portano in realtà ai
vari significati simbolici della stessa che rifuggono dalla sola distruzione dell’essenza del soggetto,
il paradosso della libertà espressiva sta nel trovare alla fine una nuova sintesi, un’altra unità. La
libertà di De Kooning è quella di affermare un momento che può essere anche di irritazione verso
l’altro senza per ciò indicare un giudizio totalitario, si può vedere una santa come anche un demonio
in una donna ma questo non per forza deve essere annientamento e violenza, magari è proprio il
contrario. Dagli anni sessanta in poi la pittura di de Kooning si fa più dolce probabilmente per la
sua vita più isolata infatti si trasferisce definitivamente a East Hampton, Long Island, e qui la
gamma cromatica si riduce sul rosa e il rosso eliminando tinte più dure come il nero o il blu, nei
secondi anni sessanta ritorna a forme più aggressive dove inserisce figure femminili anche nel
paesaggio.

Nel 1969 è a Roma e qui inizia un altro percorso una produzione di sculture in argilla colate poi nel
bronzo, a 65 anni l’artista trova un’altra ispirazione per sorprendere. Questo grande artista dell’arte
americana si spegnerà nel 1997 all’età di 93 anni, ha prodotto molto anche negli ultimi anni della
sua vita che ha passato dagli anni ’80 aggredito dall’Alzheimer, molte suo opere di questi anni la
critica infatti ha sempre il dubbio che siano originali. In ultima istanza il suo epitaffio : “”Come un
vecchio soldato con una ferita mortale, si è ritirato un passo pesante dietro l’altro, senza uscire dai
ranghi, senza disperdere le truppe, ma con un ripiegamento lento. Con il controllo ferreo e la
disciplina di tutta una vita, ha circondato i suoi amati dipinti e lentamente li ha spostati indietro,
arretrando sempre di più. Le sue bandiere sventolano ancora, le fila sono serrate, la sua postazione è
stata attaccata ma non verrà mai conquistata”. La mostra comprenderà una selezione dei grandi e
suggestivi disegni Black and White Rome che de Kooning realizzò durante la sua prima lunga
permanenza nella capitale nel 1959. I lavori saranno esposti insieme a opere della fine degli anni
Cinquanta, eseguite poco prima del suo viaggio in Italia. Per la prima volta si vedranno insieme
Door to the River, A Tree in Naples e Villa Borghese, tre dei più noti Pastoral Landscapes, dipinti a
New York nel 1960 dove è evidente il ricordo persistente del viaggio in Italia. Questa sezione
comprende anche grandi quadri figurativi dipinti a metà degli anni Sessanta che hanno aperto la
strada al suo interesse per la scultura. Uno spazio sarà dedicato alla scultura con tredici piccoli
bronzi realizzati da de Kooning a Roma. Le opere sono il risultato dei primi esperimenti dell’artista
con la creta che, tra il 1972 e il 1974, una volta tornato a New York, lo porteranno a produrre un
nuovo nucleo di sculture. Sulle pareti circostanti si potranno ammirare i quadri figurativi dipinti
nello stesso periodo, accanto a grandiosi dipinti astratti realizzati successivamente dal 1975 al 1977.
La mostra mette anche in dialogo pittura e scultura con i disegni degli anni Sessanta e Settanta: tra
le opere di maggior rilievo ci sono quattro disegni a inchiostro realizzati da de Kooning a Spoleto
nel 1969, presentati accanto a una selezione complementare di disegni intimi, gestuali,
concettualmente correlati con le sculture. Sono i disegni relativi al periodo in cui de Kooning
frammenta la figura, lasciando spazi vuoti a fare da contraltare alle sue linee vigorose. Il percorso,
progettato in collaborazione con lo studio UNA/FWR associati e diretto dall’architetta Giulia
Foscari, si chiude con una selezione degli ultimi dipinti di de Kooning risalenti agli anni Ottanta in
cui la forma tridimensionale è trasfigurata in una poesia nuova, astratta. In questi dipinti i
riferimenti figurativi sono minimi, caratterizzati da tonalità sul bianco controbilanciate da fasce e
superfici di colore brillante. Sono tra le opere più sublimi dell’artista, nelle quali risuona l’eco dello
stile barocco. «Willem de Kooning per creare il suo lessico personale ha attinto alla coralità di
stimoli della vita quotidiana, come la luce e il movimento». Infine come spiegano i curatori della
mostra : «L’impatto di ogni esperienza visiva poteva offrire o generare un’idea per realizzare un
nuovo disegno o dipinto. Osservando come le sue New York ed East Hampton abbiano influenzato
le sue opere, si ha l’impressione che lo stesso sia capitato a Roma, dando vita a una Gestalt di
scorci. Durante i viaggi formativi in Italia, de Kooning ha arricchito il suo linguaggio e rielaborato
un nuovo modus operandi attraverso l’approfondimento dell’arte classica italiana e il lavoro dei
suoi nuovi amici artisti italiana». La mostra è accompagnata da un catalogo edito da Marsilio Arte.
Biografia di Willem de Kooning
Willem de Kooning è stato uno dei principali artisti del ventesimo secolo. Nel 1948 riceve
l’approvazione della critica con una mostra personale di dipinti a olio e smalto, astratti e
densamente lavorati, tra cui i suoi celebri dipinti in bianco e nero. Poco dopo, nel 1950, de Kooning
completa Excavation, un’opera astratta in grande scala e probabilmente uno dei dipinti più
importanti del ventesimo secolo.

L’opera venne scelta, tra le altre, per rappresentare gli Stati Uniti alla 25° Biennale di Venezia (3
giugno – 15 ottobre 1950), la prima delle sei Biennali a cui partecipa de Kooning (1950, 1954, 1956,
1978, 1986 e 1988). Pittore anticonformista che rifiuta le comuni norme stilistiche operando una
dissoluzione del rapporto tra primo piano e sfondo, de Kooning usa la pittura per creare gesti
emotivi e astratti. Dalla fine degli anni Quaranta all’inizio degli anni Cinquanta, insieme ai suoi
contemporanei, viene in diverse occasioni etichettato come «action painter», «espressionista
astratto» o semplicemente della «Scuola di New York». De Kooning è uno dei pochi artisti
innovativi al quale si deve, negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, lo storico
spostamento del centro dell’avanguardia artistica da Parigi a New York. De Kooning è stato
insignito di numerosi riconoscimenti nel corso della sua vita, tra cui la Presidential Medal of
Freedom nel 1964, negli Stati Uniti. Le sue opere sono state esposte in innumerevoli mostre e fanno
parte delle collezioni permanenti di molte delle più importanti istituzioni artistiche del mondo, come
la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, la Tate Modern
di Londra, il Museum of Modern Art di New York, il Solomon R. Guggenheim Museum di New
York, il Metropolitan Museum of Art di New York, l’Art Institute di Chicago, lo Smithsonian
Institution’s Hirshhorn Museum & Sculpture Garden di Washington, la National Gallery of Art di
Washington, e la National Gallery of Australia di Canberra. Le principali pubblicazioni sono state
realizzate da Gabriella Drudi, John Elderfield, Gary Garrels, Thomas Hess, Harold Rosenberg,
Richard Shiff e Judith Zilzcer.

Gallerie dell’Accademia di Venezia
Willem de Kooning e l’Italia
dal 17 Aprile 2024 al 15 Settembre 2024
dal Martedì alla Domenica dalle ore 8.15 alle ore 19.15
Lunedì dalle ore 8.15 alle ore 14.00

Istallation View of Willem de Kooning and Italy, Gallerie dell’Accademia, Venice, 2024.
Photograph by Matteo de Fina, 2024. © 2024 The Willem de Kooning Foundation.