In Mostra a Jesolo Banksy&Friends: l’Arte della Ribellione

Giovanni Cardone

Fino al 15 Settembre 2024 si potrà ammirare JMuseo di Jesolo una mostra unica nel suo genere: Banksy&Friends: l’arte della ribellione, la mostra che racconta la contemporaneità attraverso gli occhi di alcuni tra i più influenti artisti viventi. La mostra curata  da Piernicola Maria Di Iorio ed è prodotta dal Comune di Jesolo e organizzata da Piuma e Arthemisia. Con le sue circa 90 opere, la mostra rappresenta una summa di quella che è l’arte contemporanea oggi, presentando al pubblico i lavori di artisti amatissimi come Banksy, Jago, TvBoy ma anche di altri nomi celebri e conosciuti a livello internazionale: da Liu Bolin, David LaChapelle, Takashi Murakami, Mr Brainwash, Obey fino ai noti italiani Angelo Accardi, LAIKA, MaPo, Laurina Paperina, PAU, Nello Petrucci, Andrea Ravo Mattoni, Rizek e Giuseppe Veneziano. Tutti protagonisti di un’arte pubblica e sociale che è diventata ormai un linguaggio accessibile, diretto e di denuncia, in cui lo spettatore può immedesimarsi, perché parlano di una realtà contemporanea che ci appartiene. L’esposizione vuole racconta storie di “controcorrente”, ci parla di vita, di morte, di ingiustizia sociale, di guerre, narrate ora con spirito canzonatorio, ora con maestria lirica o anche con un deciso tono di attacco. Quello che è sicuro è che il messaggio non è mai banale né scontato, scuote le coscienze, indigna, commuove. Hanno creato una rottura con i riferimenti classici del mondo dell’arte e della sua fruizione, rifiutando di entrare a far parte di un sistema chiuso ed escludente. Ironia della sorte, questi artisti ribelli con le loro opere e la narrazione che li identifica, sono diventati molto ricercati e attualmente sempre più centrali nell’interesse del pubblico e dei musei e centri d’arte contemporanea. In una mia ricerca storiografica e scientifica sulle figure controverse e più dibattute dell’arte contemporanea apro il mio saggio dicendo :  Sicuro talento nell’utilizzo dei mezzi di comunicazione, Jago arriva direttamente al cuore del pubblico che lo ama, anzi lo adora. Paragonabile in tal senso a una rockstar, trasmette l’amore per l’arte ai giovani: le dirette streaming e le documentazioni foto e video – attraverso le quali coinvolge il suo pubblico sul web – raccontano il processo inventivo di ogni opera e il percorso condiviso consente una diretta partecipazione dei suoi followers al singolo passaggio esecutivo. Nelle sue opere, utilizza anche elementi tragici in un costante gioco di rimandi, con una visione sempre tesa alle tematiche del presente, suscitando provocatoriamente negli spettatori riflessioni sullo status dei nostri tempi. La genialità di Jago viene documentata per la prima volta in una mostra che riunisce una serie di opere realizzate fino ad oggi, dai sassi di fiume scolpiti (da Memoria di Sé a Excalibur), fino alle sculture monumentali di più recente realizzazione (come Figlio Velato e Pietà), passando per creazioni meno recenti ma più direttamente mediatiche quali il ritratto di Papa Benedetto XVI (Habemus Hominem). Guardando la mostra di Jago ti accorgi che la sua ricerca  fonda le sue radici nelle tecniche tradizionali e instaura un rapporto diretto con il pubblico mediante l’utilizzo di video e dei social network, per condividere il processo produttivo. Jago incarna la complessa figura dell’artista che si affida solo a sé stesso senza mediazioni, assumendosi per intero il compito di dialogare con il mondo. Attraverso le sue opere fornisce al pubblico una lettura personale della storia, risignificandola e utilizzando un materiale nobile come il marmo, appartenente alla tradizione, e procedimenti esecutivi classici dal disegno al modello, dal bozzetto d’argilla al calco in gesso, insieme all’adozione della figura umana come soggetto prevalente. Nella puntuale ricerca di stimoli sempre nuovi, emerge in Jago un preciso interesse per elementi apparentemente inanimati da valorizzare, tale è il caso del sasso, scarto del processo di cavatura del marmo estratto nel fiume. Nelle sue opere l’artista utilizza anche elementi tragici in un costante gioco di rimandi, con una visione sempre tesa alle tematiche del presente suscitando provocatoriamente negli spettatori riflessioni sullo status dei nostri tempi.

C’era un tempo nel quale il corpo scolpito restituiva al suo creatore la misura di un rapporto tra il sé, l’altro da sé e la storia di un’arte tutta in divenire. Oggi, la figura ri-creata sembra impotente a rappresentare altro rispetto all’annoiato e decaduto epigono di racconti finiti, o a mutuare forme proprie a linguaggi propri di arti visive contemporanee. Da questo punto di vista di Jago è un unicum, un punto esclamativo lanciato nello stagno dell’apatia nella quale pare immersa l’arte figurativa . I suoi lavori costituiscono illuminanti chiavi di lettura contemporanee di un soggetto universale nell’arte, perché connaturato all’esistenza, affrontato con una tecnica del tutto innovativa . La ricerca di Jago inizia a sostanziarsi di elementi che permangono  alla base della scultura , adattata ai nostri tempi. Il corpo è fatto della stessa materia vitale di cui si compone l’universo. Come parte del tutto, è frammento senza volto, senza nome, sottratto all’identità e al tempo che lo hanno prodotto. Il corpo è parte dell’enigma irrisolto che sottende al mistero della vita e che coinvolge parimenti lo spazio che lo compenetra. «Madre Terra» potrebbe essere il nome destinato ad una di queste essenze impersonali sostanziate del colore della terra stessa. Il complesso tema di forze è leggibile in virtù del delicato equilibrio visuale fra dimensioni, distanze, direzioni, curvature, volumi e dinamicità. Ciascun elemento possiede una forma appropriata in relazione a tutte le altre, fissando così un ordine definitivo nel quale tutte le forze componenti si contengono a vicenda, nessuna di esse può imporre alcun mutamento nell’interrelazione. Il gioco di forze si trova in quiete apparente. Ma il corpo rimane l’elemento propulsivo, vitale, che rompe la permanenza, che è motore di cambiamento in questo senso, è la chiave di volta di queste composizioni. Il corpo di Jago è generato dall’espressività gestuale ed emozionale di se stesso. Il corpo, dunque, come forma simbolica, richiede una conoscenza che implica volontario avvicinamento, ricerca perseguita, lenta penetrazione  è quella praticata dall’autore, è quella reiterata ad ogni rinnovato sguardo dello spettatore. Arrivati alla scoperta ci si accorge che quel corpo è parte di un tutto, arrivati al particolare, la visione è dunque la stessa del punto di partenza.  A cambiare è l’esperienza. Comprendere l’opera, coglierla come totalità, è funzione di una  rivelazione, l’immediatezza sospende la dimensione temporale, la visione logica dovrebbe restituirci il motivo di tale rivelazione. L’avvicinamento alla conoscenza necessita di un medium, di un linguaggio interpretativo. L’uomo ha bisogno di regolarità, la impone alla propria visione perché è funzionale, dal punto di vista conoscitivo. Questa rigidità dietro la quale si cela il dis-ordine, ci pone dinnanzi ad un interrogativo che per ora sembra rimanere irrisolto, ovvero di quale sia il rapporto tra le due tendenze cosmiche, quella volta al disordine meccanico e quella volta all’ordine geometrico. Talvolta, colate di sangue informale spezzano le griglie, è la vita che incombe, supera le costrizioni che la ragione prova ad imporsi. Ma Jago riesce sempre con maestria suprema ad imporre all’organizzazione della visione il proprio schema strutturale allo spettatore è restituito un punto di vista, l’ osservazione è accompagnata. Guardando all’intera produzione di Jago  sin qui svolta, colpisce la coerenza della ricerca nelle direzioni sopra dette, anzi i processi paiono chiarirsi e raffinarsi nel tempo. Accanto ad un procedere dalla semplicità alla complessità dello studio, si ha un procedere dalla confusione verso l’ordine nella consapevolezza dell’indagine. Con il tempo, lo sviluppo, la metamorfosi, presenta un moltiplicarsi di parti dissimili, ma anche un accrescimento della precisione con la quale tali parti sono contraddistinte l’una rispetto all’altra e ciò è più che evidente se confrontiamo la recente produzione con quella precedente . Le sculture di Jago sono raffigurazioni di enigmi da decifrare, restituiscono la presa di coscienza di una visione d’insieme della realtà, che presuppone il dettaglio, nel contesto metamorfico del presente ci svelano la cocente contemporaneità di un osservatore che ha colto l’unità di misura entropica del mondo ed insieme la sua imperscrutabile soluzione. Ogni volta che nasce una nuova opera, Jago torna a stupire e al contempo a emozionare. L’ultima sua creatura dall’aspetto monumentale ha richiesto moltissimo lavoro. Così come è stato per il Figlio Velato alla chiesa di San Severo. Infine guardando le opere di Jago sono rimasto meravigliato egli è riuscito ad unire tradizione e innovazione,  davanti al Ritratto di Bebedetto XVI ho ricordato le parole del grande Michelangelo Buonarroti che diceva: “Se la scultura l’hai bene in mente essa è già li ad aspettarti dentro la massa”. È addirittura molto difficile assegnare a questa o queste pratiche un nome che venga riconosciuto globalmente dagli stessi artisti e dagli spettatori. Street Art: Complesso di pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali che intervengono nella dimensione stradale e pubblica dello spazio urbano, originariamente provviste di una fisionomia alternativa, spontanea, effimera e giuridicamente illegale salvo poi essere, in una fase posteriore, parzialmente sanzionate e fatte proprie dalla cultura popolare di massa, dal mercato e dalle istituzioni, prospettiva che contribuisce a rendere molto problematica a oggi una puntuale individuazione del campo, che rimane estremamente liquido e aperto a molteplici visioni.  Secondo questa definizione, all’interno del termine Street Art risiedono anche pratiche quali il graffitismo e il writing in tutte le loro sfaccettature, dal momento che anch’esse potrebbero essere definite come “pratiche ed esperienze di espressione e comunicazione artistico-visuali”. Nonostante ciò, però, non tutti sarebbero d’accordo nell’includere quei terribili scarabocchi disegnati sui muri delle nostre case all’interno del grande mondo della street art. Quindi come definire questo o questi movimenti? La stessa Treccani afferma la difficoltà di offrire “una puntuale identificazione del campo” e di conseguenza spetta ad ogni singolo creatore o fruitore di queste “opere” stabilire se siano artistiche o meno, se siano belle o brutte e siano giuste o sbagliate. “Non esiste una definizione perché la street art non esiste oppure sono semplicemente tutti i metodi di espressione comunicativa effettuati in strada .Tutto quello che viene strutturalmente creato in strada è potenzialmente street art. Poi all’interno del grosso calderone possiamo fare mille suddivisioni, e ti assicuro che saranno diverse per ogni writer- street artist a cui chiedi.”  

Se oggigiorno la street art è cosi famosa è anche e soprattutto grazie ad internet. Come per ogni altro tipo di arte, dalla pittura alla musica, dalla fotografia al cinema, il web ha reso possibile una divulgazione che precedentemente non era neanche immaginabile. I social network in primis hanno dato grande visibilità a tutte quelle persone che altro modo non avevano per potersi far conoscere. Molti artisti contemporanei misurano la propria fama e la propria bravura in base a “likes” e visualizzazioni, raggiungendo cifre astronomiche. Ora è possibile ammirare opere provenienti da tutto il mondo seduti comodamente sul divano di casa. Questo nuovo tipo di fruizione ha totalmente cambiato le regole del gioco: non è più il gallerista a decidere chi avrà visibilità e chi no ma il pubblico stesso. Si parla di una sorta di processo di democratizzazione dove ognuno, su internet, ha le stesse possibilità degli altri. Con l’avvento di internet si viene anche a sviluppare sempre di più una nuova forma di street art più vicina alla concezione moderna: stencil, installazioni, adesivi, poster etc. Una realtà completamente differente da quella del writing vero e proprio; mutano i riferimenti culturali, le tecniche, gli stili e i supporti. Mutano le motivazioni e gli obiettivi. Non è più importante la firma e la riproduzione spasmodica della medesima; viene a mancare l’utilizzo di caratteri spesso criptici e comprensibili solo ai facenti parte del movimento e di conseguenza si modifica il rapporto con il pubblico; cambia il concetto di unicità dell’opera basti pensare agli stencil, riproducibili ipoteticamente all’infinito varia il rapporto con i canali dell’arte ufficiale e di conseguenza con le gallerie; si affina il mescolamento con linguaggi differenti quali grafica, fotografia, disegno ma anche musica o altri. Una grande differenza tra le due pratiche, writing e street art, è che mentre la prima può essere considerata una cultura a tutti gli effetti “che non può prescindere da fattori umani e passionali oltre a quelli prettamente estetici, la seconda sembra esaurirsi nell’esecuzione asettica di singole opere nel tessuto urbano, senza alcun codice né quadro di riferimento condiviso”. “L’estetica era completamente diversa c’è stato un cambiamento di estetica così forte, così repentino, che il writer si è trovato davvero spiazzato, anche perché per il writer la street art era un sottoprodotto del writing, però questi sono arrivati, erano bravi, erano tanti, usavano lo spazio in modo molto diverso perché mentre il writer usa il muro come se fosse una tela, invece gli street artist dialogano con lo spazio e gli oggetti, usano la superficie.” Considerato da tutti lo street artist più famoso del mondo, Banksy, la cui vera identità rimane tutt’ora un mistero, cresce a Bristol ed inizia proprio qui, nella cittadina inglese, la sua attività artistica. Difficilmente si potrebbe racchiudere in poche decine di righe un profilo completo ed esaustivo di questo personaggio misterioso; neanche le decine di libri scritti sul suo conto sono stati probabilmente in grado di raccontare in maniera completa la sua figura. Probabilmente una delle sue opere più famose ed importanti, “Flower Thrower”, fatta nel 2003 a Gerusalemme, sul muro di un edificio privato, rappresenta al meglio il suo personaggio. Sottolineo la parola “personaggio” dal momento che, quando si parla di lui, nulla può essere dato per certo e di conseguenza si può solamente parlare di ciò che lui lascia e, soprattutto, vuole lasciar trapassare al pubblico. Quest’opera rappresenta un ragazzo con il viso coperto, un cosiddetto “delinquente”, che al posto di lanciare un sasso o una molotov, lancia un mazzo di fiori, unico elemento colorato del disegno. Racchiude in sé molti dei messaggi cosi cari a questo artista: ribellione al sistema, ironia, speranza, pace, arte, protesta. Non bisogna inoltre dimenticarsi del luogo nel quale è stata fatta, ovviamente, come nel caso di tutti i lavori di Banksy, non scelto a caso; si tratta infatti di Gerusalemme, dove nello stesso anno fu terminata la costruzione del muro che avrebbe separato i territori palestinesi da quelli israeliani, muro sul quale, per altro, Banksy realizzerà diversi murales anche loro a scopo di protesta. Questo murales ha fatto il giro del mondo ed è stato un simbolo per molti ragazzi, un simbolo di protesta e di speranza, un simbolo di manifestazione pacifica. Esempio ne è il ragazzo che il 31 Gennaio 2014, durante la manifestazione contro gli sfratti nel quartiere Lavapies di Madrid, lancia un mazzo di fiori a dei poliziotti in assetto antisommossa. Banksy diventò famoso grazie alla tecnica dello stencil, ovvero una maschera che viene realizzata tramite il taglio di alcune sezioni della superficie del materiale ad esempio un foglio di cartoncino per formare un negativo fisico dell’immagine che si vuole creare. Applicando della vernice o del pigmento sulla maschera, la forma ritagliata verrà impressa sulla superficie retrostante lo stencil, in quanto il colore passerà solo attraverso le sezioni asportate. Le caratteristiche principali di questa tecnica sono: la rapidità di realizzazione dell’opera una volta preparata la maschera e la possibilità di riprodurla, ipoteticamente, all’infinito. Questo ha consentito a Banksy di dipingere, negli anni, in luoghi molto sorvegliati e difficili da raggiungere: giunge sul luogo prescelto, sempre molto simbolico e mai a caso, applica la maschera sulla parete, dipinge e scappa, senza che nessuno abbia nemmeno il tempo di accorgersene. Durante un’intervista Banksy affermò: “È questa la chiave dei graffiti: l’ubicazione” .  Come dargli torto? Per essere veramente efficace , la street art di Banksy deve essere collocata nel contesto giusto. L’arte di strada deve comunicare con il luogo nel quale viene creata, deve interagire con l’ambiente circostante; solo cosi il pubblico riuscirà a non vederla più come un semplice “disegno” esteticamente bello ma come qualcosa di più. Quando dunque le sue opere vengono rimosse dal loro luogo originale per poi essere vendute ed affisse ad una parete di qualche ricco salotto, perdono tutto il loro valore, perdono la loro anima. È cosi che con il tempo l’artista di Bristol decise di non firmare più le proprie opere; cosi facendo avrebbe, in primis, evitato un possibile arresto e soprattutto avrebbe evitato che le sue opere, rivolte a tutti, libere e gratuite venissero rimosse da qualche “businessman”: in assenza della sua firma infatti sarebbe stato difficile autenticare le opere; l’unico modo per farlo era, ed è tutt’ora, quello di rivolgersi all’agenzia Pest Control letteralmente “servizio di disinfestazione” che certifica le stampe e i dipinti  autentici di Banksy. L’unico problema è che non vengono autentificati i pezzi di strada perché “i proprietari delle case tendono ad incazzarsi parecchio quando gli sparisce una porta perché c’era dipinto uno stencil”. Ogni pezzo di Banksy ha una fattore molto forte di critica verso un problema della società. Ogni sua opera apre un dibattito che potrebbe durare ore, questiona su argomenti fondamentali per il nostro tempo, mette in discussione ogni cosa. In base alle interviste effettuate risulta molto spesso che Banksy venga visto come una vox populi, come un Robin Hood contemporaneo. Non si sa chi sia; un uomo che ha mandato avanti la forza del suo messaggio a discapito della fama della sua persona. Un uomo che la gente apprezza per la sua presunta sincerità. Dico presunta perché nessuno sa in realtà quali siano i suoi scopi, cosa lo spinga a perseguirli e chi ci sia dietro alla maschera. C’è chi pensa che sia solamente un prodotto commerciale, che non sia più solo una persona ma che sia un’azienda. C’è chi dice che sia ricchissimo e che quindi non sia più coerente con quello che predica. Dicono che tutto ciò che ha fatto l’abbia fatto solo per la fama. Tutto ciò è possibile, anzi probabile; nessuno mette in dubbio che ormai non sia più solo uno: sarebbe impossibile aver creato questo impero da solo. Ma anche i cartoni animati e i supereroi sono finti; dietro si nasconde sempre qualche ricca e avida casa di produzione e nonostante questo continuano a farci sognare. Quindi perché dovremmo smettere di farlo? Dipingere Graffiti è il modo più onesto in cui puoi essere un artista. Non servono soldi per farlo, non è necessaria una formazione per comprenderli e non c’è alcuna tassa di ammissione. Due artisti le cui più celebri opere mai realizzate sono loro stessi: “Nel futuro ognuno sarà famoso per 15 minuti” diceva Warhol e Banksy risponde: “Ognuno nella vita avrà 15 minuti di anonimato”. Figure geniali, capaci di creare un cocktail potente di celebrità, satira e voyerismo e che hanno saputo trasformare la loro arte in un evento straordinario. Si affronteranno, inoltre, i grandi temi comuni a entrambi gli artisti: la musica e il cinema, che costituiranno un faccia a faccia unico. TvBoy con la sua arte racconta l’attualità sui muri delle più grandi metropoli italiane e spagnole. Una visione non convenzionale che ha come obiettivo primo quello di suscitare una riflessione importante sui temi più salienti che il contesto socioculturale in cui siamo inseriti sta vivendo. Non a caso diventa famoso ai più, in Italia, nel marzo 2018 quando, pochi giorni dopo le elezioni politiche, realizza in via del Collegio Capranica, a Roma, Amor Populi, un murales che raffigura Luigi di Maio e Matteo Salvini che si baciano sullo sfondo di un cuore rosso. Provocatorio e sfrontato, Benintende aka TvBoy prosegue con la sua linea di pensiero, cavalcando l’attualità con opere che suscitano un certo shock da parte dei passanti: un invito a ragionare e a riflettere sui temi più caldi e più dibattuti. Scegliendo la strada come proprio spazio espositivo, considerato da lui stesso il luogo più democratico, TvBoy non solo si sottopone all’occhio attento dei passanti, ma anche a quello delle Istituzioni e della politica, coinvolgendo nelle sue opere i maggiori esponenti: da Salvini a Di Maio, passando per Trump, Greta Thunberg, Papa Francesco, Silvio Berlusconi e così via. Non stupisce dunque che molte delle sue opere, tra cui Amor Populi, siano state immediatamente rimosse. Una fama tenuta accesa dunque dalla stessa censura delle sue opere: Benintende in un’intervista spiega che la Streetart è un happening  e la sua stessa rimozione ha un effetto positivo sull’opera stessa e sulla fame dell’artista. Non è tanto il messaggio, ciò che conta, ma quanto le emozioni che suscita ed è questo in fondo l’obiettivo di un’opera artistica, trasmettere attraverso varie forme di linguaggio, il proprio modo di vedere la realtà, letto dagli occhi dell’artista, sì, ma poi lasciato alla libera interpretazione dello spettatore. Proprio sulla fine del 2020 Benintende ritorna in scena a Milano con tre nuovi lavori di Streetart in una delle zone più popolari della città meneghina: i Navigli. Siamo ancora nel pieno della pandemia e l’artista decide di raffigurare il contesto sociale fortemente colpito da Covid-19: vediamo una signora con in mano un bastone pronta a distruggere una telecamera di sorveglianza e il claim “Milano resiste!”. Partendo dall’Ultima Cena, TvBoy racconta il DPCM per contenere il contagio inscenando Gesù in piedi con la mascherina che divide la tavolata a metà per distanziare i commensali, “Cena per sei”; sulla stessa onda anche la terza opera, dal titolo “Covid Cola”, riprende una vecchia pubblicità con lo slogan “Everyday is a 6 people celebration” e una famiglia di sei persone seduta a tavola con le mascherine. L’intento di TvBoy non è quello di andare contro la politica o di dare la sua personale opinione su ciò che accade nel nostro contesto sociopolitico, ma è utilizzare l’arte per suscitare nel pubblico domande, innescare un pensiero, una riflessione per sensibilizzare l’opinione pubblica su temi di attualità sociale, politica, culturale: l’arte come strumento socialmente utile per trasmettere speranza. La scelta dei temi da cui partire deriva dalla sua stessa sensibilità, non vuole essere un messaggio di propaganda nei confronti delle sue ideologie o andare contro la politica, ma semplicemente dare una scossa all’opinione popolare. L’arte per definizione è una forma di creatività che racchiude le più svariate tecniche: fortunatamente non esiste un unico linguaggio di espressione e neppure un unico codice di interpretazione. L’arte rispecchia le opinioni, i sentimenti e i pensieri di un artista che trova la sua ispirazione partendo dal suo vissuto, dal suo bagaglio esperienziale profondamente contaminato dall’ambito sociale, culturale e politico del suo periodo storico. Partendo da questo assunto, la Streetart di TvBoy è un’opera d’arte che, sebbene non duri fisicamente nel tempo, fortunatamente gode di vita eterna nell’etere digitale. Mentre  Liu Bolin è un artista cinese di fama internazionale, conosciuto per le sue performance di fotografia mimetica., appartiene a quella generazione artistica dei primi anni Novanta, che si è fatta largo tra le macerie della Rivoluzione Culturale, in una Cina travolta da un rapido sviluppo economico, e in un momento di relativa stabilità politica. Bolin rimane immobile come una scultura di carne e ossa, il suo corpo, accuratamente dipinto, si integra nello spazio, sfugge alla vista, svanendo nel contesto alle sue spalle, scenari urbani di ogni tipo, oggetti, architetture. Si tratta di un lavoro lungo e complesso, che può durare anche molti giorni, la fotografia è solo il risultato ultimo di un meticoloso procedimento artistico, dalla scelta del luogo alla pittura corporale. Ha fatto del camouflage la sua arte, camaleontici self-portrait, che sono un connubio perfetto di fotografia, installazione, performance e body painting. Le sue azioni mimetiche divengono strumento di denuncia di problematiche sociali, politiche e ambientali: dallo sfrenato processo di urbanizzazione delle megalopoli cinesi, alla tutela e conservazione del patrimonio artistico in Italia (in mostra) Hiding in Italy, Colosseo n°1 dalla spinosa questione dell’immigrazione, al dilagare del consumismo, della sequenza di scatti dal titolo “Shelves”, realizzata tra gli scaffali, colmi di merce, dei supermercati. L’occultamento del corpo, il privarsi dell’identità umana per diventare “cosa tra le cose”, costituisce il tratto distintivo del suo linguaggio e della sua personale visione della realtà che lo circonda. Posso invece affermare che le opere di Rizek, l’artista che con la cifra estremamente identitaria e viva dei suoi stencil, narra l’asprezza di condizioni sociali difficili, mai banali. Inizia la sua attività nei primi anni 2000 a Roma, ispirandosi allo street artist inglese Banksy. Le sue opere, realizzate con la tecnica dello stencil, hanno un forte impatto visivo e concettuale. Molti lavori puntano a denunciare ipocrisie e contraddizioni della società contemporanea. Rizek non risparmia nessuno, dalla Chiesa ai potenti, creando immagini ironiche e dissacranti. La sua street art si caratterizza per l’uso del nero e rosso, colori dal forte impatto per creare opere immediate e incisive. Con la sua arte di strada irriverente e pungente, Rizek porta all’attenzione temi scomodi, puntando il dito contro le storture del sistema. Rappresenta una delle voci più critiche e provocatorie nel panorama street art italiano. Rizek, da parte sua, con i suoi interventi sui muri non ha mai fatto qualcosa solo per denaro, il conformismo globale o alla moda; è sempre andato controcorrente rispetto a certi valori imposti, ha sempre seguito il cuore e le sue passioni, ha scelto la libertà. Qui esposti Pietà, un inedito del 2017, Unrequired Love (2022) e Angel Red del 2021. Con un percorso da artista visivo in costante evoluzione, Pau (frontman dei Negrita), in un dialogo tra il pop, l’Urban e la Street art, con la sua serie delle Santa Suerte, straordinario esercizio di tecnica mista  Linocut e Retouche con acrilico, markers, penna a sfera e timbri, ritrae la Dea Bendata; una potente figura femminile che supera i confini della religione, proponendo un modello di forza che valica confini di spazio e tempo, consacrandosi come immortale. Nessuna bozza o disegno preparatorio, la sostituzione dei colori ad olio con l’uso delle bombolette e un intervento diretto sul muro: questo è lo straordinario modus operandi di Andrea Ravo Mattoni. La sua scelta di riprodurre i capolavori dell’arte, oltre a dimostrare un talento fuori dal comune, ha il merito di rompere la linea netta di confine che divide l‘arte classica e rinascimentale dell’arte odierna. In mostra si possono ammirare due sue opere, Caravaggio. Ragazzo morso da un ramarro (2022) e Vermeer. Ragazza con l’orecchino di perla (2022). Mentre Laika artista sincronicamente indipendente, misteriosa e libera, il cui nome d’arte è un omaggio alla cagnetta che salì sullo Sputnik nel 1956, si definisce un’attacchina che pratica la riflessione e ne fa arte istantanea. Con la visione disincantata e ironica di Laika, l’attenzione rimane viva, tenace come i suoi poster e adesivi, effimeri tableau vivant, che attraggono interesse e sguardi al nostro passaggio per strada. Lo so è “solo” un poster, ma si può dire molto con la carta, si può dire tutto!, dichiara l’artista. Immediata e diretta, la sua produzione mette in risalto l’inquietudine sociale e il disagio interiore, che si trasformano in una denuncia visiva e politica di grande forza, come nel caso delle due opere in mostra Donna, Vita, Libertà, #nonunadimeno e Zapatos Rojos – Save Afghan Women. Yellow Burqa version. A seguire il percorso un’immagine che non ha bisogno di presentazioni: tutto è speranza, Hope (2019) appunto, la più efficace illustrazione politica americana dai tempi dello Zio Sam realizzata da Obey che renderà memorabile la vittoria di Barack Obama, il primo afroamericano a ricoprire la carica di Presidente degli Stati Uniti d’America. L’artista non si è mai schierato apertamente dalla parte di Obama: è rimasto fedele al suo essere ribelle. Dopo una serie di campagne molto forti contro le decisioni di Bush (Guerra in Iraq o Patriot Act per esempio), ha visto in Obama la sua perfetta antitesi ed ha quindi trovato coerente supportare la sua candidatura. Esposto qui anche un altro famoso manifesto di Obey, We, the people, are greater than fear (2017).  Posso affermare che Giuseppe Veneziano oggi uno dei principali artisti italiani della corrente new pop. Con il suo linguaggio pittorico, insieme originale e riconoscibile, l’artista affronta temi sensibili come la politica, il sesso e la religione, attraverso cui ci fornisce un’immagine diretta, oggettiva e smaliziata della società odierna. Le sue tele sono abitate da personaggi della storia e celebrità del presente, icone del cinema e personaggi dei fumetti e dei cartoni animati, come Van Gogh vs Micke Tyson (2018), La Strage degli Innocenti (2023) e La creazione della mascherina (2020). Per Veneziano non c’è differenza tra messa in scena e realtà, elementi che tendono a mescolarsi e confondersi nell’odierna società mediatica. L’artista lavora sull’impatto iconico dei suoi soggetti e sulla stratificazione emotiva che essi evocano in noi, che siano estrapolati da un’opera del passato, da una striscia a fumetti o da una foto di cronaca. Mentre MaPo realizza opere con i protagonisti di Walt Disney, il creatore di quella che è forse la più forte iconografia del ‘900, e li inserisce nel panorama del lusso, tra carte di credito, marchi di moda e champagne: i cartoni animati «mimano» la vita e forse anche il lusso è in un certo senso parte di una recita quotidiana che ognuno di noi (o almeno chi se lo può permettere) utilizza per imporre il proprio status. Topolino e il Dom Perignon, Zio Paperone e American Express, Minnie e Dolce e Gabbana: in fondo sono tutti simboli del mercato globale e paradossalmente i prodotti «immaginari» sono alla portata di tutti, mentre quelli reali di pochissimi. Mr. Brainwash, definito come colui che ha generato la collisione tra street art e pop art, spesso accosta icone culturali e contemporanee come Marilyn Monroe in Stay Safe o Kate Moss. È fortemente influenzato da artisti pop come Andy Warhol e Keith Haring. Utilizzando e riutilizzando immagini e temi popolari presi in prestito da altri artisti famosi come in Mona Linesa (2009) o a esempio gli animali con palloncini d’acciaio di Jeff Koons come in Big City, Big Dreams – Red e in Big City, Big Dreams – Rosa e Throwing Man di Banksy in Because I’m worthless, Mr Brainwash allinea le sue intenzioni artistiche con quelle degli artisti pop originali producendo opere d’arte per tutti che possono essere vissute ovunque. Poi troveremo in esposizione opere di :  Laurina Paperina, figura ironica e irriverente, che prende di mira l’arte contemporanea, la politica, la società dei consumi e la cultura popolare, dimostra una grande capacità di mescolare elementi della cultura popolare con critiche sociali e politiche. Le sue opere spesso affrontano temi come la politica internazionale, il consumismo sfrenato, la fama dei personaggi mediatici e l’ossessione per l’immagine, come si può vedere in Hungry Cookies (2020) e Scary movie del 2019. Attraverso il suo approccio dissacrante invita il pubblico a riflettere sui temi trattati, spingendolo a mettere in discussione le convenzioni e a adottare una prospettiva critica nei confronti della società contemporanea. Le storie controcorrente si susseguono rapide, immediate con le suggestioni del famoso artista giapponese Takashi Murakami, noto per le sue opere in stile superflat che mescolano influenze della tradizione artistica nipponica con elementi della cultura popolare e consumistica.

Già durante gli studi inizia a nutrire interesse per la cultura underground giapponese, in particolare manga e anime. Queste forme artistiche basse, disprezzate dell’élite artistica, diverranno centrali nella sua opera. Negli anni ‘90 Murakami elabora il suo personale stile superflat, che combina bidimensionalità tipica dei manga e critica della società dei consumi. Le sue opere ritraggono spesso personaggi kawaii, colorati e deformed, mutuati dai cartoni animati. Queste figure infantili e giocose celano però un messaggio più profondo e satirico sulla superficialità della società contemporanea. Tra i personaggi iconici creati da Murakami vi sono il simpatico funghetto Mr. Dob, qui esposto E poi…white – Mr Dobe e il morbido fiore smiley, Flowerball e Flowers. Entrambi riflettono l’ossessione dei giapponesi per il kawaii ma anche la loro alienazione nel mondo dei consumi di massa. Oltre a pittura e scultura, Murakami sperimenta vari media, come merchandising, video, animazione. Collabora con brand di moda e di lusso, mescolando alto e basso e interrogandosi sul concetto di originalità nell’era della riproducibilità tecnica. Viene ribattezzato l’Andy Warhol giapponese per la sua attitudine imprenditoriale e l’ibridazione tra arte colta e cultura popolare. Oggi Murakami è uno degli artisti nipponici più influenti al mondo e continua a sondare ossessivamente il rapporto tra cultura underground e mainstream. Mentre le opere di Angelo Accardi illustrano visioni surreali della vita quotidiana su fondali realistici di paesaggi urbani. I suoi pezzi sono animati da immagini pittoriche della cultura pop nel corso dei secoli, che a loro volta rivelano ironicamente l’evoluzione del linguaggio visivo, come Blend e Misplaced. Accardi è sempre stato alla ricerca di nuove sensazioni nell’arte, e questa è stata una componente cruciale nello sviluppo del suo stile artistico unico.  Infine Nello Petrucci  un artista visivo e filmmaker italiano che vive tra Pompei e New York. Si è distinto per il suo stile che combina “il collage”, con la sovrapposizione di manifesti presi dalla strada, e le stampe in “halftone”. Questa fusione creativa dà vita a un universo artistico coinvolgente, ricco di suggestioni e simbolismi, che ispira profonde riflessioni sulle questioni sociali più urgenti del nostro tempo. Inizia la sua carriera come filmmaker, ha studiato cinematografia a Roma presso la N.U.C.T. prima di laurearsi in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Ha collaborato con grandi registi cinematografici e le sue radici e l’influenza dello stile di pittura pompeiana sono spesso evidenti nelle sue opere, che lo hanno reso uno degli artisti di street art più rispettati del momento.

JMuseo di Jesolo

Banksy&Friends: l’arte della ribellione

dal 24 Aprile al 15 Settembre 2024

Venerdì dalle ore 14.30 alle ore 18.30

Sabato e Domenica dalle ore 10.30 alle ore 18.30