I partigiani del Vangelo

In ricordo di alcuni delle centinaia di religiosi vittime della Guerra di liberazione

di Generoso D’Agnese

Francesco Babini,  della diocesi di Sansepolcro, fu  arrestato dai nazifascisti per aver ospitato nella sua casa due ufficiali inglesi e un aviatore: dopo snervanti interrogatori fu spogliato dell’abito talare e trasferito nelle carceri delle SS di Forlì. Il 26 luglio del 1944 fu fucilato. Aveva 28 anni.

Giuseppe Donadelli, parrocco di Vallisnera di 26 anni, fu prelavato insieme a due giovani di Azione Cattolica  il 2 luglio del 1944 da tre individui guidati da un tenente della milizia fascista e ucciso lungo la strada. Eugenio Grigoletti, parroco di Adelano della diocesi di Pontremoli fu fucilato dai tedeschi nella sua canonica il 3 agosto del 1944. La sua colpa era stata quella di avere in casa oggetti appartenenti ai partigiani e agli americani paracadutati in zona.

Ludovico Sluga, vicario cooperatore di Circhina (Archidiocesi di Gorizia) fu prelevato insieme al confratello Don Piscanc e altri 11 fedeli e trucidato a Circhina per rappresaglia il 5 febbraio del 1944  per poi essere seppellito nel bosco in una fossa comune.

Padre Biagio Trani, cappuccino fu ucciso il 7 aprile 1944 a Terracina da un soldato tedesco che l’aveva scambiato per una spia e in segno di rappresaglia per l’uccisione da parte dei partigiani di un soldato.

Sono soltanto 4 storie drammatiche pescate tra le tante che costellarono “il massacro dei sacerdoti” avvenuto negli anni che dilaniarono l’Italia con fra il settembre 1943 e la primavera del 1945. Anni in cui il comune denominatore fu la follia omicida perpetuata nel nome di una scelta.  Secondo uno studio raccolto da Frediano Sessi in un saggio a più voci , furono 190 i parrochi catturati e uccisi dai fascisti (alcuni previo terribili torture),  mentre 120 furono catturati e giustiziati dai tedeschi e forse 119 per mano partigiana. Molti di loro morirono andando contro le indicazioni dei loro vescovi che raccomandavano la massima prudenza, altri invece abbracciarono la causa della libertà su suggerimento dei loro superiori. La percentuale maggiore delle morti per mano partigiana, avvenne nel triangolo della morte emiliano. Un prezzo durissimo pagato da uomini che morirono come servitori di Dio.

A partire dall’8 settembre e fino al termine della guerra (e magari anche oltre, considerando gli strascichi di violenza successivi al 25 aprile), molti prelati furono chiamati a scegliere sul “se” e sul “come” accettare e coprire le decisioni dei propri fedeli oppure ottemperare o meno alle esigenti richieste delle parti in campo e in ossequio alla stessa caratteristica drammatica della guerra fratricida, diverse furono le scelte operate sul campo da tanti sacerdoti chiamati alla scelta. Alcuni salivano in montagna con le funzioni di cappellani militari presso le formazioni partigiane rischiando la sospensione a divinis da parte dei loro vescovi, altri offrirono un contributo il più possibile nascosto nell’aiuto ai perseguitati e fuggiaschi, finendo talvolta la loro vita davanti a un estemporaneo plotone di esecuzione.

Le differenze furono vistose anche nel comportamento tenuto verso quei preti che salivano in montagna (o chiedevano il permesso di farlo) per svolgere le funzioni di cappellani militari presso le formazioni partigiane. A Modena monsignor Boccoleri minacciava la sospensione a divinis ai preti che si recavano in montagna  ma a Brescia monsignor Tredici nominò padre Luigi Rinaldini «curato di tutte le parrocchie della diocesi» con il permesso speciale di predicare, confessare, comunicare, celebrare la messa con o senza i sacri paramenti in qualunque ora e luogo della diocesi, autorizzandone in tal modo la presenza presso i partigiani. A   Torino e a Genova uomini come monsignor Vincenzo Barale e don Francesco Repetto, segretari dei rispettivi arcivescovi, furono invece impegnati nelle reti di soccorso  sfidando costantemente la rappresaglia.

Don  Pasquino Borghi, “figlio di contadini e consacrato sacerdote nel 1930, nel 1940 svolgeva il suo compito di  parroco di Canolo (nei pressi di Correggio di Reggio Emilia) non esitando a manifestare il proprio dissenso alla guerra e al regime fascista. Così facendo attirò le ire dei gerarchi fascisti    della zona. Tre anni dopo, divenuto   parroco a Corriano-Tapignola (Villa Minozzo) , una zona che fin dall’ottobre 1943 vide nascere i primi nuclei partigiani, il 21 giugno del 1944 si ritrovò al centro di uno scontro tra  i militi fascisti,   e i partigiani nascosti nella parrocchia. Arrestato poche ore dopo, Don Pasquino Borghi  fu  percosso brutalmente e dopo aver subito varie torture, fu fucilato per rappresaglia nella notte fra 29 e il 30 gennaio a Scandiano assieme ad altri ostaggi.

Quella del massacro dimenticato dei religiosi durante la sanguinosa lotta per la liberazione è ancora oggi una pagina oscura e spesso dimenticata della storiografia contemporanea. Una pagina che sanguina ancora forte e che ricorda quanto fu difficile portare il messaggio di amore universale del cristianesimo in uno scenario di guerra in cui tutti erano contro tutti.

Il frate  domenicano Giuseppe Girotti, nato ad Alba il 19 luglio 1905, proveniva da una famiglia di umili origini e nel 1923 pronunciò la professione religiosa ricevendo l’ordinazione sacerdotale il 3 agosto 1930. Laureato  in teologia a Torino nel 1931  divenne insegnante presso il Seminario teologico Domenicano di Torino accompagnando tale compito con un impegno costante  in varie opere caritative. La sua libertà di pensiero iniziò però presto ad entrare in contrasto con le autorità fasciste. Nel 1939 le sue lezioni al Seminario Domenicano furono  sospese ed egli fu  trasferito nel convento di San Domenico. Gli eventi che seguirono l’8 settembre 1943, videro padre Girotti in sintonia con i resistenti al nazifascismo  e pronto ad aiutare gli ebrei perseguitati. Il prelato trovò   per loro  nascondigli sicuri e documenti di identità falsi agendo in gran segreto per  non coinvolgere in situazioni di rischio gli stessi superiori. Il suo operato caritativo fu però interrotto dalla delazione di una spia.  Arrestato il 29 agosto 1944,  il religioso fu  imprigionato a Torino nelle Carceri Nuove e poi trasferito a Milano nel carcere di San Vittore. Infine venne  nel campo di concentramento di Gries (Bolzano) per poi essere   internato nel lager di Dachau con la matricola numero 113355. La sua colpa fu annotata sul registo d’ingresso: «Unterstutzung am Juden» («aiuto agli Ebrei»).

La sorte di padre Giuseppe Girotti non fu mai del tutto chiarita. Per alcuni si trattò di morte naturale per altri di una vera e propria esecuzione tramite una iniezione venefica. Il suo corpo evitò lo strazio dell’incenerimento soltanto perché i forni crematori avevano cessato di funzionare da alcuni mesi per mancanza di combustibile. Il frate domenicano, morto a 40 anni, fu sepolto  in una fossa comune sul Leitenberg, una collina che sorge a circa tre chilometri dal campo di Dachau. Il 14 febbraio 1995 al religioso fu consegnata «alla memoria» la medaglia di «Giusto tra le Nazioni». Il 26 aprile 2014 Padre Girotti è stato proclamato Beato dalla Chiesa.

Nicolò Cortese nacque il 7 marzo del 1907  a Cherso (Cres), capoluogo dell’omonima isola posizionata nel golfo del Quarnaro. Entrato  nel 1920 nel Seminario dei Francescani Conventuali (Camposampiero) scelse di restare dell’Ordine con il nome di Fra Placido. Ordinato sacerdote il 6 giugno del 1930 svolse attività di apostolato nella basilica del Santo, a Padova e nel 1937 divenne direttore del periodico «Messaggero di Sant’’Antonio» di  Padova . Molto attento alle opere di carità padre Cortese prestò molta attenzione agli  internati nel campo di Chiesanuova, la maggior parte dei quali era slovena. Dopo l’8  settembre del 1943, mentre con l’occupazione nazista si accentuarono le persecuzioni anti ebraiche, Padre Placido Cortese fu tra coloro che aiutarono gli sbandati, gli ebrei e i   ricercati dal regime nazifascista, ricorrendo spesso ad  azioni clandestine.  A causa della delazione di due infiltrati, il Francescano Conventuale venne arrestatol’ l’8 ottobre del 1944. Trasportato in una cella della GESTAPO a Trieste fu  sottoposto a tortura e morì durante la detenzione per le sevizie subite. Probabilmente il suo corpo venne cremato nel campo di detenzione della Risiera di San Sabba. Il  5 giugno 2017 il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella ha conferito a questo religioso la medaglia d’oro al merito civile «alla memoria».

I preti furono un facile bersaglio sia che aiutassero cristianamente i partigiani sia che facessero altrettanto cristianamente per i fascisti e proprio per questa loro paritaria ubiquità sono probabilmente finiti nel dimenticatoio della storia. Un sacrificio di sangue che trovò terreno fertile nell’amore fraterno sacerdotale e che nel  giorno in cui l’Italia ricorda il sacrificio dei tanti partigiani caduti nel nome della liberazione, dovrebbe essere rispolverato dai libri conservati negli scaffali, Per onorare al meglio uomini giustiziati sommariamente per morti due volte. Per la libertà e la salvezza dei loro “gregge” e per la storia che li ha dimenticati.